Un’intera generazione che scende in piazza. Gioia, rabbia, frustrazione, speranza, paura di non fare abbastanza, di non essere abbastanza. È questo il guazzabuglio di emozioni che attraversano i cuori e le menti di milioni di attivisti di tutto il mondo. Alcuni attendono la manifestazione con l’adrenalina di una partita, altri con le farfalle allo stomaco. Si sentono addosso la responsabilità di dover agire come se fossero loro a dover salvare il pianeta. Ma come tutto questo come si ripercuote sulla salute mentale di chi sciopera per il clima?
Ansia climatica
La chiamano eco-ansia, un termine che solo recentemente ha interessato la psicologia accademica. L’American Psychological Association ha iniziato a studiare il fenomeno nel 2017 sostenendo che sono i giovani della generazione Z a soffrire maggiormente di questo disturbo psico-fisico. È definita come paura cronica della rovina ambientale, associata ad un senso di perdita, mancanza di speranza e frustrazione dovuta all’incapacità di adattarsi al cambiamento climatico. Nonostante l’eco-ansia non sia ancora stata riconosciuta come disordine mentale nel DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), secondo l’American Psychological Association, sarà uno dei maggiori problemi futuri, in quanto il cambiamento climatico “sta erodendo la salute mentale su larga scala causando attacchi di panico, depressione e maggiore ideazione suicidaria”.
L’attivismo può trasformare l’ansia in energia positiva
“Agli occhi della politica noi non valiamo niente – dice Martina Comparelli, portavoce di Fridays For Future Italia (FFF)- Non sappiamo quello che ci troviamo davanti e ci sentiamo impotenti. Grazie a Dio l’ansia di molti noi attivisti ci porta ad agire. Come attivisti e organizzatori il nostro dovere è quello di riuscire a trasformare questa ansia in energia positiva, in azione”.
Anna Castiglione si è laureata in neuroscienze cognitive specializzandosi in psicologia ambientale alla University of California San Diego, dove ha co-fondato l’organizzazione attivista UCSD Green New Deal. “L’ansia dal punto di vista clinico è un processo annichilente che paralizza, in conseguenza di una soppressione che non si riesce ad incanalare in qualche modo. Le persone leggono un sacco di informazioni catastrofiche – continua Anna Castiglione – ma non gli viene dato un canale di sfogo comportamentale. L’attivismo è quel canale che può superare quest’ansia”. Anna fa attivismo da anni, negli Stati Uniti e in Italia, ma anche lei in alcuni periodi si sente sopraffatta dall’impotenza di non riuscire ad incidere come vorrebbe. “È importantissimo che un movimento crei quello spazio di assistenza vicendevole e attività di supporto e benessere per gli attivisti. Yoga, musica, e attività creative sono fondamentali per superare questo tipo di ansia”.
L’attivista di FFF Beatrice Colombo ritiene che il fenomeno eco ansia sia stata ingigantito da media. “Ma esiste e si basa sul fatto che chi ne soffre fatica ad immaginarsi un futuro a causa della crisi climatica. Ogni estate accadono sempre più catastrofi climatiche e questo sicuramente provoca incertezza per il nostro futuro. Da due anni sono in questo movimento e, studiando biologia, riesco ad avere una visione complessiva sia della parte politica che di quella scientifica. Non soffro di particolare ansia perché vivo l’attivismo con passione”.
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Rabbia e immaginazione
La pandemia non ha certo aiutato ad aprire quelle valvole di sfogo che Anna Castiglione descrive. Alessandro è un giovane attivista che durante la pandemia ha sofferto particolarmente l’assenza di contatto con le persone. “Ho deciso di fondare For Young by Young project – dice Alessandro mostrando orgogliosamente il suo cartello – con l’obbiettivo di raggiungere e riunire tutte le persone, attivisti e non, che soffrono di problemi legati all’ansia climatica. Condividere i problemi , crescere assieme e fare amicizia”. Alessandro spiega il suo malessere come sensazione di impotenza davanti a problematiche che sono più grandi di noi. “Ho creato questa iniziativa perché sarebbe stato bello se fosse accaduto a me essere coinvolto in un progetto del genere”.
La preoccupazione e un sentimento di tradimento trovano conferma in un rapporto pubblicato dal British Council (Global Youth Letter Report) che ha sondato le opinioni di più di 8.000 giovani fra i 18 e i 35 anni in ben 23 Paesi, tra cui Brasile, Kenya, India, Regno Unito e anche Italia.
Quest’ansia e disagio legati al clima sono spesso correlati alla risposta del governo percepita come inadeguata e ai sentimenti di tradimento associati. “Speriamo che ci sia a breve un punto di svolta – dice Giorgio, 25 anni, del coordinamento collettivi studenteschi – si stanno mobilitando milioni di persone da ogni parte del mondo e Glasgow rappresenta l’ultima occasione per cambiare le cose”.
La sensazione è che quest’ansia colpisca di più gli attivisti quotidianamente coinvolti nei gruppi di protesta. Il metodo comunicativo usato negli scioperi per il clima organizzati da FFF e da altri movimenti come Extinction Rebellion spesso fa leva su un linguaggio rabbioso e aggressivo, probabilmente con l’intento di arrivare più velocemente alla coscienza delle persone. “Fare esercizi di immaginazione, chiedersi come ci si immagina il mondo dopo una transizione ecologica andata bene è sicuramente più efficace di trasmettere solo messaggi catastrofisti”, spiega Anna Castiglione ad Economia Circolare.com
Giulia, 21 anni, si unì al movimento Fridays For Future nel 2019, ma poco dopo si dovette staccare. “Continuare ad informarsi sulla questione mi generava tanto stress. L’attenzione è rimasta, ma ho dovuto interrompere il mio attivismo, soffrivo di ansia vera e propria”.
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Le speranze e i dubbi sull’economia circolare
Tra la paura di un futuro incerto e la speranza di vivere in un mondo più sostenibile, gli attivisti climatici hanno “fame” di modelli economici che non si limitino a misurare solo il profitto di un’azienda o il PIL di un Paese. Esigono un netto cambio di paradigma. “L’economia circolare può essere funzionale – aggiunge Martina Comparelli – ma credo che ci voglia anche un cambiamento radicale del sistema. Ci vogliono altri indicatori come il BES (benessere equo e sostenibile), il PIL non è più un indicatore sufficiente. Però la circolarità deve essere portata avanti politicamente e deve essere al centro della transizione, non lasciata solamente al cittadino”.
“Sradichiamo il sistema” è uno degli striscioni più in vista negli scioperi di FFF. Una visione che non tollera alcun dialogo con chi, ci dicono diversi attivisti, fino a d’ora ha detenuto il potere. “Non esiste nessun modello economico compatibile con il consumismo sfrenato che caratterizza la nostra società – interviene Sergio – Le grandi aziende spesso usano termini come economia circolare per cercare di continuare a fare quello che hanno sempre fatto apportando qualche modifica”. Il problema, secondo Sergio, è la logica di accumulo e profitto del capitalismo: “Essendo 7 miliardi non possiamo permetterci di vivere la felicità dell’individuo sull’accumulazione del profitto, l’accumulazione del benessere potrebbe essere un risultato migliore”.
Lucrezia e Michele, 17ennni, invece non hanno mai sentito parlare di economia circolare, ma conoscono perfettamente le dinamiche del riciclo e riutilizzo “ma il nuovo costa molto meno che riparare”, ribattono un po’amareggiati.
“Il modello di economia circolare per ora è uno dei modelli più interessanti per via del riuso, recupero e riciclo – afferma Ludovico Manera, 29 – Il modello è sicuramente interessante e tra i più sostenibili, ma i media non ne parlano ancora abbastanza”.
I giovani non si sentono ascoltati e all’interno del movimento FFF non c’è molta fiducia sulla COP di Glasgow che si terrà i primi di novembre. “La consapevolezza sull’economia circolare sta crescendo – aggiunge Giorgio del movimento collettivo studentesco – soprattutto a Milano grazie all’associazione Mutuo Soccorso Milano che pratica l’economia circolare lottando contro lo spreco alimentare, recuperando cibo per le persone che ne hanno più bisogno”.
“Valorizzare i rifiuti ma anche le persone”
Ma in piazza a manifestare non ci sono solo giovanissimi. Mariuccia, 77 anni, ci confessa orgogliosamente di conoscere bene i principi dell’economia circolare.” Ai miei tempi non potevi fare diversamente, non si buttava mai via niente. Il riuso e il riutilizzo erano normali, era la necessità”.
Giacomo, 17 anni, invece è stato folgorato dalle teorie di Serge Latouche sulla decrescita felice. “Si dovrebbe prendere in considerazione il fatto che la crescita economica in un mondo di risorse finite non è più possibile e soprattutto la produzione e il consumismo attuale non può portare alla felicità. Con la produzione attuale siamo ben oltre ai nostri bisogni”.
Il focus predominante della maggior parte degli approcci legati all’economia circolare è legato alla dimensione ambientale ed economica, mentre gli aspetti sociali, come le pratiche di lavoro, i diritti umani o il benessere della comunità, sono stati integrati solo marginalmente e sporadicamente nel concetto di economia circolare .
La dimensione sociale non deve essere dimenticata nel processo di transizione verso un’economia circolare; di questo ne è consapevole Beatrice Colombo, una dei portavoce di FFF, che sottolinea come le disuguaglianze sociali e climatiche debbano essere al centro del cambiamento. “L’economia circolare è funzionale, ma manca nella componente di giustizia sociale. Abbiamo visto che la crisi climatica ha colpito maggiormente quei Paesi con l’impatto climatico minore – prosegue Beatrice che da grande vuole fare la biologa – Fuori dalla nostra bolla se ne discute ancora poco, noi del movimento crediamo che da sola l’economia circolare non basti. Insomma, sì valorizzare il rifiuto, ma anche le persone”.
La sensazione è che tra i giovani manifestanti, oltre a tanta energia e rabbia, ci sia una famelica voglia di sapere, di conoscere. Trovare nuovi modelli economici che diano la speranza non solo di contenere la temperatura media globale entro 1,5 gradi, ma che restaurino un rapporto più simbiotico tra natura ed essere umano. In sostanza chiedono un futuro diverso da quello che si immaginano ora.
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