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lunedì, Dicembre 16, 2024

È possibile una gestione di prossimità dei rifiuti? Il MiTe ci prova con il PNGR e gli “impianti minimi”

Il Programma lanciato dal governo costituisce uno dei pilastri degli interventi per il settore. Sotto osservazione soprattutto il principio di prossimità, che esclude la possibilità per le Regioni di stipulare accordi di area vasta (macroarea) per la gestione della frazione organica

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“È noto che la pianificazione regionale è il nodo attorno al quale si concentra l’assenza di impianti all’avanguardia o la presenza di impianti obsoleti. La pianificazione regionale è il vero ostacolo alla realizzazione di un’infrastrutturazione circolare”. Così Laura D’Aprile,  a capo del dipartimento della Transizione Ecologica e Investimenti Verdi presso il Ministero della Transizione Ecologica, negli scorsi giorni alla quarta Conferenza organizzata dal Circular Economy Netork ha sintetizzato la posizione del governo sull’annoso tema dei rifiuti. Oltre alle dichiarazioni, però, ci sono gli atti. E questi possono essere giudicati dalle riforme messe in campo, soprattutto grazie alla spinta e ai fondi del Pnrr: la Strategia nazionale sull’economia circolare, il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR) e il Supporto tecnico alle amministrazioni locali.

In questa sede analizzeremo nello specifico il Programma Nazionale  per la Gestione dei Rifiuti, attualmente in fase di Valutazione Ambientale Strategica. In particolar modo concentreremo l’attenzione sull’introduzione del principio di prossimità che, nelle intenzioni del governo, mira a evitare il trasporto dei rifiuti da una Regione all’altra o, come più spesso avviene, all’estero.

Leggi anche: Vi raccontiamo il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti. Al via la fase delle osservazioni

La gestione dei rifiuti nel PNGR

Il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR) costituisce una delle riforme principali previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per il settore dei rifiuti. Pur non prevedendo interventi diretti o progetti puntuali – demandati invece ai Piani Regionali di Gestione dei Rifiuti (PRGR) – il Programma, che copre gli anni 2022-2028, costituisce uno dei pilastri degli interventi per il settore, unitamente alla Strategia Nazionale per l’Economia Circolare.

Benché il documento non sia ancora definitivo (lo sarà alla fine di giugno di quest’anno), vi sono stati dei recenti aggiornamenti, contenuti nella proposta di Programma diffusa dal MiTE a metà dello scorso mese di marzo. Tra le altre questioni, il PNGR chiarisce il ruolo del recupero energetico nel percorso di infrastrutturazione, sottolineando come in alcune aree del Paese la dotazione di impianti non è adeguata a gestire il rifiuto urbano indifferenziato. Al contempo, tra le azioni regionali per colmare il gap impiantistico nazionale, si rimanda alla necessità di individuare un fabbisogno impiantistico residuo di recupero energetico anche per gli scarti dei trattamenti della selezione delle frazioni secche della raccolta differenziata e del trattamento delle frazioni organiche avviate a compostaggio e/o digestione anaerobica. Così facendo, anche per queste ultime, si garantisce un’alternativa allo smaltimento in discarica.

Nello stesso tempo, il Programma spinge perché si privilegino le scelte impiantistiche indirizzate al recupero energetico “tal quale”, senza attività di pretrattamento, allo scopo di massimizzare la valorizzazione energetica del rifiuto. Tuttavia, con i fondi del PNRR non sarà possibile finanziare nuovi termovalorizzatori, in coerenza con quanto attualmente indicato anche dalla Tassonomia europea delle attività ecosostenibili. Tra le novità, vi sono anche i criteri per la definizione delle macroaree (indicate dall’Art. 198-bis del D.Lgs. 152/2006, TUA-Testo Unico in materia Ambientale) nell’ambito delle quali razionalizzare l’impiantistica, da definirsi mediante accordi tra le Regioni. Al riguardo, il PNGR evidenzia la centralità dei principi cardine di autosufficienza e prossimità.

Decisamente stringente appare l’indicazione per cui i rifiuti organici devono essere gestiti all’interno del territorio regionale nel rispetto del principio di prossimità, così da limitarne il più possibile la movimentazione. Ciò sembra porsi in conflitto con le prescrizioni normative dell’Art. 181, comma 5, del TUA in cui si stabilisce che “per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale […], al fine di favorire il più possibile il loro recupero privilegiando, anche con strumenti economici, il principio di prossimità agli impianti di recupero”.  Se, dunque, nel TUA è presente un invito a privilegiare la gestione in prossimità della FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano), che si colloca naturalmente in un mercato i cui confini sono nazionali, nel nuovo PNGR questa stessa frazione viene – nei fatti – ricompresa in un perimetro di autosufficienza regionale nel trattamento, che in parte “riscrive” le regole e i confini del mercato individuati dalla Legge.

A rinforzo di questa impostazione, nel PNGR, la possibilità di definire accordi di macroarea per il trattamento del rifiuto organico è espressamente esclusa, mentre è prevista per il recupero energetico dei rifiuti urbani indifferenziati, degli scarti da raccolta differenziata e dei rifiuti derivanti da trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati.

Leggi anche: Le proposte di Ref ricerche sulla Strategia per l’economia circolare

PNGR e impianti “minimi”: quale mercato?

L’esclusione della possibilità di stipulare accordi di area vasta (macroarea) per la gestione della FORSU indica che tale frazione dovrà essere trattata in regione: un sacrificio del principio concorrenziale in cambio di una gestione in prossimità, pensata per minimizzare la movimentazione di rifiuti putrescibili. Un’impostazione che non sembra esente da vizi procedurali.

In primo luogo, la definizione di un assetto di mercato andrebbe demandata alla legge, piuttosto che agli strumenti di programmazione. Ciò è vero in particolare per le frazioni a recupero, laddove l’indirizzo contenuto nel PNGR sembra porsi in contrasto con l’Art. 181, comma 5 del TUA, che indica la libera circolazione sul territorio nazionale delle frazioni avviate a riciclaggio e a recupero. In secondo luogo, sebbene motivato da esigenze di carattere ambientale e dalla volontà di favorire implicitamente una più attenta azione di pianificazione da parte delle singole Regioni, l’indicazione del PNGR di restringere al perimetro regionale il trattamento del rifiuto organico avrà inevitabili conseguenze sul mercato attuale della FORSU e sul suo sviluppo futuro.

Quanto meno nell’area del Nord, ove l’offerta è più capiente e strutturata rispetto al resto del Paese, sarebbe stato opportuno privilegiare una gestione a mercato su area vasta, che valorizzasse le economie di scala degli impianti a tecnologia complessa, riservando al Centro-Sud un assetto regolato su base regionale volto alla chiusura dei divari nelle aree carenti di impianti. Ciò avrebbe permesso di traguardare un ciclo di gestione dell’organico territorialmente contiguo, ma maggiormente tarato sull’effettiva dotazione infrastrutturale nei territori.

In conclusione, l’individuazione degli impianti “minimi” e l’avvio di un processo di infrastrutturazione, anche sotto la spinta del PNRR, lasciano presupporre che la gestione del rifiuto organico tenderà a chiudersi nel perimetro regionale, riducendo progressivamente i flussi extra-regionali. L’equilibrio di lungo periodo che sembra delinearsi per la FORSU è, quindi, quello di una progressiva saturazione del mercato nazionale, basata sulla sottrazione dei flussi “bacinizzati” e sul graduale aumento dell’offerta nei territori attualmente in deficit.

Gli impianti del Nord, che attualmente accolgono flussi dalle altre aree del Paese, si vedranno costretti ad accogliere rifiuti di provenienza extra-nazionale o di origine extra-urbana. I tempi e le modalità con cui potrà essere raggiunta tale condizione dipendono essenzialmente dalla velocità e dalla rapidità con cui verranno realizzati i nuovi impianti di trattamento nelle regioni del Centro-Sud. Appare centrale, all’interno di tale framework, evitare che gli impianti “minimi” assumano i connotati di uno strumento meramente protezionistico dello status quo. Le restrizioni alla concorrenza possono essere tollerate unicamente in via transitoria, e se funzionali ad un disegno di infrastrutturazione.

Più in generale, occorre sostenere quelle iniziative che dimostrino di assicurare benefici ambientali e costi inferiori, scoraggiando parallelamente quelle iniziative di mera opportunità che poggiano sulla sottrazione dei rifiuti alle regole di mercato, senza offrire costi competitivi ed evidenti vantaggi ambientali. Nel complesso, un equilibrio futuro maggiormente auspicabile vede l’identificazione di una quota parte di capacità impiantistica come minima, che funga da valvola di sicurezza per assicurare il trattamento nelle aree deficitarie, da individuarsi mediante ricorso a procedure ad evidenza pubblica (aste). Parimenti, la restante parte dei flussi dovrà essere allocata sulla base di meccanismi di mercato.

Le scelte operate da talune Regioni di ancorare alla programmazione solo una parte del fabbisogno di trattamento dell’organico appaiono lungimiranti: da un lato, consentono di garantire continuità e sicurezza al trattamento, dall’altro permettono di traguardare un benchmarking competitivo tra tariffe di accesso regolate ed esiti di mercato.

© Riproduzione riservata

 

Per approfondire
PNGR e impianti “minimi”: quale disegno di mercato?
Position Paper n. 208, Laboratorio REF Ricerche – aprile 2022
Di Andrea Ballabio, Donato Berardi e Nicolò Valle
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