“C’è grande rammarico perché purtroppo sull’EPR non ci sono novità”. A parlare è Mauro Chezzi, vicedirettore Sistema Moda Italia e referente associativo del Consorzio Retex.green. “Anche il cronoprogramma del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica indicava come obiettivo il quarto trimestre 2023: ma non è arrivato niente. Non c’è un barlume di novità. Quello che fa male non è ritardo in sé, anche se molto sofferto, è l’incertezza: non abbiamo un punto di riferimento, né una tempistica”.
Dottor Chezzi, le vostre imprese sono in sofferenza per questa incertezza?
Certo. E per capire il motivo dobbiamo partire dal capire cosa la responsabilità estesa del produttore rappresenti nella nostra visione imprenditoriale. Per noi rappresenta il trigger, l’innesco decisivo per avviare la fase importantissima di trasformazione della filiera su un modello circolare. Finché non arriva la normativa, infatti, gli sforzi che possono essere fatti sono esclusivamente su una base volontaria da parte delle singole aziende. E solo sul pre-consumo, quindi su scale dimensionali molto inferiori rispetto a quelle che consentirebbe il lavoro su post-consumo: parliamo di decine o centinaia di tonnellate rispetto a circa il milione e mezzo che potrebbe rappresentare l’immesso sul mercato annuale per le merceologie indicate.
Peraltro noi ci consideriamo un consorzio virtuoso perché coi nostri soci sul pre-consumo abbiamo già avviato una trentina progetti finanziati dalle aziende: con risultati di circolarità, anche se non completi, già molto interessanti, con esempi del riciclo ‘migliore’, quello fiber-to-fiber.
L’introduzione della normativa EPR consentirebbe di avere risorse per lavorare su ricerca, investimenti e procedure di valorizzazione dei rifiuti molto più consolidate di quanto si può fare adesso.
D’accordo Mauro, ma se poi l’Europa stabilirà regole diverse da quelle nazionali?
Da quello che possiamo vedere ora non è un problema. Quando ho letto la proposta di direttiva la mia prima reazione è stata di soddisfazione nel trovare riflessa nel testo europeo la nostra posizione che abbiamo espresso già nel 2021 nel position paper condiviso anche col Ministero dall’Ambiente in occasione della consultazione sull’economia circolare. Soddisfazione nell’aver visto che mentre la prima proposta del ministero (quella del marzo 2023, ndr) era completamente starata rispetto all’impianto della proposta di direttiva, la “non bozza” arrivata nelle mani degli stakeholders a giugno (ma mai comunicata per vie ufficiali) è sicuramente più vicina al testo della Commissione. Piuttosto la preoccupazione è salita quanto abbiamo capito che il ministero – una volta che è stata pubblicata la proposta di direttiva, il 5 luglio – ha scelto di tirare i remi in barca sulla consultazione per la normativa italiana, con la scusa appunto di dover aspettare le norme europee.
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È solo una sensazione ho avete riscontri oggettivi si questo?
Abbiamo chiesto al ministero di proseguire i lavori: gli uffici ministeriali ci hanno risposto che siccome è in campo la discussione della bozza di direttiva sull’EPR tessile allora non resta che aspettare.
Noi abbiamo provato a spiegare – anche in occasione del tavolo della moda che si è tenuto il primo agosto scorso al Ministero delle imprese e del made in Italy – che non è necessario fermarsi, perché l’affinamento della “bozza non bozza” guardando alla direttiva permette di immaginare un percorso in due tappe: prima la normazione, poi, quando la proposta di direttiva diverrà una direttiva vera a propria, si può intervenire con piccoli ritocchi grazie ad un decreto correttivo.
Tramite Euratex (associazione che rappresenta gli interessi del settore tessile e dell’abbigliamento europeo, ndr) abbiamo sondato la Direzione generale competente della Commissione e in particolare il responsabile economia circolare: ci ha detto che per la Commissione non ci sono problemi se uno Stato precede l’approvazione della direttiva, a patto che si muova in linea con gli stessi principi cardine, quali quelli della centralità dei sistemi collettivi e dell’eco-contributo sul prodotto finito. Principi che sono perfettamente condivisi dai noi e dal testo del ministero.
L’esclusione degli scarti pre-consumo dalla direttiva non rischia di lasciare scoperto un pezzo del mondo dei rifiuti tessili, creando poi dei problemi?
Riteniamo che il pre-consumo debba rimanere fuori dagli obbligo dell’EPR. Immaginiamo invece delle best practice che consentano alle imprese di arrivare alla quadratura del cerchio e adottare un modello circolare a tutto tondo.
E per le imprese meno strutturate?
Contiamo che il sistema delle aziende italiane, già molto competitivo, recepisca in modo virtuoso gli stimoli delle singole componenti più avanzare della filiera, in modo che si possano diffondere a macchia d’olio pratiche di circolarità pre-consumo. Contiamo molto sulla proattività della filiera e sull’emulazione dei soggetti che sono più avanti.
I sistemi EPR hanno come impostazione di base l’idea di generare risorse per gestire il fine vita del prodotto, quindi per coerenza riteniamo che il perimetro non debba essere allargato ad libitum. Altre normative europee concorrono in questa direzione, per esempio la Corporate Sustainability Reporting Directive (CRSD) che prescrive informative che dovranno essere rese a livello di bilancio (se non dalla singola azienda, dalla capofila, rispetto alla quale la singola pmi è inserita in filiera). Quindi direi che il tema della circolarità è ineludibile.
Cosa avreste voluto leggere nella proposta di direttiva che invece non avete trovato?
Due aspetti sostanziali. Uno riguarda la semplificazione degli adempimenti per le piccole imprese laddove la proposta di direttiva prevede invece l’esenzione. Questo è un punto fondamentale affinché il sistema abbia una chiusura completa del cerchio evitando i soliti meccanismo di elusione: apro un’impresa prestanome di tre addetti, faccio finta di essere una micro impresa, ma dietro c’è un’azienda grande che magari esporta in tutta Europa, ma che resta nascosta.
È molto importante, come abbiamo spiegato al ministero durante la consultazione avviata sulla proposta di direttiva, che ci sia meccanismo che, semplificando gli adempimenti, consenta un monitoraggio in continuo anche dei piccoli: non è possibile che se sei piccolo io mi fido e non ti considero più. Se sei piccolo, sei comunque dentro al sistema, hai agevolazioni, però contribuisci e comunichi i dati.
La seconda cosa che avemmo voluto, ma non abbiamo trovato, riguarda proprio le caratteristiche del settore: il fortissimo sviluppo dell’e-commerce che orami è un canale importantissimo di distribuzione. Nella direttiva non c’è nessun meccanismo di salvaguardia su questo fronte. Come abbiamo spiegato nel nostro position paper e come abbiamo illustrato al Ministero, noi vorremmo che nella norma europea fosse inserita la responsabilità solidale della piattaforma di e-commerce rispetto alla responsabilità estesa del produttore. Se, cioè, tu piattaforma (Amazon, Zalando, …) dai la possibilità ad imprese cinesi di esportare i propri prodotti nell’Unione europea, devi comunque garantire che vengano assolti gli adempimenti fondamentali, in particolare il pagamento dell’eco-contributo. Responsabilità solidale vuol dire che se il produttore non paga, non debbo andare a cercarlo in Cina, ma mi relaziono con la piattaforma attraverso la quale vende in Europa.
Nel caso dei rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), in mancanza di una responsabilità solidale sono stati stretti accordi con le piattaforme, ad esempio con Amazon. Non potrebbe essere un modello?
L’esperienza dei Raee è molto interessante, ma non fa al caso nostro. La merceologia principale venduta attraverso l’e-commerce è l’abbigliamento, insieme a tutti gli accessori moda. Non si può lasciare tutto alla volontarietà, non possiamo metterci a inseguire tutte le singole piattaforme per raggiungere con ognuna un singolo accordo. È l’esigenza di chiusura del sistema di cui parlavo. Come Sistema moda Italia il problema dell’e-commerce lo viviamo quotidianamente perché dobbiamo affrontare tutta la questione dell’autenticità e dei falsi, per questo conserviamo un livello di attenzione altissimo. L’Italia è la patria dell’alto di gamma, per noi la concorrenza sleale tramite i falsi è esiziale.
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