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venerdì, Novembre 15, 2024

Alla Cop28 agricoltura e sistemi alimentari in primo piano. È stata veramente la “Cop del cibo”?

Per la prima volta la Cop28 di Dubai ha messo sotto i riflettori gli impatti dei settori agroalimentari e il ruolo chiave che questi possono avere per la resilienza climatica. Ancora una volta però non mancano certo le contraddizioni. Tra le delegazioni è ben rappresentata anche la lobby delle multinazionali del settore

Maria Marano
Maria Marano
Ha conseguito la laurea in Relazioni e Politiche Internazionali e un master in Diritto dell’Ambiente. Collabora da anni con A Sud e il Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali nel campo della ricerca sui temi delle migrazioni climatico-ambientali. Nel 2016, nel 2018 e nel 2023 ha curato le prime tre edizioni del report Crisi Ambientali e Migrazioni Forzate. Collabora su questi temi anche con il Centro Studi e Ricerche IDOS. Ha maturato esperienza lavorativa nel settore della cooperazione internazionale allo sviluppo, in Italia e all’estero, in ambito non governativo e accademico. Dal 2012 lavora nel settore della programmazione, gestione, attuazione dei fondi europei a gestione indiretta, con particolare riferimento alle tematiche ambientali e della capacity building

Ufficialmente la Cop28 dovrebbe terminare oggi, martedì 12 dicembre. Ma l’ultima bozza presentata dalla presidenza del discusso Sultan Al Jaber ha lasciato talmente tante insoddisfazioni che, c’è da giurarci, le discussioni proseguiranno ancora a lungo. In attesa dunque di capire cosa resterà di una conferenza annuale sui cambiamenti climatici organizzata da uno Stato fossile, la Cop28 di Dubai potrebbe essere ricordata per altri risultati. Come insegna ad esempio la giornata del 10 dicembre,dedicata a “cibo, agricoltura e acqua”. Non solo una giornata tematica ma una conferenza mondiale sul clima che per la prima volta ha messo sotto i riflettori gli impatti dei settori agroalimentari e il ruolo chiave che questi possono avere per la resilienza climatica, se resi sostenibili.

Oltre un terzo delle emissioni di gas serra di natura antropica è attribuito al modo in cui produciamo cibo (dall’utilizzo del suolo e delle risorse idriche, alla deforestazione, agli imballaggi, allo smaltimento dei rifiuti, fino al trasporto, per poi arrivare allo spreco alimentare), con il 57% delle emissioni derivate dall’allevamento, responsabile di circa il 32% delle emissioni di metano, un gas serra con un impatto climalterante 80 volte più potente dell’anidride carbonica su un arco di 20 anni. Ad avere un peso maggiore su scala globale sono principalmente i Paesi come la Cina, l’Indonesia, gli Stati Uniti, il Brasile, l’Unione europea e l’India.

Ma prima di parlare del settore agroalimentare è necessario fare un passo indietro e guardare allo stato di salute del suolo: a livello mondiale il 52% dei terreni agricoli è già in una condizione di degrado e se la tendenza non sarà arrestata il 90% della superficie terrestre potrebbe essere degradata entro il 2050. In Europa attualmente tra il 60-70 % dei suoli dell’UE risulta insalubre e nel caso specifico dell’Italia, come ci racconta l’ISPRA, le cose non vanno certamente meglio: ogni secondo vengono persi 2,4 m2 di suolo, vale a dire 77 km2 l’anno, con una riduzione anche della disponibilità di terreni agricoli e costi associati alla perdita di servizi ecosistemici per 9 miliardi di euro annui.

Leggi anche: Perché alla Cop28 l’Italia non fa nulla per sostenere l’uscita dai combustibili fossili

Cop28, è possibile eliminare la fame restando entro i limiti di 1,5°C?

L’artificializzazione del territorio incide fortemente sul clima così come sulla gestione delle risorse idriche e sui sistemi alimentari. Va evidenziato che proprio dalla relazione simbiotica tra suolo e acqua proviene il 95% del cibo che mangiamo. Il degrado del suolo, tra le altre cose, fortifica un mondo già affamato e con una popolazione in crescita. Al riguardo, il rapporto congiunto “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo” delle Agenzie delle Nazione Unite con competenze in materia di alimentazione, salute, agricoltura e infanzia (PAM, IFAD, OMS, FAO e UNICEF) dà una dimensione del problema evidenziando che nel 2022 sono state 735 milioni le persone (vale a dire 1 persona su 10) malnutrite a causa degli effetti del caos climatico, delle guerre e della pandemia. Altresì, l’importanza vitale del legame tra suolo e acqua è stata portata dalla FAO al centro dell’edizione 2023 della Giornata mondiale del suolo.

L’iniziativa, celebrata come ogni anno il 5 dicembre, si è ritrovata quest’anno nel bel mezzo della Conferenza mondiale sul clima di Dubai. Proprio in sede di Cop28 la FAO ha lanciato la roadmap globale per sradicare la fame restando entro i limiti di 1,5°C, un percorso che prevede per i prossimi tre anni un ventaglio di soluzioni in dieci distinti ambiti, tra i quali l’energia pulita, le colture, la pesca e l’acquacoltura, le perdite e gli sprechi alimentari, le foreste e le zone umide, per arrivare a una trasformazione dei sistemi agroalimentari e alla riduzione delle emissioni di metano del 25% entro il 2030, raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2035, nonché trasformare i sistemi in pozzi di carbonio (come gli oceani e le foreste) entro il 2050.

Leggi anche: Cop28, un appello per riconoscere l’oceano come un alleato nei negoziati sul clima

Clima e fame: quanto sono sostenibili le dichiarazioni di Dubai

Alla Cop28 152 Paesi, tra questi anche l’Italia, hanno sottoscritto la Dichiarazione “Agricoltura Sostenibile, Sistemi Alimentari Resilienti e Azione per il Clima”. Lo scopo dichiarato è quello di adattare e trasformare i sistemi alimentari per rispondere ai cambiamenti climatici e contribuire alla riduzione delle emissioni globali, nonché concorrere alla lotta globale contro la fame.

Cinque gli obiettivi principali menzionati del documento, ai quali però non sono associati obiettivi quantitativi:

  1. aumentare le attività per l’adattamento e la resilienza al fine di ridurre la vulnerabilità degli gli agricoltori, pescatori e altri produttori alimentari agli impatti dei cambiamenti climatici, anche attraverso il sostegno finanziario e tecnico;
  2. promuovere la sicurezza alimentare e la nutrizione aumentando gli sforzi per sostenere le persone vulnerabili attraverso sistemi di protezione sociale e reti di sicurezza, programmi di alimentazione scolastica, ricerca mirata e innovazione;
  3. sostenere i lavoratori del settore agricolo e dei sistemi alimentari i cui mezzi di sussistenza sono minacciati dai cambiamenti climatici, per mantenere un lavoro inclusivo e dignitoso;
  4. rafforzare a tutti i livelli la gestione integrata dell’acqua nell’agricoltura e nei sistemi alimentari per garantire la sostenibilità e ridurre gli impatti negativi sulle comunità;
  5. massimizzare i benefici climatici e ambientali associati all’agricoltura e ai sistemi alimentari conservando, proteggendo e ripristinando il territorio e gli ecosistemi naturali, migliorando la salute del suolo e la biodiversità, passando a pratiche di produzione più sostenibili.

L’impegno dei Paesi firmatari è anche quello di includere l’agricoltura e i sistemi alimentari nei rispettivi Contributi determinati a livello nazionale (NDC) per la riduzione delle emissioni e nei Piani di adattamento nazionale (NAP). Attualmente, secondo i dati di Slow Food Italia, il 70% dei Piani non prevede strategie in tal senso.

Sebbene la Dichiarazione sia unica nel suo genere e potrebbe aiutare a muovere i primi passi in chiave di sostenibilità in un settore che per troppo tempo è stato considerato l’elefante nella stanza in sede di negoziati sul clima, il documento, oltre a non essere vincolante, risulta alquanto vago. Manca un esplicito riferimento ai combustibili fossili, è assente un focus sulla necessità di un cambiamento significativo verso diete prevalentemente vegetali e sull’impatto degli allevamenti intensivi. Inoltre non risultano target fissati in riferimento allo spreco alimentare.

La Cop28 di Dubai, con i suoi menù quasi completamente vegetali, sta per terminare, a riflettori spenti capiremo quanto effettivamente questa sia stata, nel bene e nel male, la Cop del cibo. O se, come nel caso dei combustibili fossili, potrebbero prevalere le istanze portate avanti dalla presidenza di Sultan Al Jaber.

Leggi anche lo SPECIALE | COP28

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