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giovedì, Novembre 14, 2024

Il ruolo dei dati nell’economia circolare

Se il futuro è nell'economia circolare, come crede questa testata, e nei dati, come credono in tanti, come far combaciare questi due aspetti? L'utilizzo di indicatori chiari e aperti è cruciale per misurare rischi e opportunità: su ciò si interrogano l'Unione europea, le imprese, le ong e le città

Antonio Carnevale
Antonio Carnevale
Nato a Roma, giornalista pubblicista dal 2012, autore radiofonico ed esperto di comunicazione e new media. Appassionato di sport, in particolare tennis e calcio, ama la musica, il cinema e le nuove tecnologie. Da qui nasce il suo impegno su StartupItalia! e Wired Italia, dove negli anni - spaziando tra startup, web, social network, piattaforme di intrattenimento digitale, robotica, nuove forme di mobilità, fintech ed economia circolare - si è occupato di analizzare i cambiamenti che le nuove tecnologie stanno portando nella nostra società e nella vita di tutti i giorni.

Il futuro è nei dati. Questo ormai non stupisce più: il mercato si è spostato sulla rete, siamo bersagliati quotidianamente da migliaia di informazioni, ci muoviamo tra smartphone, assistenti vocali e dispositivi IoT che gestiscono quantità gigantesche di dati per guidare le nostre azioni. Questa crescita tecnologica esponenziale ha trasformato i dati in una risorsa preziosa, quello che il matematico inglese Clive Humby, nell’ormai lontano 2006, definì “il nuovo petrolio”.

Ciò che ancora non avevamo preso in considerazione però, è che i dati potessero svolgere un ruolo chiave nell’accrescere le nostre conoscenze e nel guidare tecnologie utili ai cittadini per muoversi verso un futuro sostenibile.

L’economia circolare ci può aiutare ad affrontare le sfide globali, dal cambiamento climatico alla perdita di biodiversità, dalla carenza di risorse alla gestione dei rifiuti e sono proprio le nostre azioni a guidare questo cambiamento. Ma, per far sì che questo possa funzionare, abbiamo bisogno di riuscire a conoscerne e interpretarne i risultati. L’utilizzo dei dati e di metriche chiare e comparabili è indispensabile per valutare il successo delle nostre azioni e pianificare quelle future.

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Gli open data e l’economia circolare

I dati, quindi, possono aiutarci a realizzare algoritmi in grado di prevedere determinate tendenze e aiutare cittadini, amministrazioni e imprese ad attuare le misure necessarie per aumentare la circolarità. Le fasi di raccolta, elaborazione e analisi delle informazioni ottenute attraverso gli open data risulta strategica per guidare un migliore processo decisionale sull’uso efficiente delle risorse.

Nel suo paper dal titolo “Open Data and the Circular Economy”, il Portale europeo dei dati sottolinea come, ad oggi, sono soprattutto tre le aree in cui gli open data hanno un impatto importante sull’economia circolare: nella creazione di un sistema alimentare più sostenibile, in una gestione efficiente delle risorse e ottimizzazione dei rifiuti e nella riduzione dell’inquinamento.

È il caso, ad esempio, di Smartchain che, raccogliendo i dati su catene di approvvigionamento, produzione e distribuzione, lo stato dei prodotti, dei mercati e il quadro normativo, ha costruito una piattaforma innovativa per sostenere le filiere alimentari corte e collaborative in Europa. O di app come EcoCity che, mediante la geolocalizzazione, le informazioni su centri di raccolta e servizi porta a porta e le foto inviate dagli utenti, monitora la gestione dei rifiuti nelle città e fissa una serie di obiettivi per ridurre la produzione di rifiuti e aumentare il riciclo.

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Come misurare la circolarità

In questi mesi di pandemia, tutti abbiamo potuto toccare con mano il valore e l’impatto dei dati sulle nostre vite. La necessità di rispondere all’emergenza sanitaria ed economica ha portato molti paesi a iniziare a pubblicare i dati su aspetti quali contagi, tassi di vaccinazione, produzione di vaccini, presenze ospedaliere, disponibilità di dispositivi di protezione e quant’altro. E a sviluppare sistemi, infografiche e modelli comunicativi per renderli comprensibili a tutti.

Secondo lo studio di Capgemini dal titolo “Open Data Maturity Report 2021”, elaborato su richiesta della Commissione europea e dell’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, nel 2021 i 27 Stati membri dell’Unione europea hanno fatto registrare miglioramenti in tutte le dimensioni di valutazione degli open data (politica, impatto, portale e qualità), con un tasso complessivo di maturità dell’81%, tre punti percentuali in più rispetto al 2020.

Continua a crescere l’uso dei dati, come cresce la capacità dei paesi europei di promuovere la loro pubblicazione e riutilizzo, attraverso politiche adeguate e l’adozione di portali avanzati per la consultazione. Secondo Domenico Leone, public sector director di Capgemini in Italia, “creare un impatto sociale, economico o ambientale con l’aiuto degli open data può essere considerato l’obiettivo finale degli sforzi europei”.

Non a caso, la Commissione europea sta portando avanti una serie di azioni sui dati, che comprendono la creazione di spazi comuni, la realizzazione di sistemi armonizzati per l’industria per il monitoraggio e la gestione delle informazioni sulle sostanze pericolose, la diffusione di dati armonizzati sulle concentrazioni di microplastiche nell’acqua di mare.

Inoltre, la Strategia europea in materia di dati mira a rendere i data center dell’Ue neutri dal punto di vista climatico entro il 2030 e il piano di finanziamenti Orizzonte Europa sostiene lo sviluppo di indicatori e dati, materiali e prodotti innovativi che aiutino a guidare l’economia circolare.

Valutare l’andamento dell’economia circolare degli Stati membri poi, è un’esigenza primaria della Commissione Europea, per capire se le iniziative messe in campo stanno funzionando, monitorare i progressi e le criticità e identificare degli obiettivi comuni di lungo termine. A tal scopo l’Eurostat, ufficio statistico dell’Unione Europea, dedica una sezione del suo sito al monitoraggio dei livelli di economia circolare dei Paesi membri.

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Italia leader in riciclo e rinnovabili

La misurazione dell’economia circolare passa attraverso il monitoraggio degli aspetti fisici ed economici dei sistemi presi in esame. La piattaforma di monitoraggio di Eurostat ricalca le fasi dell’economia circolare ed è strutturata in quattro macroaree: “produzione e consumo”, “gestione dei rifiuti”, “materie prime secondarie” e “competitività e innovazione”.

Ogni area presenta una serie di dieci indicatori chiave che coprono tutte le fasi del ciclo, per misurare i progressi compiuti a livello nazionale ed europeo nella transizione verso un’economia circolare e individuare gli ambiti in cui sono necessarie misure supplementari.

Dalla piattaforma Eurostat, ad esempio, è possibile scoprire che il tasso di circolarità medio europeo, cioè la quota di materie prime secondarie impiegate nell’Ue, è del 12,8% e che l’Italia vanta uno dei tassi di circolarità maggiori in Europa, con il 21,6%.

Questo significa che siamo più bravi di molti altri Paesi nell’utilizzare materiali riciclati ed energie rinnovabili. Meglio di noi Olanda (30,9%), Belgio (23%) e Francia (22,2%), fanalino di coda invece la Romania (1,3%).

Anche sul tasso di riciclo medio (calcolato su tutti i rifiuti, esclusi i rifiuti minerali derivati dalle attività estrattive) facciamo registrare numeri importanti: siamo al 67%, contro una media europea del 55%. Stesso discorso sui rifiuti urbani – 51,4% contro il 47,7% europeo – e sul riciclo degli imballaggi: Europa 64,8%, Italia 69,6% (dati al 2019).

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Gli indicatori dell’economia circolare

Sebbene questi indicatori siano utili per dei confronti ad alto livello sulla circolarità di vari paesi, non sono sufficientemente dettagliati per determinare politiche complesse a livello nazionale o per tenere traccia degli impatti correlati. La transizione verso l’economia circolare rappresenta un cambiamento sistemico che coinvolge l’intera economia e riguarda tutti i prodotti e servizi.

Ad oggi, non esiste un indicatore che consenta di cogliere la complessità e i molteplici aspetti della transizione verso l’economia circolare. In sostanza, mentre è più facile monitorare la gestione dei rifiuti, più complesso è invece analizzare in maniera completa la circolarità dal punto di vista, ad esempio, della condivisione, dell’estensione della vita utile dei prodotti, del riutilizzo o della riparazione.

Per questo ci sono numerose iniziative attualmente in corso a livello internazionale per individuare il miglior approccio e gli indicatori utili per misurare tutti gli aspetti dell’economia circolare. Nell’ambito dell’Agenda 2030, ad esempio, sono stati elaborati diversi indicatori riconducibili all’efficienza nell’uso delle risorse e dell’economia circolare. Anche le Nazioni Unite hanno istituito un gruppo di esperti, l’International Resource Panel, che gestisce e aggiorna un database sui flussi di materiali per garantire un utilizzo sostenibile delle risorse naturali.

Esistono poi diverse iniziative non istituzionali, in particolare quelle promosse dalla Fondazione Ellen Mac Arthur e da Circle Economy, che propongono metodologie diverse per il monitoraggio dell’economia circolare.

In particolare, nell’ambito di un progetto cofinanziato dall’Unione Europea, la Fondazione Ellen MacArthur aveva creato già nel 2015 Circularity Indicators, uno strumento che ha permesso di fare importanti progressi nella misurazione della circolarità di un’impresa.

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Misurare la circolarità delle imprese

Ciò che è evidente, è che misurare i risultati finanziari non è più sufficiente per dire se un’azienda resisterà o meno alla prova del tempo. Per avere successo, le aziende devono necessariamente considerare il loro impatto sociale e ambientale.

Per farlo, diventa fondamentale utilizzare questi indicatori per capire se l’attività di business sta raggiungendo gli obiettivi previsti, creare nuovi prodotti o migliorare quelli esistenti. Secondo Jarkko Havas di Ellen MacArthur Foundation, “misurare i progressi e tenere traccia dei cambiamenti è un fattore essenziale nella transizione verso un’economia circolare”.

Poiché sempre più aziende hanno utilizzato modelli di economia circolare, sono state sviluppate numerose iniziative per misurare le prestazioni dell’economia circolare. La Ellen MacArthur Foundation, ad esempio, ha recentemente lanciato la versione 2.0. del suo nuovo strumento, Circulytics, dove ci sono gli indicatori di transizione circolare del World Business Council for Sustainable Development, mentre alcune realtà industriali hanno elaborato propri indicatori, che potrebbero essere facilmente applicabili anche ad altre aziende.

Avere accesso a metriche che valutano la performance dell’economia circolare di un’azienda può aiutare le organizzazioni a identificare opportunità e comprendere in quale punto della catena del valore sono esposti invece a dei rischi. Allo stesso tempo, consente di dimostrare a clienti, investitori e governi i loro livelli di attenzione ambientale e garantire un effetto positivo sull’intero sistema, aiutando a promuovere un’adozione più rapida e completa dell’economia circolare a livello nazionale.

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Un esempio concreto: il Circular City Index

È indubbio che oggi imprese e città abbiano a disposizione diversi indicatori che, se connessi ad una forte acquisizione di dati, possono fornire una valutazione sul grado di circolarità raggiunto. Un esempio su tutti: il Circular city index, lo strumento digitale che definisce il livello di circolarità urbana dei Comuni italiani.

La piattaforma digitale è stata sviluppata da Enel X, in collaborazione con il dipartimento di Economia e statistica dell’università di Siena ed è disponibile gratuitamente per tutti i comuni italiani sul portale YoUrban, per favorire il passaggio da un’economia lineare a un approccio circolare.

Analizza quattro ambiti chiave: digitalizzazione, ambiente ed energia, mobilità e rifiuti. Attraverso gli open data e il matching di normative e linee guida, nazionali ed europee, valuta il grado di implementazione di politiche e infrastrutture atte a migliorare le performance in ottica di economia circolare.

Nell’analisi complessiva, si evidenzia come i Comuni con popolazione superiore a 100mila abitanti registrino in media livelli più alti in termini di digitalizzazione, ma valori inferiori ai piccoli Comuni per quanto riguarda la gestione dei rifiuti. Non è un caso se il Circular City Index più alto si registra a Calderara di Reno, provincia di Bologna, poco più di 13mila abitanti.

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