Chi non vorrebbe città più vivibili? La trasformazione degli spazi urbani, una pianificazione più “smart” ed efficiente, soluzioni di trasporto sostenibile e servizi a misura di cittadino, sono dibattute da tempo. Oltre un anno di esperienza della pandemia da Covid 19 ha accelerato questa riflessione, rendendo più urgente agli occhi dei cittadini la necessità di spazi verdi nei pressi della propria abitazione, l’accesso ai servizi anche in remoto, la possibilità di spostarsi e incontrarsi in sicurezza, l’importanza di respirare aria pulita e mangiare cibi sani, produrre meno rifiuti e liberare gli spazi dai gas di scarico. Non sarebbe forse saggio “far tesoro” dell’esperienza shoccante dei lock-down, del distanziamento forzato, delle conseguenti nuove regole di convivenza, per non perdere qualche inedita buona abitudine e dare seguito a soluzioni innovative?
Joanna Williams, professore associato in Sviluppo sostenibile alla Bartlett Scholl of Planning, UCL University di Londra, nel suo recente lavoro “Circular Cities: A Revolution in Urban Sustainability”, presenta alcuni esempi di trasformazione circolare, in corso in quattro città europee, proprio per ispirare un cambiamento di sguardo sul futuro dei centri urbani. Le città circolari, spiega Williams, sono ecosistemi urbani rigenerativi e adattabili in cui i circuiti sono chiusi, i rifiuti obsoleti, le emissioni ridotte. L’accesso alle risorse è assicurato e, soprattutto, i cittadini godono di migliore salute e benessere.
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La dimensione socio-economica della circolarità
Se lo sviluppo circolare è stato interpretato primariamente come risposta ai limiti delle risorse del pianeta, quindi con una valenza di sostenibilità ambientale a difesa dell’ecosistema, la sua applicazione nelle città mostra risvolti sempre più caratterizzati da benefici economici e sociali, che possono aiutarci nella definizione di risposte utili a fronteggiare le sfide poste dalla crisi socio-economica provocata dalla pandemia. L’applicazione delle misure circolari osservate nelle città oggetto di studio della ricercatrice inglese (Stoccolma, Amsterdam, Londra, Parigi), riguardando diversi aspetti della vita urbana, possono costituire buoni spunti replicabili anche nelle nostre città.
L’approccio circolare si può applicare alla produzione e distribuzione di cibo, alle costruzioni, al recupero dell’energia, al riciclo dei rifiuti, alla rigenerazione di spazi contaminati, fino alla nascita di attività di “pop-up economy” (basata su locazioni per attività a brevissimo tempo) e bioeconomia.
Se Stoccolma è considerata una città pioniera nello sviluppo circolare, specialmente per gli aspetti che riguardano la produzione sostenibile di energia, la rigenerazione di siti contaminati e il riciclo dei rifiuti, Amsterdam è un modello di primo piano per il suo approccio sistematico e olistico alla circolarità. Tuttavia, gli esperimenti più interessanti dal punto di vista economico e sociale sembrano essere rappresentati da città meno “virtuose” come Londra e Parigi.
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London calling: buone pratiche top-down e bottom-up
Londra, per esempio, vanta due innovativi progetti come il Queen Elizabeth Olympic Park e il distretto di Brixton. Il primo costituisce un iconico sforzo nazionale di infrastruttura adattativa che ha trasformato una vasta area dell’est di Londra in una moderna destinazione urbana, ridisegnando quello che era il cuore storico industriale di Stratford e Hackney Wick in uno spazio sostenibile dove vivere, lavorare, studiare e giocare. Oltre alle abitazioni e i servizi, è dotato di grandi parchi, corsi d’acqua, parchi giochi, visitabili gratuitamente ogni giorno. Il Queen Elizabeth, realizzato con ingenti investimenti pubblici, dovrà dare prova della sua sostenibilità nel tempo, dati i prevedibili alti costi per il suo mantenimento.
Un esempio di segno opposto è costituito invece dal distretto di Brixton che, con le sue limitate risorse economiche e di spazio, è considerato un modello di urbanismo circolare “tattico” e “bottom-up”.
Brixton e il modello di local business
Brixton è un quartiere a sud di Londra, parte del borgo di Lambeth, da alcuni anni diventato un luogo rinomato per il suo mercato agricolo lungo la Station Road, per i suoi ristoranti, gallerie d’arte, caffè e mercatini vintage, nati come negozi “pop-up” (temporanei). Brixton fa parte del progetto Transition Town, nel 2009 ha lanciato una sua valuta – il Brixton Pound – ed è stato premiato nel 2013 con il Great Neighbourhood Award. A partire da un progetto di circolarità del cibo, con una forte componente di coinvolgimento ed impegno della comunità locale, la realtà di Brixton è in espansione riuscendo ad adattarsi e utilizzare al meglio i suoi spazi, per esempio con l’affitto temporaneo a diversi tipi di negozi e servizi.
Come nel caso di Brixton a Londra, anche Parigi presenta strategie di circolarità tattica per lo sviluppo urbano attraverso, per esempio, programmi che incoraggiano il riuso di edifici abbandonati o di spazi vuoti. È particolarmente rilevante nel caso parigino l’aspetto di solidarietà sociale connesso ai progetti urbani circolari, che permettono anche ai cittadini svantaggiati di accedere al cibo, all’energia, ai servizi di base. Un esempio di successo nel contesto parigino è il programma di riutilizzo di spazi vuoti o abbandonati per la creazione di orti urbani.
Orti urbani, una nuova passione
La rinascita degli orti urbani è una tendenza in espansione anche in Italia. Secondo Coldiretti, lo spazio dedicato alla coltivazione urbana è cresciuto del 18,5% negli ultimi 5 anni. Complice la pandemia, ci sono oggi moltissimi cittadini disposti, per bisogno o per diletto, a coltivare la terra, creare spazi verdi, allevare api e così via. Un esempio interessante di spazio rigenerato e ridisegnato in modo sostenibile come orto urbano si trova a Roma dove – come racconta Gaia Giuliani nell’inserto Design di Repubblica del 19 maggio – gli Orti Urbani Tre Fontane hanno rimesso a nuovo una discarica di tre ettari utilizzata per bruciare cavi elettrici ed estrarne il rame. Un campo minato dalla diossina da bonificare si trasforma dunque in uno spazio per l’apicoltura, per la produzione di frutta e verdura e, meglio ancora, per l’aggregazione sociale.
Se Venezia rinasce sostenibile
La dimensione umana si fa largo, dunque, tra gli elementi della riqualificazione cittadina capaci di ridisegnare il futuro post-pandemia. Per esempio a Venezia l’assenza forzata dei turisti “mordi e fuggi” ha innescato nella comunità locale riflessioni e progettualità per la sua rinascita come centro universitario e culturale. Milena Fernandez in un bell’articolo su El Pais – tradotto su Internazionale del 14/20 maggio – racconta di come la città lagunare, unica al mondo per la sua diramazione in canali e il suo sconfinato patrimonio artistico, stia riscoprendo il suo potenziale umano e naturale di città sostenibile resiliente e multifunzionale.
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