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venerdì, Novembre 15, 2024

Direttiva Energie Rinnovabili, luci e ombre del nuovo provvedimento Ue

Strasburgo approva le revisioni alla Direttiva RED III. Aumenta l’ambizione degli obiettivi per il 2030. Associazioni ambientaliste favorevoli alle modifiche con qualche critica e raccomandazione per il testo definitivo

Nicoletta Fascetti Leon
Nicoletta Fascetti Leon
Giornalista pubblicista, allevata nella carta stampata. Formata in comunicazione alla Sapienza, in giornalismo alla Scuola Lelio Basso, in diritti umani all’E.ma (European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation) di Venezia. Ha lavorato a Ginevra e New York nella delegazione UE alle Nazioni Unite. Vive a Roma e da nove anni si occupa di comunicazione ambientale e progetti di sostenibilità

Strasburgo alza l’asticella degli obiettivi europei in tema di energie rinnovabili. E non è un caso che lo faccia all’esordio di un autunno che si preannuncia critico dal punto di vista energetico, tra rincari del prezzo del gas e taglio delle forniture russe.

Il parlamento europeo in seduta plenaria, lo scorso 14 settembre, ha votato, infatti, l’aumento al 45% (dal 32% attualmente previsto) della quota di rinnovabili per il consumo finale di energia dei paesi dell’Unione, da raggiungere entro il 2030. “Solo l’espansione dell’energia rinnovabile – ha dichiarato il relatore Markus Pieper all’europarlamento – significa vera indipendenza”.

In coerenza con le politiche climatiche

L’ambizioso target, che si declina in una sere di sotto-obiettivi, è parte delle misure contenute nella revisione della Renewable Energy Directive (RED III). Una direttiva modificata più volte, per adeguarla agli obiettivi, sempre più ambiziosi, di riduzione delle emissioni dei gas serra, che prevedono oggi la neutralità climatica dell’Ue entro il 2050. Il Parlamento ha dunque votato la propria posizione, già delineata dalla Commissione Industria lo scorso luglio, che dovrà essere ora negoziata con il Consiglio Ue, per arrivare ai testi definitivi di due direttive: Efficienza Energetica e Rinnovabili 2030, entrambi provvedimenti del pacchetto Fit for 55.

La RED III, resa coerente anche con il recente Piano REPowerEU, nelle intenzioni della Commissione, “punta a stabilire principi e regole comuni per rimuovere gli ostacoli, stimolare gli investimenti e guidare la riduzione dei costi, dello sviluppo di tecnologie per l’energia rinnovabile”.

Leggi anche: Fit for 55, il Parlamento europeo si spacca. Le novità e le possibili conseguenze per l’Italia

Le ricadute del provvedimento

Questi propositi hanno ripercussioni su numerosi aspetti della vita economica, dal riscaldamento alla mobilità, dal mondo della produzione al settore dei rifiuti e del legno. La direttiva, ad esempio, indica gli obiettivi per il settore dei trasporti e il teleriscaldamento e raffreddamento degli edifici. Per i trasporti, l’impiego delle energie rinnovabili dovrebbe portare a una riduzione del 16% delle emissioni di gas serra, grazie all’uso di quote più elevate di biocarburanti avanzati e di carburanti rinnovabili di origine non biologica, come l’idrogeno. L’industria dovrebbe, invece, incrementare l’uso delle rinnovabili dell’1,9% all’anno e le reti di teleriscaldamento del 2,3%. Ogni Paese Ue dovrà, inoltre, sviluppare due progetti transfrontalieri per l’espansione dell’elettricità verde. I paesi con un consumo annuo di elettricità superiore a 100 TWh dovranno realizzarne un terzo entro il 2030. In alcuni emendamenti, infine, si chiede una riduzione graduale della quota di legno primario considerato come energia rinnovabile.

I punti critici restano

L’europarlamento sembra dunque fare sul serio e indicare una strada chiara nello sviluppo delle fonti rinnovabili. Tuttavia, c’è sempre qualche aspetto da migliorare. Così come chiedono le associazioni ambientaliste che fanno emergere alcuni punti critici di un provvedimento genericamente salutato con soddisfazione.

Zero Waste Europe (ZWE), per esempio, sebbene giudichi con favore le decisioni prese per contribuire ad accelerare la transizione verso un’economia circolare in Europa, in un comunicato stampa si dice rammaricata per un emendamento respinto. Si tratta della richiesta di escludere totalmente dall’ambito di applicazione della direttiva, le fonti ibride come i rifiuti urbani misti.

Rifiuti urbani misti, cosa sono?

I rifiuti urbani misti, i così detti “residui”, sono composti da un mix di materiali che spesso includono quelli fossili, come le plastiche. Il Parlamento ha rafforzato i criteri di sostenibilità per l’uso di tali rifiuti nella produzione di “energie rinnovabili”, prevedendo la selezione da parte degli operatori dei materiali fossili (per il riciclaggio). Inoltre, anche l’incenerimento dei rifiuti biogenici (rifiuti organici, carta, etc.) potrà essere sostenuto solo se gli obblighi di raccolta differenziata sono rispettati.

ZWE, sulla questione, tuttavia, puntualizza: “La direttiva sulle energie rinnovabili non dovrebbe consentire di fornire incentivi perversi per la combustione della ‘razione biodegradabile dei rifiuti misti’, poiché nel caso degli impianti di incenerimento, questa non viene mai bruciata senza che siano presenti anche materiali di derivazione fossile”.

Secondo ZWE, con l’incenerimento dei rifiuti misti, si perdono grandi quantità di plastica che dovrebbero e potrebbero essere riutilizzate o riciclate. Un recente rapporto sostiene, infatti, che l’introduzione dello smistamento obbligatorio su tutti i flussi di rifiuti “residui” (misti) urbani comporterebbe un tasso effettivo di raccolta degli imballaggi in plastica di oltre il 90%, consentendo agli Stati dell’Ue di raggiungere gli obiettivi di riciclaggio.

Leggi anche: Il nostro SPECIALE | INCENERIMENTO

Carburanti da rifiuti fossili: sono rinnovabili?

Le scelte dell’Ue avranno ricadute sullo sviluppo della filiera che produce energia da trattamento termico, nonché sul controverso sviluppo di carburanti alternativi e tecnologie come il riciclo chimico. Per esempio, un’ulteriore modifica apportata al testo della direttiva riguarda i recycled carbon fuel, ossia i combustibili derivati da rifiuti fossili, come le plastiche.

Negli ultimi anni, ricerca e industria hanno sperimentato, attraverso il riciclo chimico, la produzione di biocarburanti prodotti da rifiuti plastici, come alternativa, da un lato, all’incenerimenti dei rifiuti, dall’altro, all’uso del combustibile tradizionale. La nuova formulazione proposta dal Parlamento in merito alla metodologia ha eliminato il concetto di “emissioni evitate”, riferito alle emissioni da incenerimento delle plastiche destinate al biocarburante. Questa decisione eviterà che, attraverso un computo artificiale delle emissioni, il combustibile di carbonio riciclato sia considerato a basse emissioni, non potendo soddisfare la soglia di risparmio di gas serra di almeno il 70%, richiesta al settore trasporti per contribuire agli obiettivi sulle rinnovabili.

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Biocarburanti della discordia

Se questa nuova dicitura è considerata una miglioria da ZWE, altre critiche sono sollevate da Oxfam e Transport & Environment che ritengono un’occasione mancata, non aver posto immediatamente fine all’uso delle colture alimentari per produrre biocarburanti o, almeno, di aver definito restrizioni specifiche per questi biofuel di prima generazione, almeno durante i periodi di crisi alimentare. “Ciò significa che le attuali norme sui biocarburanti restano in vigore – spiegano in una nota – e l’Europa continuerà a bruciare l’equivalente di 15 milioni di pagnotte e 19 milioni di bottiglie di olio di girasole e colza ogni giorno per rifornire le sue auto e camion”.

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“Fuori le biomasse dalla RED”

Un ultima critica arriva da Partnership for Policy Integrity (PFPI), spalleggiata da un’ampia coalizione di ONG riunita sotto lo slogan “Forest Biomass out of RED”. Le organizzazioni ambientaliste chiedevano al parlamento di fare di più per proteggere le foreste europee. Si lamentano lacune nella definizione di “biomassa legnosa primaria”, che escluderebbe la legna delle foreste colpite da parassiti o disastri naturali e la biomassa ottenuta da misure di prevenzione degli incendi o di sicurezza stradale.

“Nonostante sia stata concordata una riduzione graduale dell’uso della biomassa legnosa primaria – lamenta PFPI – non esiste una definizione della traiettoria di riduzione fino al 2030”.

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