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venerdì, Novembre 15, 2024

Sulle rinnovabili il governo affida la pianificazione alle regioni (al contrario delle energie fossili)

Dopo la prossima pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale sarà attivo il decreto sulle aree idonee per le rinnovabili. Atteso da oltre due anni, il testo concede 180 giorni alle regioni per individuare le aree idonee per le rinnovabili. Con l’obiettivo di aggiungere 80 gigawatt di potenza aggiuntiva al 2030

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Dovrebbe essere pubblicato sulla prossima Gazzetta Ufficiale di luglio il decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza sulle aree idonee per le rinnovabili. Sarà l’ultimo passo ufficiale prima dell’entrata in vigore di un atto molto atteso – e molto discusso – sul quale il governo Meloni punta teoricamente per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, fissati a livello europeo col pacchetto Fit for 55 e per i quali dovrebbero installarsi nei prossimi sei anni 80 gigawatt aggiuntivi di energie rinnovabili – soprattutto fotovoltaico ed eolico ma anche geotermico, idroelettrico e bioenergie.

Del decreto ministeriale sulle aree idonee si discute da oltre due anni, specie perché, in assenza della programmazione statale, le regioni si sono mosse in ordine sparso, optando qui e là per parziali divieti e momentanee moratorie. Mentre, allo stesso tempo, nel Sud Italia sono piovuti migliaia di progetti (a volte fatti col copia/incolla) che hanno provato a intercettare un’attenzione crescente verso le energie rinnovabili in Italia. Basti pensare che secondo l’annuale rapporto Irex – lo studio di Althesys che dal 2008 monitora il settore delle rinnovabili, analizza le strategie e delinea le tendenze future – “’l’industria italiana delle rinnovabili sta vivendo forse il suo momento migliore: gli investimenti in progetto quasi raddoppiati a 80 miliardi del 2023 contro i 41 dell’anno precedente mostrano chiaramente un eccellente stato di salute del settore”.

In questo scenario il decreto sulle aree idonee dovrebbe teoricamente sostenere e alimentare questo flusso. Per capirne di più serve dunque analizzare il testo. Con una premessa necessaria: come è purtroppo prassi da troppo tempo, nonostante gli annunci del MASE non è ancora possibile consultare il testo definitivo, per cui qui ci rifaremo all’ultima bozza circolante tra le chat telegram.

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Sulle rinnovabili più poteri alle regioni

In questi giorni si è tanto parlato di autonomia differenziata, la legge voluta dal governo che promette di restituire più poteri alle regioni sulla base della riforma costituzionale voluta dal centrosinistra nel 2001. E a guardare bene il testo sulle aree idonee per le rinnovabili viene da pensare che in fondo si tratta di una sorta di anticipazione di tale scenario. Dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, infatti, le regioni avranno 180 giorni per individuare le aree idonee, e quindi anche quelle non idonee, per ospitare le rinnovabili. Va tenuto presente che il testo è arrivato dopo un lungo lavoro di concerto tra ministeri – Ambiente, Cultura e Agricoltura – e soprattutto con le regioni, in un confronto che da solo è durato più di un anno.

Da ciò si intuisce la scelta del governo di affidare la pianificazione sulle rinnovabili alla regioni. Una scelta in controtendenza rispetto alle fonti fossili, dove invece il governo ha avocato a sè competenze e poteri: lo si è visto ultimamente ad esempio col rigassificatore di Piombino, installato nonostante l’opposizione del Comune (con il sindaco tra l’altro che fa parte di Fratelli d’Italia), e con il gasdotto Linea Adriatica, dove gli iniziali veti della Regione Abruzzo sono stati nel frattempo superati. Se è vero che il decreto stabilisce “principi e criteri omogenei per l’individuazione da parte delle Regioni delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili funzionali al raggiungimento degli obiettivi”, è altrettanto innegabile che consente loro ampi spazi di manovra. Un caso su tutti: rispetto alle aree non idonee già definite in passato, le Regioni potranno definire “aree cuscinetto” in cui non sarà possibile realizzare impianti e che potranno arrivare fino a una distanza di 7 chilometri dai beni tutelati.

Il decreto è inoltre retroattivo – i primi riferimenti partono dal 2021 – e per ogni regione si limita a stabilire, in una scarna tabella, gli obiettivi di potenza aggiuntiva per raggiungere i già citati 80 gigawatt in più al 2030.

obiettivi rinnovabili regioni

Nel testo si legge poi che “il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica provvede, con il supporto del Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A. e Ricerca sul Sistema Energetico – RSE S.p.A., al monitoraggio e alla verifica degli adempimenti in carico alle Regioni e Province autonome”.

Le verifiche verranno effettuate dall‘Osservatorio sugli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili, creato nel 2012 dall’ex Ministero dello Sviluppo Economico e di cui però in questi anni non si ricordano grandi prese di posizione rispetto ai cronici ritardi dell’Italia su questo versante. In caso di accertato e reiterato mancato raggiungimento degli obiettivi il MASE all’art.6 indica la necessità di adottare “le opportune iniziative ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi”. Basterà tale minaccia per convincere le regioni a operare in maniera coordinata – fatto che finora non è avvenuto sull’individuazione delle aree idonee? È il timore di tante e tanti. Lo stesso ministro Pichetto in un’intervista dopo la presentazione del decreto sulle aree idonee per le rinnovabili si è limitato a fare un invito alle regioni, in modo “possibilmente da evitare soluzioni esageratamente diversificate“.

Leggi anche: Cosa sta facendo il governo per contrastare la povertà energetica?

A chi piace il testo sulle aree idonee per le rinnovabili?

È il 7 giugno quando il MASE annuncia che in sede di Conferenza Unificata è stata raggiunta l’intesa tra Stato e Regioni. “Accogliamo l’accordo con grande soddisfazione, è un obiettivo raggiunto. Abbiamo sbloccato un decreto lungamente atteso, un nuovo tassello verso la decarbonizzazione” ha affermato in quell’occasione il ministro Gilberto Pichetto. “Grazie al lavoro di mediazione svolto, oggi abbiamo dunque un quadro chiaro di responsabilità per arrivare a un nuovo modello energetico al 2030, coerente con gli obiettivi PNIEC e con i tanti strumenti, penso al FER2 ma anche al decreto CER e a quello sull’agrivoltaico, costruiti per incentivare lo sviluppo delle rinnovabili”.

Se sul PNIEC – il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima – bisognerà comunque attendere il 30 giugno, data in cui il MASE dovrà inviare le linee strategiche dell’Italia su energia e clima alla Commissione europea, è innegabile che i toni trionfalistici del ministro Pichetto mal si conciliano con le reazioni a seguito dell’annuncio. Il 12 giugno Legambiente, Greenpeace e WWF hanno preso posizione con un comunicato congiunto. Criticando in maniera aspra la scelta del governo di affidarsi in maniera così ampia alle regioni e definendo il testo come “un’ulteriore barriera per lo sviluppo delle rinnovabili in Italia e quindi non solo per le politiche climatiche, ma anche per l’indipendenza e la sicurezza energetica”. Le tre associazioni ambientaliste attaccano il contesto generale sulla transizione energetica – come il mancato coinvolgimento della società civile nei lavori sul PNIEC e l’ostruzionismo verso gli impianti fotovoltaici previsto nel cosiddetto “decreto legge Agricoltura” – e poi nello specifico contestano il testo sulle aree idonee.

rinnovabili 2

“Il quadro autorizzativo per le rinnovabili diventa ancor più complicato, senza una cornice di principi omogenei capaci di indirizzare la successiva attività di selezione delle aree, da effettuarsi con leggi regionali. L’esito di questo percorso saranno leggi regionali disomogenee, che complicheranno ulteriormente il quadro regolatorio per le rinnovabili, già messo a durissima prova. Oltre all’aberrazione di inserire all’interno del decreto per le fonti rinnovabili un espresso riferimento al principio della neutralità tecnologica, che molto spesso nasconde la volontà di virare verso tecnologie fossili e/o non rinnovabili, Greenpeace, Legambiente e WWF osservano come i principali punti problematici della nuova versione del decreto riguardano proprio il rapporto Stato-Regioni: emblematica l’eliminazione di qualsiasi riferimento al necessario aggiornamento degli atti di pianificazione energetica, ambientale e paesaggistica, così come la piena – e arbitraria – discrezionalità delle Regioni nell’estensione della fasce di rispetto, per le aree che presentano beni culturali, fino a 7 km. Un problema non solo quantitativo, visto l’enorme patrimonio culturale, storico e naturale gran parte del nostro territorio è già sottoposto a numerose – e quasi tutte giuste – limitazioni da parte dello Stato e delle soprintendenze, ma anche economico, con l’aumento nel costo dei terreni rimasti disponibili, e soprattutto normativo in quanto questa libertà porterà le regioni in fase di individuazione delle aree a adottare criteri diversi”.

Insomma: questa sorta di anticipo dell’autonomia differenziata nel campo dell’energia non sembra convincere. Di certo sarà un banco di prova. Perché nella citata riforma costituzionale del 2001 si stabilì che l’energia avrebbe dovuto essere un tema concorrente – dunque con competenze a metà tra Stato e regioni. L’esito non certo incoraggiante di questi 20 anni non lascia ben sperare.

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