Obbligare i Paesi membri dell’Unione europea a notificare per iscritto e chiedere un’autorizzazione preventiva per poter spedire all’estero rifiuti tessili non pericolosi rischia di diventare un freno all’economia circolare e di determinare un maggior conferimento di rifiuti tessili all’incenerimento o in discarica.
A lanciare l’allarme è EuRIC Textiles, divisione della Confederazione europea delle industrie di riciclo che si occupa di riuso e riciclo tessile, a cui fa riferimento l’italiana Unirau, Unione imprese raccolta riuso e riciclo abbigliamento usato.
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La Convenzione di Basilea e il nuovo regolamento sull’export
A destrare preoccupazione nel settore della raccolta è la recente richiesta – avanzata dai governi di Danimarca, Francia e Svezia – alla Commissione europea di presentare un progetto di decisione del Consiglio su una proposta comune dell’Unione Europea, al tavolo della Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione, per sottoporre i rifiuti di abbigliamento e di prodotti tessili domestici ai meccanismi di controllo più severi nelle esportazioni fuori dai Paesi Ue.
EuRIC Textiles dichiara la propria opposizione a questo progetto, che si realizzerebbe con l’applicazione di una ben più complessa e lunga procedura di notifica – anziché con l’attuale allegato 7 – che si vorrebbe inserire nella Convenzione di Basilea, e spiega che a farne le spese sarebbero innanzitutto il settore dell’usato e quello del riciclo. Dal momento che “non tutti gli Stati membri dell’Unione Europea sono in grado di selezionare o riciclare i rifiuti tessili a livello nazionale, il trasporto di tali rifiuti dai punti di raccolta agli impianti di selezione o dalla selezione agli impianti di riciclo è fondamentale” recita la nota di Euric diffusa in Italia da Unirau. E prosegue: “Sottoporre queste spedizioni a una procedura di notifica non solo impone un notevole onere amministrativo, ma ostacola potenzialmente anche la futura scalabilità e l’innovazione”.
La questione è emersa proprio nei giorni dell’entrata in vigore del Regolamento sull’esportazione dei rifiuti, che attua a livello dell’Unione la convenzione di Basilea e impone un divieto generale di esportazione fuori dall’Unione Europea di rifiuti destinati allo smaltimento e il divieto di esportazione di rifiuti pericolosi da avviare a recupero verso Paesi non OCSE. Mentre nel caso di export in altri Paesi Ue, i rifiuti destinati allo smaltimento, quelli pericolosi e la maggior parte dei rifiuti misti destinati al recupero sono sottoposti a obbligo di notifica e autorizzazione preventiva.
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Il rischio burocrazia
Il timore delle associazioni che rappresentano i raccoglitori e riciclatori di capi di abbigliamento e tessile domestico usati è che nuove incombenze di natura burocratica creino un aggravio ulteriore dal punto di vista amministrativo e finanziario. Piuttosto, aggiunge la nota di Euric, si dovrebbe mettere sotto i riflettori il sistema delle spedizioni in sé, perché troppo spesso “questi rifiuti vengono camuffati da abiti usati e spediti al di fuori dei controlli del regime dei rifiuti”.
Secondo l’associazione, imporre obblighi di notifica modificando i codici della Convenzione di Basilea non porrà fine a questa pratica che troppo spesso in passato ha determinato pesanti impatti in Paesi extraeuropei, dove i rifiuti tessili spacciati per capi di seconda mano finiscono accatastati in discariche illegali o bruciati a cielo aperto.
La proposta del settore riguarda proprio questa distinzione: “È necessario, come previsto dal nuovo regolamento, che si possano esportare come rifiuti con l’allegato 7, in Paesi che ne facciano richiesta e in impianti che garantiscano standard europei, i rifiuti tessili da selezionare, mentre i prodotti tessili di seconda mano si devono poter inviare al di fuori del regime dei rifiuti, solo a seguito di un processo di selezione dettagliato prima di qualsiasi invio al di fuori dell’Europa. EuRIC Textiles sostiene fortemente la definizione di criteri di selezione che assicurino l’invio, al di fuori del regime dei rifiuti, solo degli articoli che possono essere effettivamente riutilizzati e che corrispondono ai requisiti della destinazione finale”.
A questo proposito l’associazione europea già nel 2021 aveva proposto dei criteri per definire i processi di raccolta, preparazione al riutilizzo e preparazione al riciclo. “La richiesta di tali criteri, e di una dichiarazione di conformità prima di qualsiasi spedizione al di fuori dell’Europa, garantirà che diventi più complicato o addirittura impossibile spedire rifiuti di abbigliamento e di prodotti tessili domestici camuffati da abiti usati”.
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Distinguere tra circolarità vera e spedizioni truffaldine
Un ulteriore chiarimento riportato nella nota riguarda il quantitativo di rifiuti tessili esportati extra Ue nel 2019: stando alla dichiarazione di Francia, Danimarca e Svezia erano 1,7 milioni di tonnellate, ma la stima non tiene conto di quanti tessuti e indumenti destinati a un nuovo utilizzo ci siano in questi 1,7 milioni di tonnellate, perché “attualmente non esiste una distinzione tra rifiuti tessili e prodotti tessili usati nelle classificazioni dei prodotti dell’UE utilizzate per le dichiarazioni di esportazione e le dichiarazioni statistiche per il commercio. Si tratta di una lacuna significativa che porta a statistiche imprecise sulle esportazioni”.
Euric Textiles non nega che “il codice B3030 della Convenzione di Basilea necessiti di una revisione” e spiega che a tal proposito aveva proposto un emendamento durante la revisione del Regolamento sulle spedizioni di rifiuti per includere nel suo campo di applicazione tutti gli articoli di abbigliamento, come le calzature e gli accessori, nonché i prodotti tessili per la casa: l’obiettivo era quello di evitare che le spedizioni di indumenti, accessori e calzature usati, raccolti per lo smistamento, vengano bloccate come spedizioni illegali di rifiuti misti.
Ma per come è stata proposta da Danimarca, Francia e Svezia, la modifica alla Convenzione di Basilea getterebbe il bambino (cioè le sorti del riuso e del riciclo) insieme all’acqua sporca (le esportazioni truffaldine di scarti spacciati per capi da selezionare che giustamente vanno bloccate) e danneggerebbe “il buon funzionamento dell’intero circolo virtuoso del tessile”.
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