“Investireste mai in una società che non rispetta metodicamente i tetti di spesa e di budget? La prudenza suggerirebbe di no. E allora cosa dire delle società che operano oltre le soglie di sostenibilità ecologica del pianeta?”. È passato quasi un decennio da quando Bill Baue rivolse questa domanda ai lettori in un articolo pubblicato sul Guardian. E sebbene tante aziende siano ancora sorde, oggi Baue può essere più ottimista. Il problema, infatti, è che abbiamo strumenti per capire se un’azienda opera al di fuori del budget economico, ma non di quello ecologico: semplicemente perché nessuno per almeno due decenni ha pensato di calcolare quali possano essere i limiti del budget della Terra.
Nel novembre del 2022, l’Istituto di ricerca delle Nazioni Unite per lo sviluppo sociale (UNRISD) ha pubblicato lo studio “Authentic Sustainability Assessment. A User Manual for the Sustainable Development Performance Indicators”, dove sono elaborati, per la prima volta, una serie completa di indicatori per valutare le prestazioni delle aziende considerando le soglie di sostenibilità planetarie e le trasformazioni necessarie per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite entro il 2030.
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Perché si tratta di un documento storico
L’accoglienza dello studio delle Nazioni Unite è stata trionfale. Alcuni esperti hanno parlato di “pietra miliare” nella ricerca sui temi della sostenibilità, dalle “enormi conseguenze per lo sviluppo” e di “momento storico”, come lo sono stati gli avvertimenti del Club di Roma nel 1972 sull’incompatibilità tra crescita economica infinita, sviluppo demografico e sopravvivenza sulla Terra e il “Brundtland Report” del 1987, che introdusse il concetto di “sviluppo sostenibile”.
Per molti aspetti, la situazione oggi è persino peggiore rispetto a trenta anni fa. Nonostante le numerose conferenze sul clima, le promesse di governi e aziende e gli indubbi passi avanti fatti, i progressi sono ancora insufficienti. Ci si è resi conto che non bastava il focus esclusivo sul cambiamento climatico e le emissioni di gas serra per valutare i report di sostenibilità delle aziende. Ci sono tutta una serie di limiti per il pianeta che non possono essere oltrepassati dallo sviluppo dell’uomo senza mettere in pericolo le risorse della Terra, i cosiddetti “planetary boundaries”.
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Gli indicatori di sostenibilità e i planetary boundaries
I nuovi indicatori delle Nazioni Unite fanno proprio questo: tengono conto di tutte le variabili ambientali per non dare un’immagine distorta della sostenibilità delle imprese. “Questi indicatori misurano le prestazioni di sostenibilità ambientale e sociale di aziende, organizzazioni no profit e altre attività economiche con lo scopo di valutarne l’impatto sul benessere di tutte le parti interessate, dalla natura agli esseri umani”, spiega lo stesso Bill Baue, oggi direttore dell’ong r3.0 (Redesign for Resilience & Regeneration) in un webinar seguito da Economia circolare.com in cui spiega cosa sia l’Authentic Sustainability Assessment e come interpretare gli indicatori.
Gli indicatori si concentrano da un lato sugli impatti delle attività economiche e produttive sulle risorse vitali del pianeta, come il consumo di acqua, di risorse e la perdita di biodiversità. Dall’altro sugli impatti sul benessere sociale: se l’impresa garantisce uno stipendio in grado di superare la soglia di sostentamento, la parità salariale, la parità di genere e promuove l’occupazione. “Solo confrontandosi con tutte queste soglie di sostenibilità, basate su principi universali e fondate scientificamente, le aziende possono considerarsi davvero sostenibili”, precisa Baue.
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Valutare l’impatto ambientale e sociale delle aziende
Per fare una valutazione accurata sui reali impatti delle attività economiche gli indicatori utilizzano un approccio nuovo e migliorato: “Superano l’idea di misurazione incrementale in cui le performance aziendali sono calcolate in termini di progressi annuali nella riduzione degli impatti, nel confronto con le altre aziende dello stesso settore o per unità di prodotto, perché si basano comunque sull’idea sbagliata di estrarre risorse infinite in un pianeta con risorse finite”.
Bill Baue fa l’esempio del consumo d’acqua, uno dei beni più scarsi della Terra: “Un’azienda che riduce il proprio consumo idrico del 35% o risparmia più acqua delle aziende concorrenti in realtà non ci dice nulla sul reale consumo idrico. L’azienda potrebbe essere la migliore del suo settore, ma avere comunque risultati scarsi perché oltrepassano le soglie di sostenibilità planetaria”.
Invece gli indicatori per determinare la vera sostenibilità di un’azienda raccomandano di confrontare il consumo di acqua con la disponibilità delle risorse idriche alla luce della capacità dell’ecosistema e dell’effettivo fabbisogno idrico delle specie che ci vivono. Un altro esempio è la perdita di biodiversità: se le imprese contribuiscono a questo processo, significa che privano la Terra della stessa capacità di autorigenerarsi e quindi l’impatto è negativo anche nel caso in cui le emissioni annualmente si riducano.
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Un’economia ancorata alla realtà e sostenibile
Lo strumento, perciò, da un lato è ancora più efficace nello smascherare i casi di greenwashing. Dall’altro, “le aziende avranno finalmente indicatori per stilare report di sostenibilità affidabili e veritieri e questo faciliterà il lavoro di ricerca delle informazioni indispensabili da comunicare”, nota Baue. In base a una ricerca fatta da alcuni studiosi danesi nel 2017, solo l’1% delle disclosure contenute nei report delle imprese considerava le performance aziendali nel contesto dei planetary boundaries.
Del resto, con il passare del tempo, alle imprese sarà richiesto sempre più spesso di divulgare i loro impatti sulla sostenibilità. È il caso delle grandi aziende europee a partire dal 2024, a seguito dell’entrata in vigore della direttiva Corporate Sustainability Reporting. Anche i mercati azionari si stanno muovendo in questa direzione, costringendo le società quotate in borsa negli Stati Uniti e in Canada a rendere pubbliche le loro performance di sostenibilità.
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Gli indicatori SPDI testati dalle aziende
Più di venti attori, individuati dall’associazione r3.0, hanno già cominciato a testare i nuovi indicatori durante la fase di ricerca dello studio. Tra di essi c’erano multinazionali come l’angloamericana Manulife, piccole e medie imprese e organizzazioni no profit da varie parti del mondo (India, Canada, Stati Uniti e Spagna) e intermediari come la Banca Mondiale e la World Benchmarking Alliance.
Nei prossimi mesi l’UNRISD lancerà anche la piattaforma online SDPI, uno strumento con cui le aziende potranno valutare i loro progressi nella sostenibilità. Genera automaticamente un report che presenta l’analisi delle tendenze e consente agli utenti di valutare gli impatti o le prestazioni in relazione alle norme e alle soglie di sostenibilità, fornendo un mezzo per valutare la portata del cambiamento trasformativo verso una reale sostenibilità.
“L’adozione diffusa e concertata degli indicatori SDPI in tutto il mondo permetterà, come parte di questo crescente slancio di divulgazione delle prestazioni di sostenibilità, favorire un’autentica sostenibilità che ci avvicini all’affrontare adeguatamente l’entità delle sfide future”, conclude Baue. Adesso è importante per le imprese utilizzarli e per l’opinione pubblica conoscerli: rispetto a trenta anni fa, almeno, c’è uno strumento in più.
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