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venerdì, Novembre 15, 2024

“Vi racconto la certificazione per imparare a (ri)conoscere il cibo upcycled”

Intervista a Ben Gray, co-presidente del comitato per gli standard della Upcycled Food Association, che spiega a EconomiaCircolare.com come funzioneranno il nuovo standard e quali progressi porterà nel settore

Maurita Cardone
Maurita Cardone
Giornalista freelance, pr e organizzatrice culturale, ha lavorato per diverse testate tra cui Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia. Abruzzese trapiantata a New York dove è stata vicedirettore di una testata italiana online, attualmente è corrispondente dagli USA per Artribune oltre a collaborare con diversi media italiani e non. Si occupa di temi sociali e culturali con particolare attenzione alle intersezioni tra arte e attivismo.

Concetto nuovo ma in fondo antico quanto l’uomo, l’upcycled food è un fenomeno in esplosione. Sempre più spesso sui mercati di tutto il mondo compaiono prodotti realizzati con scarti alimentari. Una crescita che oggi può contare su un nuovo strumento: il 13 gennaio la Upcycled Food Association, con sede a Denver, negli USA, ha annunciato l’adozione di uno standard internazionale per la certificazione dei prodotti e degli ingredienti upcycled. Un importante passo in avanti per lo sviluppo di un settore che negli Stati Uniti conta già 400 prodotti sul mercato, per un’industria da oltre 46 miliardi e previsioni di crescita del 5 per cento l’anno. La nuova certificazione permetterà ai consumatori di identificare i prodotti alimentari che, utilizzando ingredienti di scarto, contribuiscono a prevenire lo spreco alimentare. Lo standard delinea tre distinte designazioni: una per gli ingredienti upcycled, una per i prodotti contenenti ingredienti upcycled e una per prodotti che ne contengono solo una percentuale.

Abbiamo intervistato Ben Gray, co-presidente dello Standards Committee e direttore operativo della Upcycled Food Association, che ci ha spiegato come funzionerà la certificazione e quali progressi si aspettano di vedere nel settore. Diplomato alla scuola di gastronomia e nutrizionista, Gray ha iniziato a interessarsi di spreco alimentare facendo volontariato con il gruppo Denver Food Rescue, fino ad arrivare alla Upcycled Food Association, in cui si è impegnato in prima persona per l’adozione dello standard.

Congratulazioni per questo importante risultato. Può spiegarci come funzionerà il processo e quali sono i criteri adottati per la certificazione?

Lo standard copre un’area piuttosto ampia per assicurare che i prodotti siano davvero upcycled e che gli ingredienti siano utilizzati a un livello più alto della catena produttiva. Include anche una valutazione della quantità di contenuto upcycled all’interno di un prodotto o di un ingrediente e quanto di quel contenuto si è evitato finisse in discarica o in compost o in impianti di digestione anaerobica eccetera: insomma prendiamo in considerazione dove quella materia sarebbe andata a finire e dove va a finire ora. La certificazione contiene inoltre un certo numero di domande sul processo produttivo e suoi impatti, su come le aziende intendono la sostenibilità e come la comunicano. Questo per mandare alle aziende interessate alla certificazione il messaggio che è importante essere trasparenti sul proprio impatto su più fronti.

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Ci può fare un esempio?

Uno dei criteri si chiama Food Waste Assessment and Reduction Plan e richiede che le aziende candidate impostino e documentino un programma di monitoraggio dei rifiuti generati dai propri processi produttivi. Ci vogliamo assicurare che i produttori tengano d’occhio lo spreco alimentare anche per gli ingredienti non upcycled che utilizzano.

Tenete in considerazione anche l’impatto ambientale in generale? Per esempio le emissioni di gas serra durante i processi produttivi o nel trasporto delle materie prime utilizzate?

Una delle cose più difficili della creazione di uno standard è legata al fatto che vuole essere un sistema di etichettatura per un gruppo molto ampio e disomogeneo di potenziali aziende candidate e, all’interno di quel gruppo, ci sono molte possibili realtà differenti. Durante il processo di sviluppo dello standard ci siamo accorti che ci sono tante aziende che utilizzano modi diversi di valutare il proprio impatto ambientale. Alcune misurano e cercano di ridurre le proprie emissioni mentre altre, pur se consapevoli di quanto sia importante, non hanno la capacità di farlo. Abbiamo quindi deciso di chiedere alle aziende candidate di identificare fonti di emissioni all’interno del proprio processo produttivo. In questo modo possono iniziare a capire e affrontare il problema. Cerchiamo di incoraggiarle a fare un primo passo verso una più profonda comprensione degli impatti delle proprie attività.

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I criteri che utilizzerete sono pubblici e consultabili da chiunque?

Sì, lo standard si basa su un insieme di requisiti che sono contenuti nel documento pubblicato nella sezione dedicata del sito Internet della Upcycled Food Association.

Come funzionerà il processo di certificazione? Saranno le aziende a fare richiesta di certificazione?

Collaboreremo con un ente certificatore esterno che ci consentirà di applicare efficacemente lo standard e che si occuperà di fare le verifiche. Le aziende presenteranno le informazioni richieste e inizieranno a lavorare con l’ente certificatore che poi valuterà se il richiedente soddisfa o meno gli standard. L’Upcycled Food Association non è coinvolta nel processo di determinazione di chi può o non può essere certificato. Siamo tecnicamente proprietari dello standard, ma l’ente di certificazione è una parte terza che esegue l’audit. Tutte le società idonee, ovvero che posseggono i requisiti indicati nel documento, sono incoraggiate a fare richiesta.

Quale sarà l’ente certificatore?

Non lo abbiamo ancora annunciato, ma contiamo di farlo presto.

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Quanto avete lavorato per raggiungere questo obiettivo?

L’associazione è stata fondata nell’ottobre 2019 da un gruppo di aziende che, fin da subito, si è data l’obiettivo di uno standard. Allora non c’era nemmeno una definizione di upcycled food, quindi la prima cosa è stata crearne una. In collaborazione con il mondo della ricerca, l’industria, il settore non profit e rappresentanti di alcune agenzie governative americane, abbiamo redatto un documento che definiva cos’è l’upcycled food e che è poi stato la base per iniziare a parlare della creazione di uno standard. Quindi, di fatto, fin dalla creazione dell’associazione abbiamo lavorato per questo obiettivo.

Che tipo di cambiamenti vi aspettate di vedere nel settore come conseguenza dell’applicazione dello standard?

La certificazione permette ai consumatori di sapere cosa cercare sulle confezioni per identificare i prodotti che contribuiscono alla riduzione dello spreco alimentare. Anche se sappiamo che Project Drawdown [un gruppo che si occupa di individuare soluzioni ai cambiamenti climatici, nda] ha identificato la riduzione e prevenzione dello spreco alimentare come la soluzione numero uno per combattere i cambiamenti climatici e anche se grosse catene come Whole Foods sostengono che l’upcycled food sarà la tendenza di punta del settore alimentare nel 2021, non c’è ancora una comunicazione coerente che consenta ai consumatori di sapere che questo è un prodotto che combatte lo spreco alimentare. Quando la certificazione arriverà sulle confezioni presenti sul mercato, speriamo che al consumatore arriverà un messaggio chiaro e unificato. Inoltre, dal momento che sono certificati anche i singoli ingredienti, un produttore che voglia utilizzare prodotti upcycled ma non ha le conoscenze o la capacità di impostare la filiera, utilizzando ingredienti che qualcun altro ha creato, certificato e messo in commercio, quel produttore avrà una via molto più facile per realizzare un suo prodotto idoneo alla certificazione. Non dovranno identificare da sé gli ingredienti upcycled. Speriamo quindi che lo standard consenta alle aziende di aumentare l’uso di ingredienti upcycled.

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Cosa vedrà il consumatore sulla confezione? Ci sarà un logo che identifica i prodotti upcycled?

Avremo un marchio di certificazione, un po’ come il simbolo del biologico.

La certificazione è sicuramente un passo importante ma ci sono ancora tanti pregiudizi rispetto a questi prodotti. Cosa pensa che vada fatto per cambiare la percezione del pubblico?

Sappiamo che oltre il 90 per cento della popolazione vuole ridurre lo spreco alimentare. E sappiamo che, una volta che viene loro spiegato cos’è l’upcycled food, più del 50 per cento delle persone vorrebbe vederne di più sugli scaffali dei negozi. In generale sappiamo che i consumatori sono interessati a pratiche più sostenibili. C’è quindi una fame di questi prodotti. È entusiasmante oggi vedere sugli scaffali, accanto a prodotti tradizionali, marchi che hanno prodotti molto simili e davvero eccezionali che includono questo interessante e innovativo approccio alla sostenibilità. Come associazione, siamo felici di poter collaborare con rivenditori e aziende per raccontare le storie di questi marchi e prodotti, di avere l’opportunità di spiegare che non si tratta di cibo preso dai cassonetti ma di prodotti pensati, coltivati e processati per uso umano, ma che finora non sono stati sfruttati al meglio e non hanno trovato il loro valore d’uso più alto e che sono non soltanto sicuri per uso alimentare, ma spesso hanno anche interessanti valori nutrizionali. In fondo non è un concetto completamente nuovo: il pane secco è sempre stato utilizzato per fare il pangrattato. È solo un modo nuovo di guardare a ingredienti che sono sempre stati lì, ma finora sono stati ignorati. Bisogna poter comunicare tutto questo.

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