C’è tempo fino al 2 aprile per presentare le proprie osservazioni alla proposta del governo sul Piano nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha avviato infatti lo scorso 16 febbraio la fase di consultazione pubblica (art.13 comma 5 del decreto legislativo) per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS): si tratta cioè di uno degli ultimi passaggi per l’adozione, anche in Italia, di uno degli strumenti principali per contrastare la crisi climatica in corso.
Un iter molto complesso, tanto che il sito Valigia Blu l’ha definito un’odissea in un articolo che spiega come il Piano (che si attende almeno dal 2012) dovrebbe essere lo strumento operativo di una Strategia che è stata approvata nel 2015. “Al netto delle promesse – si legge nel pezzo di VB – l’iter del PNACC è tornato esattamente allo stesso punto in cui si era bloccato la prima volta”. Sarà la volta buona? E perché dovrebbe proprio esserlo?
Leggi anche: Non è maltempo, è crisi climatica: la tragedia delle Marche ribadisce che serve cambiare rotta
Cos’è il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici?
Come scrive lo stesso MASE, il “Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) è uno strumento di pianificazione nazionale per supportare le istituzioni nazionali, regionali e locali nell’individuazione e nella scelta delle azioni di adattamento più efficaci a seconda del livello di governo, del settore di intervento e delle specificità del contesto, favorendo l’integrazione dei criteri di adattamento nei processi e negli strumenti di pianificazione. Nello specifico, il PNACC fornisce una base comune di dati, informazioni e metodologie di analisi utile alla definizione dei percorsi settoriali e/o locali di adattamento ai cambiamenti climatici allo scopo di contenere la vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici, ad aumentare la resilienza agli stessi e a migliorare le possibilità di sfruttamento di eventuali opportunità”.
Ma cosa succederà dopo il 2 aprile, ultimo giorno a disposizione per depositare le proprie osservazioni sulla proposta del governo per il PNACC? A spiegarlo è lo stesso ministero. “Esaminate le osservazioni e conclusa la procedura di VAS – si legge sul sito del MASE – il testo andrà all’approvazione definitiva con decreto del Ministro. Si procederà poi all’insediamento dell’Osservatorio Nazionale, che dovrà garantire l’immediata operatività del Piano attraverso l’individuazione delle azioni di adattamento nei diversi settori. L’Osservatorio definirà le priorità, individuerà i soggetti interessati e le fonti di finanziamento, oltre che le misure per rimuovere gli ostacoli all’adattamento. I risultati di questa attività potranno convergere in piani settoriali o intersettoriali, nei quali saranno delineati gli interventi da attuare”. La speranza è che questi passaggi possano essere effettuati entro l’anno. I timori sono due: un ulteriore allungamento dei tempi e, soprattutto, un’adozione solo formale del Piano, dato che si parla comunque di “interventi da attuare” in non meglio specificati “piani settoriali o intersettoriali”.
Leggi anche: Overshoot day, l’urgenza delle piccole rivoluzioni per ripianare il debito con il Pianeta
Cosa c’è nel piano di adattamento proposto dal governo
Sono un centinaio (esattamente 103) le pagine della proposta del governo Meloni del PNACC. Il documento, risalente a dicembre 2022, è liberamente consultabile. Prima però di addentrarci nei contenuti c’è una grande questione di metodo da affrontare: i dati riportati e analizzati dagli esperti e dalle esperte del ministero sono vecchi. Se è vero che è una mancanza strutturale con cui tutti i report climatici devono fare i conti, dato che la climatologia è probabilmente la scienza più in evoluzione e che anche la politica a livello globale pone continuamente nuovi e sfidanti obiettivi, è altrettanto innegabile che alcune lacune sono evidenti e rischiano di inficiare l’applicazione del Piano.
Basti pensare che nel documento del governo non viene riportato l’ultimo report dell’IPCC dedicato esclusivamente all’adattamento e che l’analisi del clima italiano si basa sul periodo di riferimento 1981-2010, escludendo gli anni in cui i cambiamenti climatici si sono fatti più evidenti. Più aggiornata in questo senso è la Piattaforma nazionale sull’adattamento ai cambiamenti climatici, realizzata dal ministero dell’Ambiente e da ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), un portale che “vuole informare e informare e sensibilizzare i cittadini e i portatori di interessi sulla tematica dell’adattamento” e vuole “rendere disponibili dati e strumenti utili a supportare la pubblica amministrazione nei processi decisionali”.
Adattarsi ai cambiamenti climatici vuol dire considerarne gli effetti irreversibili e adottare le misure necessarie per attutirne i danni. Ma quali sono queste misure? “Esempi di misure di adattamento – si legge nel Piano del governo – sono modifiche infrastrutturali su larga scala, come la costruzione di difese per la protezione di persone o strutture dall’innalzamento del livello del mare, e cambiamenti comportamentali, come la riduzione degli sprechi alimentari da parte dei singoli. Misure soft: includono misure di policy, giuridiche, sociali, gestionali, finanziarie, che possono modificare il comportamento e gli stili di vita, contribuendo a migliorare la capacità adattiva e ad aumentare la consapevolezza sui temi del cambiamento climatico. Misure verdi: prevedono azioni basate sulla natura/ecosistemi, che impiegano i servizi multipli forniti dagli ecosistemi naturali per migliorare la resilienza e la capacità adattiva. Misure infrastrutturali/tecnologiche: interventi fisici e/o misure costruttive utili a rendere gli edifici, le infrastrutture, le reti, i territori, più resilienti ai cambiamenti climatici”.
Tra le misure settoriali è stato individuato un insieme di 361 azioni di adattamento “alle quali è stata applicata una metodologia di valutazione che ha portato all’attribuzione, ad ogni singola azione, di un giudizio di valore (basso, medio, medio-alto e alto) rispetto ad alcuni criteri selezionati nell’ambito della letteratura disponibile (efficienza, efficacia, effetti di secondo ordine, performance in presenza di incertezza, implementazione politica)”.
Si sottolinea poi che “la maggior parte delle azioni individuate (il 76,7%) ha un carattere intersettoriale in grado di produrre effetti su più settori contemporaneamente”. Insomma: il piano di adattamento non dovrà essere affrontato come qualcosa di esclusivo interesse del ministero dell’Ambiente ma dovrà essere la bussola dell’intero governo. Un monito che appare di difficile applicazione in un’era in cui gli interessi prevalenti sono ancora quelli fossili, come dimostra la recente teoria del governo Meloni di fare dell’Italia un hub del gas.
In più “dalla distribuzione delle relazioni reciproche tra le azioni emerge che l’agricoltura, gli insediamenti urbani, le foreste e le risorse idriche sono i nodi più significativi della rete poiché su di essi convergono e da essi si diramano un elevato numero di azioni che interessano anche altri settori”. Il Piano si preoccupa poi di individuare le possibili fonti di finanziamento per sostenere le azioni di adattamento (anche se non le quantifica), sostenendo tra le altre cose che “un riordino della fiscalità che promuova maggiormente l’utilizzo degli strumenti fiscali ambientali produrrebbe un doppio beneficio: quello di ridurre gli impatti negativi sul clima e quello di ridurre l’impatto fiscale altri temi, tra cui quello sul lavoro”. Infine per quanto riguarda la “governance dell’adattamento” si auspica anche l’intervento di una non meglio precisata “società civile” e si ribadisce che “nell’ottica di garantire la circolarità delle risorse, la struttura di governance del PNACC dovrà garantire una stretta sinergia con l’Osservatorio sull’attuazione della strategia nazionale dell’economia circolare”.
Leggi anche: Gli impatti della crisi climatica e l’importanza dell’adattamento nel nuovo report Ipcc
Cosa dovrebbe esserci nel piano di adattamento
Affinché sia un piano concreto, l’adattamento dovrebbe essere vincolante per ogni pianificazione: dal locale (si pensi ai piani regolatori dei Comuni) al nazionale (per esempio sulla valutazione delle grandi opere). Altrimenti il PNACC resterà uno strumento di buone intenzioni e poco più. Questo però è soltanto uno degli spunti che si possono offrire sulla proposta del governo.
Per migliorare ulteriormente il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici chiediamo un contributo anche a chi ci legge: è un invito rivolto alle associazioni, ai singoli, alle imprese a inoltrarci spunti e contributi all’indirizzo mail redazione@economiacircolare.com. Con la consapevolezza che la strada dell’adattamento deve andare in parallelo a quella della mitigazione e, più in generale, al cambio di paradigma estrattivista. Proprio quel cambio di paradigma che l’economia circolare auspica e incentiva.
Leggi anche: Città in balìa degli eventi atmosferici estremi: è l’ora dell’adattamento
© Riproduzione riservata