I dati FAO più aggiornati descrivono un mercato della pesca e dell’acquacoltura dei crostacei che, nel 2018, aveva superato i 15 milioni di tonnellate. Solo il 40% circa dei crostacei è costituito da parti commestibili. Il restante 60% (per un totale di 9 milioni di tonnellate) è scarto, coi relativi costi di smatimento. Ma non scarti qualunque. La parte non è commestibile dei crostacei, il loro esoscheletro, è costituito da chitina per una quota tra 15 e il 40%. Cos’è la chitina? Per ora basti sapere che Il mercato globale della chitina e dei sui derivati (in primis il chitosano), è valutato a 3,8 miliardi di dollari nel 2020, e si stima raggiungerà i 12,3 miliardi di dollari entro il 2027, con un tasso di crescita annuale composto del 18,4%.
“L’industria ha iniziato a sviluppare tecnologie per utilizzare questi rifiuti per produrre composti ad alto valore aggiunto, soprattutto chitina”, scrivono i ricercatori dell’ENEA Alessandra Verardi, Paola Sangiorgio, Stefania Moliterni, Simona Errico, Anna Spagnoletta e Salvatore Dimatteo in una nuovo studio ENEA pubblicato sulla rivista open access Clean Technologies and Recycling. La sfida del team di ricerca è di arrivare a una produzione di chitosano sostenibile, a basso costo e su scala industriale.
Cosa sono chitina e chitosano e perché sono importanti
La chitina è la seconda biomassa naturale più abbondante dopo la cellulosa, spiegano i ricercatori dell’ENEA. La chitina prodotta naturalmente si trova in numerose specie in natura, tra tutte, la fonte più facilmente accessibile è l’esoscheletro degli artropodi – insetti, aracnidi (ragni e scorpioni), miriapodi (millepiedi) e crostacei (gamberi, krill, granchi e aragoste). Attraverso un processo chimico (deacetilazione) dalla chitina si genera il chitosano.
“Pochi studi si concentrano sugli effetti biologici della sola chitina. La maggior parte degli articoli scientifici riguarda anche la multifunzionalità del chitosano” scrivono i ricercatori. I derivati della chitina hanno effetti positivi riconosciuti sulla salute umana, spiegano, e hanno un ruolo cruciale in vari meccanismi biologici: “Ad esempio, la chitina ha un’elevata capacità antimicrobica, D’altra parte, il chitosano è in grado di chelare i metalli pesanti (legarsi come due chele, riducendone le pericolosità, ndr), anche se presenti in tracce”. Altri effetti positivi sono stati riscontrati anche sulla regolazione dell’ipertensione.
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Gli usi di chitina e chitosano
Sempre più numerosi gli usi industriali di chitina e chitosano. Vediamoli nel dettaglio:
Cosmesi. I ricercatori ENEA dello studio spiegano che il chitosano e i suoi derivati hanno molte applicazioni in cosmetica, per il corpo, la cura della pelle, dei capelli e dei denti. La chitina è un agente idratante. Il chitosano e la chitina sono chelanti dei metalli responsabili di molte allergie da contatto. Sono utilizzati come antiossidanti, assorbenti dell’umidità, antimicrobici e agenti stabilizzanti nelle emulsioni. Ultimamente si parla anche di cosmeceutici, cioè di prodotti cosmetici che agiscono sulla bellezza e sulla salute. Ad esempio, sono già presenti sul mercato cosmetici con proprietà farmaceutiche/medicinali a base di chitosano;
Medicina. Una delle applicazioni biomediche più importanti del chitosano è la guarigione delle ferite. La fortificazione con chitosano rende i bendaggi estremamente efficaci grazie all’azione antimicrobica. Il chitosano e i suoi derivati hanno un effetto stimolante sulle cellule, accelerando così la guarigione delle ferite e la rigenerazione dermica;
Industria alimentare e delle bevande. L’industria alimentare può trarre molti vantaggi dalle proprietà della chitina e del chitosano, scrivono i ricercatori ENEA. Il chitosano è utilizzato come agente addensante e stabilizzante naturale, alternativo e poco costoso, negli alimenti trasformati. Il chitosano trova applicazione nel settore alimentare come ingrediente nutrizionale, agente antimicrobico e antiossidante;
Trattamento delle acque reflue. I derivati della chitina sono ampiamente utilizzati per la chiarificazione delle acque reflue e degli effluenti grazie alla capacità di ‘neutralizzare’ i metalli pesanti. Il chitosano è molto più efficace del carbone attivo nella rimozione dei policlorobifenili dalle acque inquinate. I biopolimeri derivati dalla chitina sono eccellenti per rimuovere i coloranti tessili dall’acqua;
Agricoltura e acquacoltura La chitina e il chitosano sono stati utilizzati a partire dagli anni ’90 come battericidi. Proteggono le piante dai batteri patogeni che causano effetti negativi sulle colture durante la fase di crescita e di post-raccolta. Grazie alle sue proprietà chelanti, il chitosano trova applicazione anche in alcuni spray per la rimozione dei pesticidi ed è anche un eccellente antifungino. L’incorporazione di biomassa chitinica nel suolo aumenta la protezione di alcune colture stimolando alcuni microbi naturali.
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Come si ricavano chitina e chitosano
Sono due le principali tecnologie per il recupero di chitina e chitosano dagli scarti dei crostacei: i metodi chimici e quelli biologici. “Il trattamento chimico – raccontano i ricercatori ENEA – può essere effettuato utilizzando solventi convenzionali, tipicamente soluzioni acide e alcaline forti, o solventi verdi alternativi, I metodi biologici utilizzano processi enzimatici o di fermentazione”.
Attualmente, i metodi chimici convenzionali sono i più utilizzati, “tuttavia, questi processi presentano diversi svantaggi che ne limitano la sostenibilità in termini di redditività economica, protezione ambientale ed equità sociale”, spiega lo studio ENEA: generano acque reflue contenenti sostanze chimiche tossiche; richiedono temperature elevate e grandi volumi di acqua; richiedono materiali resistenti alla corrosione causata da acidi e basi forti, il che aumenta i costi delle attrezzature e, di conseguenza, i costi del processo. Inoltre, questi metodi influiscono negativamente sulle proprietà fisico-chimiche della chitina.
Un’alternativa fattibile ai metodi chimici convenzionali è l’estrazione ecologica con miscele di solventi verdi, “di facile preparazione e a basso prezzo, non tossici, poco infiammabili e biodegradabili”. Tuttavia, “la letteratura scientifica sui metodi di estrazione della chitina verde è carente. Inoltre, i lavori di ricerca esistenti sono stati condotti su scala di laboratorio. È quindi evidente che sono necessari ulteriori studi specifici”, sottolineano i ricercatori.
Invece “la via biologica per il recupero della chitina presenta molti vantaggi economici e ambientali, poiché è relativamente poco costosa e meno dannosa per l’ambiente rispetto al trattamento chimico convenzionale”. Per questo motivo, rappresenta una valida alternativa non solo ai processi chimici convenzionali, ma anche a quelli verdi. Però, ammettono gli studiosi, ”il processo biologico di estrazione della chitina è ancora limitato a studi su scala di laboratorio Pertanto, il miglioramento dell’efficienza dei metodi biologici per l’estrazione della chitina su larga scala rimane la sfida più grande”.
Alessandra Verardi, ricercatrice del Laboratorio Bioprodotti e Bioprocessi presso il Centro di Ricerca ENEA Trisaia, in Basilicata e coautrice dello studio, è ottimista: “Questa nuova pubblicazione rappresenta uno strumento di conoscenza che ci permetterà di inaugurare entro l’anno una nuova linea di attività incentrata, in una prima fase, sull’estrazione di chitina da scarti di crostacei come gamberetti e granchi, da insetti e funghi. Successivamente ci occuperemo della produzione di chitosano che trova già applicazione in numerosi ambiti -dall’industria chimica e agrochimica a quella medica, farmaceutica, cosmetica e alimentare – grazie alle sue proprietà uniche di biocompatibilità, biodegradabilità, basse tossicità e allergenicità”. La ricerca, aggiunge, “punterà a sfruttare anche risorse alternative come insetti e alcune varietà di funghi che stanno attirando l’interesse dell’industria. Per tali fonti, infatti, l’estrazione di chitina può essere condotta in condizioni più blande, con un conseguente aumento della sostenibilità di processo”. La sfida del team di ricerca è di arrivare a una produzione di chitosano sostenibile, a basso costo e su scala industriale, da impiegare principalmente come delivery system per il trasporto e il rilascio di sostanze antiossidanti, come i polifenoli e carotenoidi estratti anch’essi da scarti agroindustriali, preservandone e potenziandone le proprietà benefiche.
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