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giovedì, Novembre 14, 2024

Green job e sostenibilità ambientale: una questione di genere?

Mentre i green job stanno vivendo un'espansione rapida, la questione della rappresentanza femminile in questi settori si fa sempre più pressante. Tra opportunità in aumento e il rischio costante di esclusione, il ruolo delle donne nell'ambito dei green job rimane una preoccupante incognita

di Aurore Dudka e Elena De Gioannis

Il Green deal europeo, un’iniziativa ambiziosa dell’Unione Europea, sta rivoluzionando l’attuale panorama professionale. Nella ricerca della neutralità carbonica entro il 2050, questo importante impegno ecologico porterà a una trasformazione considerevole del mercato del lavoro: si prevede, infatti, che questo cambiamento influenzerà circa un lavoratore su cinque, ovvero il 20% della forza lavoro, reindirizzando competenze e professioni verso carriere più allineate con gli obiettivi ambientali, ora qualificate come green job. Queste nuove opportunità professionali saranno focalizzate sulla riduzione del consumo di energia e materie prime, sulla limitazione delle emissioni di gas serra, sulla riduzione dei rifiuti e dell’inquinamento, sulla protezione e il restauro degli ecosistemi, così come sull’abilitazione delle imprese e delle comunità ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

Se in precedenza vi era una certa ambiguità riguardo alla nozione di green job, dal 2022 la discussione è diventata più precisa e consensuale, concentrando l’approccio sulle competenze per la transizione verde, definite come “competenze e capacità, ma anche la conoscenza, le abilità, i valori e gli atteggiamenti necessari per vivere, lavorare e agire in economie e società efficienti sul piano delle risorse e sostenibili”. Queste includono sia competenze tecniche e conoscenze specialistiche sia competenze trasversali, in linea con le richieste innovative e in continua evoluzione dell’economia verde.

Il percorso formativo verso i green job

Risulta quindi chiaro dalla definizione dei green job che non si fa riferimento a uno specifico tipo di professione, bensì ad un approccio che può essere applicato in diversi settori. Per questo motivo, è difficile identificare un vero e proprio percorso formativo che abbia come sbocco quello dei green job. Da questo punto di vista, è quindi interessante commentare i risultati della nuova ricerca condotta da Almalaurea sulla presenza delle tematiche sulla sostenibilità ambientale nei corsi di laurea italiani. Tra i 220.000 laureati che hanno partecipato all’indagine, circa il 62% ha affrontato almeno una tematica legata alla sostenibilità ambientale, sebbene con qualche differenza legata all’area disciplinare – il 67% nell’area STEM (Science, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) contro il 49% nell’area sanitaria e agro-veterinaria.

I laureati intervistati dimostrano di essere interessati a queste tematiche e vorrebbero che venissero approfondite di più nei corsi che frequentano: attualmente, infatti, le tematiche della sostenibilità ambientale riguardano in media un quarto dei corsi di studio. Questo interesse nasce perlopiù dal desiderio di apportare un cambiamento positivo alla società e alle future generazioni, mentre è più raro che esso derivi dalle possibilità lavorative e, in particolare, dall’interesse nei confronti di green job.

Resta da capire se la minore importanza attribuita ai percorsi professionali nel settore della sostenibilità ambientale sia dovuta ad una scarsa conoscenza dei green job o derivi dal fatto che, rispetto ad altre tematiche, quello della sostenibilità ambientale ha una forte connotazione sociale soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione: si pensi, ad esempio, ai recenti movimenti sociali legati al cambiamento climatico e al coinvolgimento delle nuove generazioni in queste proteste.

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Green job, un settore per le donne?

Essendo caratterizzati da un approccio olistico e un management orizzontale centrato sulla salvaguardia del pianeta, i green job sembrano essere più inclusivi e favorevoli per le donne rispetto ad altri settori che richiedono capacità tecniche. Questa evoluzione è particolarmente notevole nel campo delle energie rinnovabili. Secondo un report sul tema dell’International Renewable Energy Agency (IRENA), già nel 2018 le donne rappresentavano il 32% della forza lavoro, contro il 22% del settore delle energie fossili. Per comprendere il (potenziale) coinvolgimento delle donne in questo settore è, tuttavia, necessaria una riflessione più articolata.

In primo luogo, nonostante una presenza sempre maggiore delle donne nel mondo lavoro, la segregazione di genere continua a caratterizzare diverse occupazioni, sia in orizzontale sia in verticale: le donne trovano spesso occupazione in professioni tradizionalmente femminili (segregazione orizzontale) e sono meno rappresentate nelle posizioni di management intermedio e in posizioni apicali (segregazione verticale).

In questo senso, lo studio condotto dall’ International Labour Organization evidenzia una sfida significativa: nonostante la transizione ecologica generi nuove opportunità, le disparità di genere persistono e il rischio di marginalizzazione delle donne anche nei green job è rilevante. La riconversione ai green job potrebbe, inoltre, essere più facile per gli uomini provenienti da settori non verdi come le energie fossili a causa della similarità dei compiti, passaggio che quindi richiede un minor investimento in formazione.

Date queste premesse, le attuali disuguaglianze di genere esistenti nel mercato del lavoro verde potrebbero essere, in futuro, ulteriormente amplificate: si prevede infatti, come riportato nello studio pubblicato nel 2023 dalll’International Lobour Organization (ILO), che le donne saranno 3 ogni 10 tra i 100 milioni nuovi lavoratori occupati nei lavori verdi e ci si aspettano anche disparità nei ruoli, con una concentrazione di donne nelle posizioni meno remunerative e più vulnerabili. Sebbene questa disparità sia comune a molti Paesi, è doveroso notare che l’Italia attualmente occupa l’ultimo gradino nella scala della parità di genere nei green job: nel 2021, la percentuale femminile media nei Paesi dell’Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD) era del 28%, mentre in Italia del 20%.

Leggi anche: Il cammino verso la parità di genere dell’IPCC, tra sfide e progressi

Un’offerta educativa che rafforzerà le disuguaglianze?

Lo studio sopracitato di Almalaurea rivela che nelle facoltà STEM, gli argomenti relativi ai lavori verdi sono insegnati più frequentemente nei corsi obbligatori, il che rafforza l’idea che esista una forte associazione tra le competenze green e le competenze STEM (Kwauk & Casey, 2022). Essendo alcuni settori Stem – in inglese Science, technology, engineering and mathematics, ovvero il campo scientifico-tecnologico e i relativi corsi di studio – ancora fortemente caratterizzati da una scarsa rappresentanza femminile, sia in ambito accademico sia in ambito professionale, gli uomini hanno quindi già in partenza un vantaggio rispetto alle donne nell’accesso alla formazione necessaria per i green job. Non sorprende quindi che, in generale, tra i laureati intervistati da Almalaurea siano gli uomini più delle donne ad aver affrontato le tematiche di sostenibilità ambientale durante il percorso di studio (65,4% degli uomini contro il 58,9% delle donne).

Vi è però un risultato interessante: a differenza delle altre aree disciplinari, il divario sopracitato si ribalta tra i laureati delle discipline Stem, dove sono le donne più degli uomini ad aver approfondito tali tematiche. Questo risultato sorprende solo in parte perché rientra nel più ampio fenomeno per cui le donne che entrano in settori a prevalenza maschile tendono a scegliere una nicchia “femminile” all’interno del settore. Poiché diversi studi hanno confermato che sono le donne, più degli uomini, ad avere a cuore la questione del cambiamento climatico e la sostenibilità, il risultato di Almalaurea suggerisce che tra le laureate che hanno scelto un percorso tradizionalmente “non femminile”, i temi della sostenibilità ambientale potrebbero aiutarle a trovare un ambito professionale più nelle loro corde e nel quale si sentono più competenti.

Vi è tuttavia, anche tra le laureate Stem una valorizzazione di temi con una forte risonanza sociale, come l’educazione ambientale, a discapito di altri più tecnici. La percezione che le laureate hanno dei lavori verdi è anche meno strumentale rispetto a quella degli uomini: esse, infatti, associano in media più degli uomini i green job a un’opportunità di migliorare il benessere della società e delle future generazioni e vedono meno degli uomini tali lavori come un modo per ottenere un lavoro ben retribuito. Questo suggerisce che le donne, sebbene interessate, siano più orientate verso un approccio meno tecnico ma più trasformativo ed equo, sia socialmente che politicamente.

Leggi anche: Donne nelle Stem, quando dati e analisi non sono neutri

Raccomandazioni politiche

Alla luce dei dati finora raccolti sulle disuguaglianze di genere nei green job, risulta essenziale elaborare e implementare sin da ora politiche educative che permettano di combattere la dicotomia in cui le questioni di genere e i temi ambientali evolvono parallelamente, senza una vera intersezione.

Per quanto riguarda la formazione accademica, maggiori informazioni sugli sbocchi lavorativi di chi si vuole occupare di sostenibilità ambientale aiuterebbe gli studenti e le studentesse ad interessarsi maggiormente a questi nuovi lavori. Da un punto di vista di genere, tali campagne informative dovrebbero porre particolare attenzione ad incoraggiare le donne a non concentrarsi solo sugli aspetti sociali, ma anche a quelli più tecnici. Il rischio, come discusso in precedenza, è che la tendenza a preferire le tematiche sociali releghi le donne nei ruoli marginali e meno remunerativi di questi settori, di fatto rafforzando la più generica disparità di genere nel mercato del lavoro, quali la segregazione verticale e il divario salariale.

Secondo IRENA, ad esempio, nell’accesso ai lavori nel campo delle energie rinnovabili la mancanza di competenze è un ostacolo per il 34% delle donne; a rappresentare il limite maggiore sono invece le norme culturali e sociali, che colpiscono il 72% delle donne. Data la presenza di persistenti stereotipi di genere e la loro significativa influenza sulle scelte educative e professionali delle donne, non ci si può aspettare che il semplice aumento della partecipazione femminile nelle Stem sia sufficiente a risolvere tale dicotomia. In questo contesto, iniziative come il progetto Women Can Build, finanziato dall’Unione Europea, sono fondamentali: esso mira a cambiare gli atteggiamenti nei settori maschili in crescita – come l’edilizia con l’energy retrofitting – combattendo gli stereotipi e incoraggiando le donne ad accedere a questi ambienti.

Leggi anche: Donne e scienza, ripartire dalle bambine per colmare il divario di genere

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