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venerdì, Novembre 15, 2024

Diritto alla riparazione, la doppia via: favorire chi ripara e convincere i consumatori a farlo

Prospettive del diritto alla riparazione e dei prodotti elettronici ricondizionati: i piani dell’Unione europea sul tema sono positivi, ma possono essere migliorati. Per creare un ecosistema favorevole allo sviluppo di un mercato basato sull’economia circolare

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Riciclare i componenti all’interno degli smartphone, dei tablet e dei computer onnipresenti nella vita di tutti i giorni è importante, certo, ma una reale riduzione degli impatti ambientali e lo sviluppo di un’economia circolare che vada oltre il riciclo è possibile solo se riparare gli apparecchi elettronici diventerà la normalità e i consumatori cominceranno ad acquistare prodotti ricondizionati. Si è parlato di questo nel webinar dedicato al diritto alla riparazione diffuso dalla European Circular Economy Stakeholder Platform, in cui tre relatori hanno discusso delle opportunità e degli ostacoli: sia dal lato normativo, con l’Unione europea a lavoro per una regolamentazione del diritto alla riparazione, sia nelle abitudini dei consumatori.

Del resto, come ha subito fatto notare Cristina Ganapini, dell’associazione Right to Repair Europe, riparare, oggi, è una necessità imprescidibile. “Le apparecchiature elettroniche hanno un impatto ambientale e di carbonio altissimo lungo tutto il loro ciclo di vita, dall’estrazione dei materiali per costruirli alla produzione stessa e alla gestione del fine vita”.

I dati sono chiari. “Per dare un’idea – aggiunge ancora Ganapini – il ciclo di vita degli smartphone nella sola Unione europea è responsabile di emissioni di CO2 paragonabili a quelle di un singolo Stato membro e se solo riuscissimo ad allungare di un anno la vita di un prodotto, sarebbe l’equivalente di togliere dalle strade due milioni di automobili”. A livello di emissioni, secondo il Fraunhofer Institute, acquistare uno smartphone ricondizionato può ridurre tra il 70 e l’80% di emissioni di CO2.

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Riparazione oltre il riciclo

Per non parlare, poi, dell’enorme mole di rifiuti elettronici che spesso invade le discariche dei Paesi in via di sviluppo. Pochi sanno, infatti, che produrre uno smartphone genera in media 85 chili di rifiuti. Riciclare, fa notare sempre Ganapini, non è, perciò, sufficiente.  “Solo il 17% dei rifiuti elettronici globali è riciclato e per molte materie prime critiche non supera l’1%. E quando ricicliamo restano gli impatti legati alle emissioni generate durante le fasi di produzione, trasporto e lo stesso riciclo”.

Se poi consideriamo l’impennata della domanda, destinata almeno a raddoppiare nei prossimi anni e gli impatti dell’estrazione di queste materie prime critiche, è evidente come il settore delle apparecchiature elettroniche sia tra i più energivori e climalteranti. L’unico modo per uscirne è consumare meno e usare più a lungo i prodotti elettronici una volta acquistati. E questo significa due cose: dal lato dei consumatori, riparare i device una volta guasti o comprare prodotti di seconda mano ricondizionati.

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Allungare la vita dei prodotti

Dal lato delle aziende, progettare apparecchi con una maggior durata di vita e rendere possibile e favorire la riparazione dei prodotti: non è, infatti, tanto la questione dell’obsolescenza programmata, difficile da provare, ma “di tutta una serie di pratiche ingannevoli e ostruzioniste dei produttori per mantenere il loro monopolio”, come fa notare Schima Labitsch, che si occupa proprio di riparazioni e ricondizionamenti. La lista delle pratiche sleali dei produttori è lunga.

I prezzi troppo alti per le componenti di ricambio rendono costoso il ricondizionamento. C’è un’evidente difficoltà nel reperire i pezzi di ricambio per i riparatori indipendenti. I componenti hanno un numero di serie che li identificano e possono essere usati solo per quel particolare cellulare: se non succede il software invia un alert sull’incompatibilità e questo ovviamente ha un effetto dannoso sui consumatori che si vedono arrivare il messaggio dopo aver acquistato un cellulare di seconda mano. È impossibile usare gli equivalenti invece degli originali e, infine, ci sono aggiornamenti continui dei software per obbligare i consumatori a cambiare spesso gli apparecchi.

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L’Unione europea e il diritto alla riparazione

Proprio per contrastare questo monopolio l’Unione europea lavora a una serie di normative per scalfirlo. “Da una parte c’è la proposta di direttiva Ecodesign, che punta a creare un mercato dove gli apparecchi elettronici sono progettati per durare più a lungo ed essere facili da riparare e dall’altro l’European Repair Information Form, per garantire ai consumatori il diritto alla riparazione attraverso una corretta informazione”. Sono le misure di “incoraggiamento” alla riparazione e al riutilizzo, come le chiama Ada Preziosi, funzionaria Ue della Direzione Giustizia e Consumatori.

“I consumatori devono avere il diritto di rivolgersi a chiunque per aggiustare i loro prodotti – spiega Preziosi – e perciò sarà obbligatorio per i riparatori rilasciare al consumatore un modulo scritto standardizzato e dalla validità di 30 giorni con tutte le informazioni importanti, dal prezzo della riparazione alla durata stimata del prodotto riparato fino ai servizi aggiuntivi come la sostituzione del prodotto da riparare, in modo che il cliente possa confrontarlo con quelli degli altri riparatori e fare la sua scelta”.

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Gli obblighi per i produttori

Il secondo elemento è l’obbligo di riparazione per i produttori. “Tuttavia, l’obbligo per i produttori scatta solo quando il costo di riparazione è uguale o inferiore alla sostituzione con un nuovo prodotto: cosa che nella maggior parte dei casi non accade e questo limita molto l’efficacia della norma”, precisa Schima Labitsch. Nella nuova proposta della Commissione, tuttavia, ribatte Ada Preziosi, l’obiettivo è estendere l’obbligo a riparare anche nel caso in cui sia meno costosa rispetto a rimpiazzare il prodotto guasto con uno nuovo.

Il produttore ha l’obbligo di riparare qualsiasi tipologia di difetto: ad esempio se uno smartphone cade e si rompe il vetro, il costo della riparazione spetta al consumatore, ma il produttore deve comunque garantire la riparazione”, specifica la funzionaria Ue. “Solo se i produttori saranno obbligati a riparare i prodotti li progetteranno più duraturi e facilmente riparabili”, concorda Labitsch. E questo, per il momento, è un problema.

Favorire la riparazione su scala industriale

Gli incentivi per i riparatori indipendenti, certo, sono un altro aspetto fondamentale. Anche nella forma di incentivi indiretti: ad esempio, in Francia le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di utilizzare il 20% di prodotti elettronici ricondizionati per aumentare la domanda. “Tuttavia gli incentivi non sono sufficienti se non modificano la struttura del mercato”, spiega subito dopo Labitsch: “Finché resta il potere indiscusso dei produttori è, però, impossibile”.

Per prima cosa, un oggetto deve essere tecnicamente riparabile e, perciò, la direttiva Ecodesign include una serie di prescrizioni, ad esempio garanzie sulla possibilità di reperire i pezzi di ricambio, oltre all’impegno dei produttori di promuovere e favorire la riparazione. Secondo le associazioni, tuttavia, la lista dei prodotti inclusi nella direttiva Ecodesign per quanto riguarda il diritto alla riparazione è ancora troppo limitata.

I produttori, inoltre, non permettono di avere pezzi intercambiabili tra i modelli anche quando sarebbe possibile. “Quando i prodotti di seconda mano non sono più riparabili dovrebbe essere possibile utilizzare in un altro cellulare le loro singole parti, dal display alla batteria, ancora funzionanti. Il riciclo deve essere veramente l’ultima spiaggia”, conclude la riparatrice.

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Abbassare i costi per incoraggiare la riparazione

Modificare la struttura del mercato significa da un lato incoraggiare i consumatori a comprare prodotti ricondizionati, dall’altro permettere che il mercato funzioni con costi più bassi per tutti: per chi acquista e per chi ripara. Il tema dei costi è centrale perché prima di tutto determina se un prodotto verrà riparato o meno e poi perché è la prima cosa a cui guarda un consumatore. Con la diminuzione del potere d’acquisto dei cittadini e l’inflazione, una riparazione economica è sicuramente l’opzione migliore per riguadagnare potere d’acquisto.

A patto che non sia più economico acquistare un nuovo prodotto rispetto a ripararlo. “Il problema è che esiste uno svantaggio competitivo nei confronti dei piccoli riparatori indipendenti e se i produttori continueranno ad avere questo eccessivo controllo sulla fase della riparazione, non vediamo come i prezzi potranno scendere in futuro”, conclude Cristina Ganapini. Mentre abbassare i prezzi, concordano i relatori, sarebbe il metodo più efficace per incoraggiare i consumatori.

Cambiamento culturale nei consumatori

Purtroppo, al di là degli interventi normativi, spesso sono i consumatori il primo ostacolo alla riparazione perché di fronte alla scelta tra un cellulare riparato e uno sostitutivo preferiscono la seconda. “L’importante, per le persone, sarà capire mano a mano che i prodotti ricondizionati e riparati funzionano bene. A volte, tuttavia, semplicemente i consumatori dovrebbero accontentarsi di una funzionalità leggermente minore: un’efficacia della batteria dell’80-90% è ugualmente accettabile anche se non è paragonabile a una batteria appena acquistata”, sostiene Labitsch.

Certo, ci sono consumatori interessati ad avere gli ultimi aggiornamenti tecnici e che utilizzano gli apparecchi per ragioni professionali, ma nella maggior parte dei casi a spingerli a comprare un nuovo smartphone sono ragioni sociali e di marketing. “Ci vorrebbe un ribaltamento culturale nella società dei consumi”, conclude la funzionaria Ue Ada Preziosi. Non è “cool” avere l’ultimo modello di uno smartphone: è “cool” fare una scelta responsabile per il Pianeta e usare un cellulare ricondizionato o riparato più volte.

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