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lunedì, Dicembre 16, 2024

Elezioni, l’ambiente nell’urna. Il programma di Impegno civico

Riduzione dei rifiuti, rinnovabili, autoproduzione energetica, semplificazione autorizzativa per le rinnovabili. Prosegue il nostro racconto delle proposte dei partiti in tema di ambiente: oggi il programma di Impegno civico nelle parole di Giuseppe d'Ippolito

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Redazione EconomiaCircolare.com

Prosegue il nostro accompagnamento verso le elezioni di domenica. Oggi le nostre domande vanno a Giuseppe d’Ippolito: avvocato, già docente universitario e assistente di Stefano Rodotà, è deputato di Impegno civico e membro della commissione Ambiente della Camera.

Come giudica la corsa a sostituire il gas russo con altre forniture? Che fine hanno fatto le rinnovabili? Qual è la ricetta della sua forza politica per risolvere il problema energetico a breve e lungo termine?

Parliamoci francamente: in Europa, in questi mesi, non stiamo vivendo in un’economia di mercato, ma in un’economia di guerra. Quello che fino a poche settimane fa era il nostro principale fornitore di gas, la Russia, ha iniziato lo scorso febbraio una guerra d’aggressione che, sul piano economico, ha finito per coinvolgere l’Europa e quindi l’Italia. Il rubinetto del gas è stato utilizzato per gestire un ricatto finalizzato a stemperare gli unanimi sentimenti di riprovazione e condanna da parte dell’Europa verso quel gesto criminale. L’Italia non poteva sottostare al ricatto, trasformandosi in complice degli invasori e quindi bene ha fatto il nostro governo a preoccuparsi di diversificare subito le fonti d’approvvigionamento, stipulando accordi con altri Paesi che ci stanno aiutando a svincolarci, rendendolo sempre più irrilevante, dal ricatto energetico. Questo, unito alle proposte di Impegno Civico – la fissazione, in sede europea, di un tetto massimo al prezzo del gas, insieme all’intervento dello Stato per pagare l’80% della bolletta energetica di cittadini e imprese, utilizzando i maggiori proventi delle accise e tassando opportunamente gli extraprofitti – rappresenta un vero e concreto intervento di sostegno, nella corrente fase emergenziale, per l’economia italiana, domestica e aziendale. Ma è evidente che solo lo sviluppo delle rinnovabili, colpevolmente ignorato negli ultimi due decenni e riattivato dal governo Draghi, può portarci alla vera autosufficienza energetica, al definitivo taglio delle bollette, all’abbandono delle fonti fossili anche per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.

File:Giuseppe d'Ippolito deputato.jpg

Come si pone Impegno civico in merito al piano di contenimento dei consumi energetici? Avete alternative e proposte che si possano accompagnare al contenimento?

Il piano recentemente presentato (dal ministero della Transizione ecologica) rappresenta l’adempimento a raccomandazioni internazionali. Va bene ed è opportuno per indirizzare i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e delle imprese, ma è illusorio pensare che esso possa svolgere finalità coercitive sui comportamenti dei singoli. Non possiamo mettere un carabiniere in ogni famiglia per vigilare sull’uso che si fa dei propri elettrodomestici. La soluzione può arrivare, è questa la nostra proposta, solo se la parola “contenimento” si declina insieme a quelle di “coinvolgimento” e “consapevolezza”. Questo è lo sforzo che dobbiamo fare: coinvolgere i singoli cittadini in pratiche consapevoli a fronte della necessità di contenere i consumi energetici domestici, facendo loro capire che questa è una battaglia che riguarda tutti e che solo con il contributo di ciascuno può essere vinta.

Crisi energetica e delle materie prime: qual è secondo voi il ruolo dell’economia circolare?

È fondamentale. I principi cardine dell’economia circolare: il riciclo finalizzato al riuso, il recupero della materia, hanno tra i loro effetti, non secondari, l’utilizzo delle cosiddette “materie prime seconde”, che limitano il ricorso alla ricerca di materie prime originarie, con un notevole risparmio in termini energetici e con significativi benefici per tutta l’economia.

Quali iniziative prevede il vostro programma per la prevenzione della produzione dei rifiuti?

La raccolta differenziata spinta. Non si risolve il problema dello smaltimento dei rifiuti in discariche e inceneritori, se non iniziamo a convincerci che bisogna produrre meno rifiuti. Ma questo non deve trasformarsi in un dogma fideistico; i cittadini devono convincersi di quanto bene si fa ad avviare meno rifiuti allo smaltimento e non solo in termini ambientali ma anche economici. Ho già detto del recupero delle materie prime seconde; ricordo ancora, ad esempio, che il recupero dell’organico, attraverso il compostaggio di qualità, aiuta l’agricoltura che ne ricava concimi necessari ma biologici. L’Italia impiega nell’agricoltura un volume annuo di fertilizzanti pari a 2,5 milioni di tonnellate, ma solo una percentuale ridotta, quella di origine organica, è reperibile sul mercato nazionale (con tutto quello che ne consegue in termini di odierne difficoltà d’importazione e di ulteriore aumento dei costi per i prodotti alimentari). In più, possono essere le singole famiglie a misurare economicamente i vantaggi di una minore produzione di rifiuti attraverso l’applicazione della “tariffa puntuale” sulla Tari, commisurata – cioè – solo sull’effettiva quantità di rifiuti domestici prodotti e non anche, per esempio, sull’estensione della propria abitazione, come purtroppo ancora avviene in molti Comuni. Infine, occorre ragionare dal versante della produzione che può dare un contributo definitivo alla riduzione di rifiuti: l’eco-design e una progettazione che riduce o, addirittura, elimina dal mercato quei beni che sono composti da materiali che non possono essere avviati al recupero attraverso la separazione e il riciclo.

Inceneritori: favorevoli o contrari? Quanti dovrebbero essere nel Paese? Come si finanziano?

Gli obiettivi dell’Ue per i rifiuti urbani puntano per il 2035 al 65% di riciclo, al 10% di discarica, al 25% di valorizzazione energetica. In Italia, in realtà, i dati Ispra riferiscono di solo il 47% di rifiuti urbani avviato a recupero di materia, di ben il 23% in discarica e del 18% destinato a recupero di energia. Appare del tutto irrealistico e, in definitiva, controproducente, porre a perno della gestione dei rifiuti la controversia inceneritori Sì/inceneritori No. Il problema va affrontato a monte, a livello di produzione di rifiuti – come dicevo – e non a valle a proposito del loro smaltimento. A mio modesto avviso, l’approccio ad un vero modello di economia circolare deve partire dalle quantità di rifiuti prodotti, dai flussi di materie (nella filiera di estrazione, produzione e consumo), che servono per produrre i beni e a descriverne la loro “fine vita” e solo dopo, attraverso una Valutazione ambientale strategica e preventiva, giungere all’effettivo fabbisogno della filiera necessaria a valle, per gestire gli “scarti” derivanti dai rifiuti prodotti da cittadini e imprese. Queste scelte devono appartenere ai singoli territori in un contraddittorio cosciente e informato, se non vogliamo mettere i cittadini davanti a scelte aprioristiche e, spesso, inconferenti.

La sua forza politica è favorevole o contraria a:
– divieto di usa e getta?

Se vogliamo privilegiare, come vogliamo, il recupero di materia, non possiamo che essere favorevoli.

– Plastic tax?

Le isole di plastica che galleggiano nei vari oceani, alcune grandi come intere nazioni europee, ci ammoniscono e impongono una rigorosa conversione dei sistemi di produzione con materiali ambientalmente compatibili. Magari con una progressione nel tempo anche per evitare uno speculativo incremento dei prezzi finali dei beni, una tassazione di tal tipo può spingere, come spinge, la ricerca verso soluzioni più sostenibili.

– Deposito su cauzione?

La migliore soluzione per spingere alle pratiche di recupero e alla riduzione dei rifiuti.

Imprese energivore: come il suo partito intende supportarne la transizione energetica?

Partiamo dalla costatazione che l’Italia non possiede molte fonti energetiche: niente petrolio, tranne non significative e localizzate eccezioni; pochissimo carbone; pochissimo gas, salvo che non si voglia iniziare a trivellare la laguna di Venezia. L’Italia, invece, è baciata dal sole, favorita dal vento, circondata dal mare e attraversata dai numerosissimi corsi d’acqua interni. L’altra costatazione è che le fonti rinnovabili rappresentano oggi circa il 35% della produzione elettrica nazionale e il dato è, da alcuni mesi, in costante aumento. Ne consegue che, se vogliamo mettere le nostre imprese energivore al sicuro da eventi geopolitici e da oscillazioni dei prezzi, oltre alle soluzioni che proponiamo e delle quali ho già detto, dobbiamo spingere alla conversione di queste imprese (ma anche delle altre) verso le fonti rinnovabili, verso l’autoproduzione, l’autoconsumo, le Comunità energetiche rinnovabili. Oggi siamo in una fase emergenziali che dobbiamo affrontare sul piano degli incentivi e del tetto massimo al costo del gas. Ma già il governo stava lavorando su soluzioni strutturali per risolvere il problema più rilevante che rallenta lo sviluppo delle rinnovabili: l’eccessiva frammentazione delle competenze nella fase autorizzativa. Un governo non più nella pienezza dei poteri sta agendo sull’unica leva praticabile, il commissariamento e l’unificazione delle competenze, oggi in capo a troppi enti. Ma è evidente che nel nuovo Parlamento e nel prossimo governo è nostra intenzione portare a soluzione definitiva quest’eccessiva burocratizzazione.

Come giudica l’attuazione del Pnrr finora sul fronte della transizione ecologica? Cambierebbe qualcosa alla luce della attuale situazione economica?

Attenzione a parlare di modifiche al Pnrr. Esso è stato approvato da pochi mesi dall’Ue e funziona come un cronoprogramma: mano a mano che si realizzano gli impegni (le missioni), si ricevono i fondi. Una modifica riaprirebbe la fase di valutazione europea e bloccherebbe le erogazioni (oltre a farci fare una pessima figura in sede internazionale). Già abbiamo una prossima scadenza ad ottobre, alla quale non so se si riuscirà a far fronte a causa delle improvvide scelte di coloro che hanno decretato l’anticipata conclusione della legislatura. Il tema è quindi quello della sua attuazione. Ricordo che alla tutela ambientale è destinata la maggior parte dei fondi del Pnrr, circa 70 miliardi. Le quattro componenti principali individuate sono:

1) agricoltura sostenibile ed economia circolare;

2) energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile;

3) efficienza energetica e riqualificazione degli edifici;

4) tutela del territorio e risorsa idrica.

Come si vede da questi titoli, molte (se non tutte) le attività per la messa a terra degli obiettivi del Pnrr dipendono da vari enti, nella specie da quelli territoriali. La presenza di Impegno Civico sui vari territori sarà quindi fondamentale perché si vigili sull’attuazione di quella leale cooperazione interistituzionale che si appalesa come indispensabile per raggiungere i traguardi della transizione ecologica: per cambiare il nostro Paese nell’ottica della sostenibilità, della lotta ai cambiamenti climatici, della tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e degli animali, ormai sanciti anche nella nostra Costituzione.

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