Uno dei tre principi su cui si basa il concetto di economia circolare secondo la Ellen MacArthur Foundation è quello della rigenerazione dei sistemi naturali. Lavorare con la natura e come la natura, facendo degli scarti una risorsa ed eliminando il concetto di rifiuto, è quindi alla base di una transizione circolare per qualsiasi settore industriale. Nel suo ultimo report “The Nature of Fashion: moving towards a regenerative system” il Biomimicry Institute, organizzazione no-profit specializzata in soluzioni ispirate alla natura, spiega come l’industria della moda abbia la possibilità di emulare il funzionamento della natura migliorando così gli ecosistemi, e a catena aumentare la biodiversità, rigenerare i suoli, supportare le comunità locali e ridurre l’inquinamento.
Imitare la natura con un sistema rigenerativo
Uno scenario totalmente diverso da quello attuale dove solo meno dell’1% dei materiali utilizzati per produrre abbigliamento è riciclato in nuovi abiti, circa 8% delle emissioni mondiali di gas serra deriva dal settore abbigliamento e calzature, e il consumo di acqua, la produzione di rifiuti e le emissioni del settore potrebbero aumentare di più del 50% entro il 2030 (rispetto ai livelli 2015) se si continua su questo percorso. Il Biomimicry Institute supporta l’idea di un comparto moda biomimetico, dove nessun flusso inizia o finisce nel suolo, nell’aria o nell’acqua e si fa largo l’obiettivo di un equilibrio stabile.
Con biomimesi si intende la scienza per cui la natura ispira la progettazione di materiali e sistemi che imitino i cicli, la struttura e le funzioni dei sistemi biologici. Secondo il Biomimicry Institute, il futuro del settore moda è ispirarsi alla natura: nuove fibre capaci di decomporsi che permettano un legame stretto tra la fase di decomposizione e quella della produzione primaria. Un sistema dove quindi alle infrastrutture di riciclo e di economia circolare (riuso e rigenerazione) è richiesto di estrarre tutta l’utilità disponibile dai materiali prima che vengano decomposti in modo sicuro. In un’economia della moda biomimetica diverse materie prime sostituiscono il petrolio nella produzione primaria, si cattura il vero valore dei materiali tramite riuso, riciclo e rigenerazione, e con la decomposizione i tessuti sono riportati ai loro elementi costitutivi di base, il tutto alimentato da energia rinnovabile. Secondo il report, questo ciclo che emula l’equilibrio dinamico della natura può prendere piede se per prima cosa ci si focalizza sulla transizione verso fibre 100% biodegradabili.
L’Istituto con sede nel Montana (Usa) promuove la transizione verso un sistema rigenerativo, dove in ottica di economia circolare non si pensi solo all’efficienza ma anche alla resilienza, su una produzione decentralizzata e regionale. Nella visione di Biomimicry l’agricoltura rigenerativa, con un più attento utilizzo delle terre coltivate e ripristinando quelle incolte e abbandonate, potrebbe dar vita a diverse filiere locali di produzione di fibre ecocompatibili. Non c’è quindi, in questa visione, la necessità di sfruttare nuovi territori e foreste, favorendo la resilienza rispetto all’efficienza. Secondo le stime dell’istituto questa produzione potrebbe consentire al comparto moda di soddisfare la domanda globale con fibre 100% biodegradabili. Includere la fase post-consumo e, nel caso delle fibre biodegradabili, di decomposizione nel processo di progettazione e produzione dei capi permette di sviluppare un sistema che si ispiri alla natura con un approccio effettivamente circolare.
Da dove arrivano le fibre biodegradabili?
Il report di Biomimicry descrive tre possibili fonti di approvvigionamento per produrre fibre biodegradabili: le fibre naturali, le materie prime cellulosiche e i prodotti di fermentazione. Le fibre naturali, già ampiamente utilizzate dal settore moda, se prodotte tramite un agricoltura rigenerativa possono contribuire a sequestrare il carbonio, aumentare la biodiversità, rigenerare i suoli e i servizi dell’ecosistema, e supportare le economie regionali. Géraldine Vallejo, direttrice del programma sostenibilità del gruppo Kering, gigante mondiale del lusso che raccoglie numerosi marchi, sostiene che un approccio rigenerativo può dar vita a una produzione di fibre e pelli di alta qualità ed evidenzia che in un’ottico di diffusione della cultura circolare si deve sempre più preferire la qualità dei capi di abbigliamento rispetto alla quantità.
Le fibre naturali hanno grandi potenzialità in termini di prestazione, dall’assorbimento degli odori alle ottime proprietà termiche passando per la traspirabilità. Il problema però sono i costi elevati, decisamente non concorrenziali con fibre come il poliestere, molto a buon mercato grazie agli incentivi al petrolio da cui derivano, alla larga scala di produzione e agli investimenti decennali in ricerca e sviluppo nel settore. Questo divario, emerge dal report, si può colmare solo riorientando gli incentivi verso i materiali ecocompatibili, finanziando ricerca e innovazione nel campo delle fibre naturali per renderle più competitive. “È sciocco liquidare le fibre naturali come troppo costose senza esplorare il potenziale di nuovi sviluppi” sottolineano gli autori del report.
La speranza da scarti agricoli e fermentazione
Un’altra fonte che può supportare un comparto moda biomimetico, e allo stesso tempo soddisfare la domanda globale, è la trasformazione di scarti agricoli di cellulosa in fibre naturali di alto valore. Circular System, azienda specializzata nelle scienze dei materiali, sostiene che questi scarti da soli possono soddisfare 2,5 volte l’attuale domanda di fibre, offrendo più di 250 milioni di tonnellate di fibre all’anno. Questo approccio reimmette in circolo un rifiuto è in netto contrasto con le pratiche attualmente prevalenti, che ottengono cellulosa per la produzione di fibre da foreste primarie in continua diminuzione, come dimostrano le ricerche della ong canadese Canopy.
Molto promettente anche la sperimentazione nel campo della fermentazione: un processo che consiste nella coltivazione di microbi (batteri o lieviti) alimentati da flussi di rifiuti non cellulosici provenienti da diversi settori. Considerato un approccio con barriere all’ingresso potenzialmente basse e facile da avviare, la sfida del settore moda è analizzare il vero impatto di questo nuovo processo sull’ambiente.
L’industria della moda ha un vantaggio nel lavorare con la natura per una transizione verso un’economia circolare rispetto agli altri settori, commentano gli autori: “I tessuti sono tutti a base di carbonio. Tutti i tessuti hanno un duplice scopo, servire a uno scopo utile come abbigliamento, ma anche immagazzinare carbonio o energia”. È ancora lunga la strada verso un mondo di solo fibre biodegradabili e processi sostenibili, ma il Biomimicry Institute raccomanda di investire in produzione locale, creare sistemi di agricoltura riparativa e rigenerativa e incentivare la creazione di nuovi biomateriali per dare una spinta verso il cambiamento del settore moda. Non c’è dubbio che anche la politica dovrà fare la sua parte per permettere a questo sistema rigenerativo di potersi fare spazio.
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