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venerdì, Novembre 15, 2024

Coste italiane, dal 2010 eventi meteo estremi in un Comune su tre

Report di Legambiente sulle spiagge italiane minacciate da crisi climatica, innalzamento dei mari, erosione, inondazioni, consumo di suolo

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Redazione EconomiaCircolare.com

Non turismo ma bufere di vento, grandinate, inondazioni, erosione, consumo di suolo, ondate di calore: i protagonisti dell’ultimo report di Legambiente (Spiagge 2023. La situazione e i cambiamenti in corso nelle aree costiere italiane) sono appunto le spiagge italiane, ma non nell’ottica delle vacanze estive bensì di fenomeni estremi che le mettono a rischio minacciando il territorio e la vita delle persone. “Spiagge e aree costiere – sottolinea l’associazione – sono tra le zone più fragili e in sofferenza della Penisola. A pesare in primis gli impatti della crisi climatica, il riscaldamento delle acque del mare, e soprattutto gli eventi meteo estremi che colpiscono sempre di più i comuni costieri”. Abbiamo davanti, spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, “una delle cartine di tornasole più importanti, insieme alle aree urbane, soprattutto per analizzare gli impatti che la crisi climatica sta già portando insieme agli eventi meteo estremi e al riscaldamento delle acque. Si tratta infatti di aree al centro dell’hot spot climatico del Mediterraneo e quindi particolarmente vulnerabili e che, in futuro, lo saranno ancor di più a causa dell’innalzamento del livello dei mari”.

 I numeri degli eventi meteorologici estremi

“Le coste – leggiamo nel documento – sono senza dubbio tra gli ambiti ter­ritoriali che stanno subendo sempre più costan­temente gli impatti e i danni provocati dagli eventi meteo-idro (come definiti dalla Protezione Civi­le1), ossia quegli eventi che si verificano nell’am­bito del rischio meteo-idrogeologico e idraulico e i cui effetti sul territorio sono determinati da condizioni meteorologiche avverse e fortemente condizionati anche dall’azione dell’uomo”. Dal 2010 al giugno 2023, secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, sono 712 gli eventi meteo estremi (1.732 quelli totali che hanno colpito il Paese) che hanno interessato i Comuni costieri. Nel dettaglio:254 allagamenti da piogge intense, 199 danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 84 danni alle infrastrutture da piogge intense, 64 danni da mareggiate, 46 esondazioni fluviali, 21 frane da piogge intense, 19 danni da grandinate, 10 danni da siccità prolungata, 9 danni al patrimonio storico da piogge intense e 6 casi di temperature record. Le Regioni più colpite sono state la Sicilia, con ben 154 eventi estremi, la Puglia con 96, la Calabria (77) e la Campania (73). Tra i Comuni spiccano Bari, con 43 casi, Agrigento con 32, Genova con 27, Palermo e Napoli entrambe con 23 casi e Ancona con 22.  

Nel complesso i Comuni costieri coinvolti sono stati 240: il 37,3% dei 643 Comuni costieri italiani. Drammatici i dati che si riferiscono alle vitti­me: sono state 186, il 56,2% del totale italiano tragicamente legato a questo tipo di eventi.

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Mare bollente ed erosione

Sono emersi, racconta Legambiente, “effetti di cambiamenti graduali avvenuti negli ultimi de­cenni, primo fra tutti quello della temperatura dei mari”. Secondo le rilevazioni satellitari dell’Istituto di scienze dell’at­mosfera e del clima (Isac) del Cnr, nel 2021 il Mediterraneo lungo le coste italiane è risultato dai 3 ai 4°C più caldo della media storica. Una si­tuazione che si è ripetuta, anche nel corso dell’e­state 2022, come illustrato chiaramente dalle immagini satellitari Copernicus, con anomalie di 5°C già a metà giugno tra Corsica e Toscana, nel Mar Ligure e tra le Baleari e le coste orientali della Spagna.

Preoccupanti anche i dati sull’erosione costiera: tra il 2006 e il 2019 sono stati modificati 1.771 km di costa naturale bassa su 4.706 km in totale, pari al 37,6% (dati Ispra). “Uno dei problemi – denuncia Legambiente – è che in Italia si continua ad intervenire con opere come pennelli e barriere frangiflutti, arrivando in totale a ben 10.500 opere rigide lungo le coste italiane, quasi 3 ogni 2 chilometri di costa. Si tratta di opere che artificializzano ulteriormente la linea di costa e che, come provato su molti litorali, modificano inevitabilmente le correnti marine e spostano semplicemente il problema su altri tratti di coste”. 

Consumo di suolo

Tra i mali che affliggono le nostre coste non poteva mancare il consumo di suolo, che nei Comuni costieri italiani è stato pari ad oltre 420mila ettari al 2021 che corrisponde al 27% del totale di suolo consumato in Italia, con un incremento vicino al 6% rispetto al dato 2006.

Le conseguenze del consumo di suolo “sono molteplici e riguardano in primo luogo la perdi­ta di biodiversità, il degrado ambientale e la compromissione delle risorse naturali”. L’in­cremento delle attività edilizie e la conversione dei terreni agricoli in zone residenziali o turistiche “hanno avuto ed hanno tuttora un impatto signi­ficativo sull’ecosistema costiero, compromet­tendone l’equilibrio idrogeologico e la fruibilità di risorse naturali. Tutto questo, come dimostra la tragedia di Ischia dello scorso novembre, ma anche le alluvioni di Genova e Olbia, può influen­zare l’equilibrio idrogeologico, aumentando il ri­schio di frane, alluvioni e degrado delle risorse idriche”, fa notare Legambiente.

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Inondazioni

Sono “migliaia i chilometri quadrati di aree costie­re che rischiano di essere sommerse dal mare, in uno scenario al 2100 e in assenza di interventi di mitigazione e adattamento”, avverte Legambiente. Nel nostro Paese sono 40 le aree a maggior rischio, secondo le elaborazioni di Enea.

Le zone interessate sono quelle dell’area nord adriatica della Pianura Padano-Veneta tra Trieste, Venezia e Ravenna; la foce del Pescara, del Sangro e del Tronto in Abruzzo; l’area di Le­sina e di Taranto in Puglia; La Spezia in Liguria, tratti della Versilia, Cecina, Follonica, Piombino, Marina di Campo sull’Isola d’Elba e le aree di Grosseto e di Albinia in Toscana; la piana Ponti­na, di Fondi e la foce del Tevere nel Lazio; la pia­na del Volturno e del Sele in Campania; le aree di Cagliari, Oristano, Fertilia, Orosei, Colostrai (Muravera) e di Nodigheddu, Pilo, Platamona e Valledoria (Sassari), di Porto Pollo e di Lido del Sole (Olbia) in Sardegna; Metaponto in Basilica­ta; Granelli, Noto, Pantano Logarini e le aree di Trapani e Marsala in Sicilia; Gioia Tauro e Santa Eufemia (Catanzaro) in Calabria.

In media, ricorda l’associazione, l’innalzamento del mare lungo le coste italiane a fine secolo è stimato tra 0,94 e 1,035 metri (se si considera un modello cautelativo) e tra 1,31 metri e 1,45 metri (su base meno prudenziale).

“Approvare il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”

Tutti queste minacce ci confermano, spiega ancora Stefano Ciafani, che “è fondamentale intervenire con azioni concrete per le aree costiere approvando il piano nazionale di adattamento al clima e attuando piani e strumenti di governance che riducano il rischio per le persone, le abitazioni e le infrastrutture, e che permettano di programmare interventi volti al miglioramento della gestione dei territori”. Sono sette gli interventi che Legambiente chiede al governo Meloni di mettere in campo. Tra gli altri, approvare in via definitiva il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (al momento fermo dopo la fase di Valutazione ambientale strategica); superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi con opere rigide per la difesa delle coste dall’erosione; adottare misure di adattamento per ridurre il rischio di inondazioni nelle zone costiere (come, ad esempio, interventi di rinaturalizzazione delle coste, ricostituendo le fasce dunali e zone umide e paludose) oltre “ad un serio ragionamento sulla delocalizzazione di abitazioni e sistemi produttivi dalle aree più ad alto rischio”. E poi approvare la legge sullo stop al consumo di suolo; ristabilire la legalità e fermare il cemento sulle spiagge. Infine Legambiente chiede di rilanciare a livello nazionale e locale la costruzione e l’adeguamento e/o la messa in regola dei sistemi fognari e di depurazione.  

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