Borghi storici, piccole città e aree interne del nostro paese rappresentano un patrimonio inestimabile, da tutelare ma soprattutto su cui investire. Ricchi di storia, cultura e terre da coltivare, sono tornati ad essere al centro del dibattito politico con il Pnnr, che prevede lo stanziamento di 20 milioni di euro per finanziare ognuno dei 21 progetti pilota, uno per regione o provincia autonoma, che concorrano alla rigenerazione culturale, sociale ed economica dei borghi a rischio abbandono o già abbandonati.
La situazione è però ben più complessa. Abbiamo chiesto a Franco Arminio, scrittore, poeta e paesologo, cosa ne pensa dello stato di salute dei nostri borghi in Italia e quali soluzioni vede all’orizzonte per rilanciare e riqualificare questi scrigni di storia, cultura, arte e umanità.
Cosa è stato fatto finora dalle istituzioni per borghi e piccoli paesi in Italia? Cosa cambierebbe delle politiche degli ultimi anni?
Iniziamo con il dire che nelle ultime tre legislature non si sono assolutamente prodotte politiche che hanno messo al centro dell’agenda il tema dei borghi, dei paesi e delle piccole città in Italia. Le poche cose fatte, sono il risultato di politiche elaborate senza una visione complessiva e strategica del problema, ma soprattutto senza la reale coscienza da parte di istituzioni e decisori politici di cosa significhi realmente vivere in un piccolo borgo storico del nostro Paese.
Faccio un esempio: molte persone che vivono in paesi di mille abitanti o poco più non possono permettersi di pagare le tasse sul gas, divenute esose: la politica deve colmare quel bisogno, per esempio mettendo in campo un progetto di fiscalizzazione delle tasse sull’energia per i piccoli borghi. Il fatto che le istituzioni non si rendano conto delle esigenze di chi vive nei borghi interni accade per due motivi: da una parte non c’è consenso intorno a queste politiche a livello macro, dall’altra in Parlamento non arrivano queste richieste perché la questione è lontanissima dai palazzi e dal dibattito parlamentare. Purtroppo, in Italia non c’è nessuna forza politica che lo abbia capito.
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Qual è il valore dei borghi in Italia e perché è necessario investire nel loro sviluppo?
Innanzitutto, è importante sottolineare che per capire il reale valore dei borghi e delle piccole città in Italia è necessario venirci, parlare con le persone, rendersi conto dei problemi che si hanno qui: la politica negli ultimi anni si è dimenticata di aprire un dialogo costruttivo con queste persone, marginalizzandole rispetto al dibattito pubblico. Più in generale, per capire quanto siano importanti borghi e terre alte nel nostro Paese, possiamo prendere ad esempio la situazione di coste e pianure. Mentre i borghi, le aree interne e le terre alte si spopolavano, coste e pianure sono state difatti letteralmente riempite di attività, case, persone: adesso la situazione in cui versano è catastrofica, con livelli di smog e inquinamento altissimi, mancanza di spazio, sovrappopolamento, rischi ambientali e sanitari. Rivitalizzare le aree interne e terre alte alte, e redistribuire la popolazione sul territorio italiano sarebbe, in tal senso, un grande progetto politico. Nel caso dei 20 milioni stanziati dal Pnrr per riqualificare i borghi, per esempio, si è adoperato un approccio assistenzialista: si restaura la piazza o un edificio abbandonato ma non c’è un’azione sistemica che porti cultura, lavoro, e che aiuti realmente le popolazioni locali.
Temo che nella prossima legislatura, chiunque vincerà, non cambierà lo stato delle cose. Anzi! Nelle grandi città ormai non c’è letteralmente più spazio, ci sono zone dove le attività sono talmente concentrate che non c’è vita, solo traffico e smog; nei borghi e nelle terre alte, dove la terra c’è, non ci sono invece persone, e questo è un fattore determinante per le economie locali. Le aree interne in Italia sono state spopolate negli ultimi 50 anni, spostando le persone nelle grandi città, nelle pianure e nelle coste, che 50 anni fa erano molto più vuote. L’ultimo governo ha detto di aver adottato una strategia nazionale contro lo spopolamento dei borghi ma questo è un bluff, perché l’evidenza ci dice che i borghi sono comunque lasciati a sé stessi, con pochi o pochissimi interventi strutturali. Non esiste un solo borgo in Italia che ha segnato un’inversione di tendenza in tal senso.
Secondo lei, dunque, il grande progetto politico di questo periodo storico potrebbe essere rivitalizzare queste aree.
I borghi e le aree interne hanno un grande vantaggio naturale e ambientale rispetto alle città o alle coste: vi è molta terra libera e sappiamo che dove c’è terra c’è vita, quindi futuro! Sono anni ormai che vivere in un paese o in una piccola città dove si può coltivare la terra, fare l’olio, il vino è diventato un vero e proprio lusso: significa non morire di cancro o evitare malattie polmonari, causate da inquinamento e smog. Sono le terre alte, difatti, quelle più rarefatte, ad essere meno a rischio di crisi sanitarie o ambientali.
Dal momento che il modello di sviluppo in Europa è cambiato, da quando è diventata terra di servizi e non solo di lavori pesanti, si può realmente stimolare il ritorno nei borghi e nei paesi piccoli. Ma questo non viene fatto, perché sembra una questione lontana dalla politica nazionale: è il provincialismo dell’Italia che pensa che parlare di piccoli borghi e paesi sia rimanere indietro rispetto alla modernità. La modernità sta invece proprio nella riqualificazione e nella tutela di questo patrimonio.
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Negli ultimi anni si è molto insistito sull’esigenza di far conoscere i borghi del nostro paese attraverso manifestazioni culturali e festival.
Come direttore artistico e ospite di molti festival in Italia, so che dobbiamo fare molta attenzione a non illudere le persone che con un festival o con semplici manifestazioni culturali si riesca a tamponare la situazione. I problemi difatti sono i modelli di sviluppo stessi: la scuola, i trasporti, la sanità. I festival riescono a illuminare i borghi ma non risolvono i problemi strutturali: c’è questa sorta di illusione che i festival portino un benessere costante alla popolazione locale, ma non è così. Vanno portati servizi veri e interventi strutturali, le manifestazioni culturali servono a accendere un riflettore sul patrimonio artistico culturale e naturale, ma non risolvono assolutamente il problema. Quello che mi conforta, sul lungo periodo, è invece la sensazione che i paesi e i suoi abitanti, per quanto messi a dura prova, non moriranno, ma resisteranno a dispetto delle disattenzioni della politica.
Cosa pensa delle politiche attuate finora rispetto al tema della sostenibilità ambientale e del turismo di prossimità?
Parlare di sostenibilità ambientale non ha alcun senso se non si capisce che la transizione ecologica deve essere necessariamente una transizione verso i paesi, non l’opposto: per questo i politici devono venire qua, a parlare con le persone che vivono sul territorio. Il mio paese (Bisacce, in provincia di Avellino) 30 anni fa era un’altra cosa: è responsabilità di chi governa conoscere cosa succede sui territori. I paesi non muoiono mai, è importante sottolineare questo concetto, piuttosto si trasformano, evolvono: sta ai decisori politici capire come. Questo è il motivo per cui è necessario riportare un turismo di qualità nei borghi, decongestionando le grandi città. Sono pessimista sulle politiche che sono state attuate finora sul turismo locale e di prossimità perché nessuno vi ha investito. I grandi flussi turistici vanno necessariamente spostati dalle grandi città, come Firenze o Venezia, per dirottarne una fetta su zone sconosciute, come il Pollino, La Sila, l’Aspromonte o l’Irpinia.
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Lei organizza ogni anno il festival di Aliano La luna e i calanchi, in Basilicata. Come è nata l’idea e cosa rappresenta per la popolazione locale?
Il festival è stato personalmente ideato da me, che ne curo ogni anno la direzione artistica. È emanazione diretta della mia poetica. La manifestazione si svolge in un piccolo paese lucano di mille abitanti, difficilmente raggiungibile e fuori dai flussi turistici classici, che si riempie per qualche giorno di più di 20mila persone che accorrono da tutta Italia. Negli anni è divenuto un vero e proprio incubatore culturale, perché ad Aliano si produce cultura diffusa, idee, innovazione. Il festival ha fatto sì che aprissero alberghi, ristoranti, bar, ma soprattutto istituzioni culturali: sono stati aperti tre musei e la meta è divenuta la seconda per flussi turistici in Basilicata. La mia grande intuizione rispetto al festival è stata quella di capire che il punto di forza di tutto quello che stavamo costruendo era dato dal borgo stesso: ho quindi letteralmente sacralizzato i famosi calanchi, che originariamente ospitavano una discarica. Sacralizzando un luogo considerato marginale per la popolazione, abbiamo cambiato la percezione del luogo per gli abitanti, che adesso sono fieri del loro territorio, mentre 50 anni fa non ne vedevano le potenzialità e se ne vergognavano addirittura: questo è un risultato favoloso, di cui vado molto fiero.
Come si struttura quest’anno il festival? Quali novità nella programmazione?
Il festival, che dura tre giorni, dal 19 fino al 21 agosto, ha un fitto programma di eventi: nei tre giorni precedenti al festival gli artisti entreranno letteralmente nei bar, nelle case delle persone, degli abitanti, per permettere un dialogo costante e diretto con loro.
Durante i giorni del festival invece eventi, artisti e grandi personalità della cultura italiana si esibiranno in performance diffuse: dai dialoghi sulla spiritualità insieme a Guidalberto Bormolini, alla musica di Ginevra di Marco, alle sperimentazioni musicali di Fabio Barovero, ai dialoghi tra me e Domenico Iannaccone, allo spettacolo con Rocco Papaleo, alle letture en plein air di poeti come Leopardi, che verrà letto a bassa voce in giro per il borgo, perché Leopardi è un poeta che si legge meglio a bassa voce, secondo me. Oltre agli artisti e agli eventi in programma abbiamo costruito anche performance diverse e bizzarre, come la festa al cimitero di Aliano, in cui le persone potranno farsi seppellire per qualche minuto sottoterra, vicino a Carlo Levi, che è seppellito qua. Tanti anche gli spettacoli dedicati a personalità e artisti locali, che via via si stanno perdendo dal patrimonio culturale mainstream: Rocco Scotellaro, Matteo Salvatore, un grande compositore e cantore del sud o lo stesso Carlo Levi, figura fondamentale per questo territorio.
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