fbpx
domenica, Ottobre 6, 2024

Come le aziende fossili e produttrici di carne hanno annacquato l’ultimo report IPCC

A modificare l'ultimo report dell'IPCC, il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, sono state le pressioni di Stati e aziende. Preoccupate soltanto di difendere i propri interessi. Tolti i riferimenti a una dieta più vegetale e l'eliminazione graduale di carbone, petrolio e gas

EconomiaCircolare.com
EconomiaCircolare.com
Redazione EconomiaCircolare.com

Lo scorso 20 marzo è stato pubblicato il nuovo rapporto scientifico sul clima del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, noto anche con l’acronimo inglese IPCC,  delle Nazioni Unite. Si tratta più precisamente del rapporto di sintesi che integra i risultati dei tre gruppi di lavoro Le basi fisico-scientifiche (2021), Impatti, adattamento e vulnerabilità (2022), Mitigazione dei cambiamenti climatici (2022) – e dei tre rapporti speciali Riscaldamento Globale di 1.5 (2018), Climate Change and Land (2019), Oceano e Criosfera in un clima che cambia (2019).

Accanto a una flebile speranza per contrastare la crisi climatica in corso, il rapporto di sintesi è comunque un duro atto d’accusa verso le imprese e i governi che non hanno messo in campo tutti gli sforzi necessari per evitare le conseguenze più nefaste (e note) del surriscaldamento globale. E pensare che avrebbe dovuto ancora essere più netto, a leggere un dettagliato articolo di approfondimento di Michael Thomas, fondatore e autore di Distilled, una delle più note e apprezzate newsletter al mondo che si dedica all’approfondimento della crisi climatica, analizzandone cause e conseguenze e raccontando le storie di chi lotta per modificare lo stato delle cose e salvare il Pianeta.

Già il titolo dell’articolo di Michael Thomas è parecchio esplicativo: How Meat and Fossil Fuel Producers Watered Down the Latest IPCC Report, ovvero “Come i produttori di carne e combustibili fossili hanno annacquato l’ultimo rapporto dell’IPCC”. Dove si apprende che la comunità scientifica delle Nazioni Unite avrebbe suggerito più diete a base vegetale e l’eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili. Raccomandazioni che però sono scomparse dal rapporto finale.

Leggi anche: Il rapporto di sintesi dell’IPCC sui cambiamenti climatici raccontato coi numeri

Le fonti e le modifiche al report IPCC

Le fonti di Michael Thomas sono Scientist Rebellion, l’organizzazione sorella di Extinction Rebellion che vede battersi scienziate e scienziati, e Greenpeace: le due organizzazioni, infatti, conoscendo il metodo col quale il gruppo intergovernativo arriva alla pubblicazione finale dei rapporti sul clima, sono riuscite ad avere le bozze stilate dalla comunità scientifica e, confrontandole con le versioni finale pubblicate sul sito dell’IPCC, hanno individuato i passaggi tagliati e le modifiche effettuate.

Funziona così: le scienziate e gli scienziati delle Nazioni Unite effettuano un riassunto della letteratura scientifica sulla crisi climatica (non producono cioè nuova ricerca ma compendiano quella già esistente). Ne ottengono una bozza destinata alla politica e che, per aumentare la trasversalità, sottopongono ai delegati non scienziati dei Paesi di tutto il mondo che hanno la possibilità di suggerire dei cambiamenti.

“I delegati del Brasile e dell’Argentina – scrive Thomas – hanno rimosso con successo qualsiasi menzione degli impatti negativi della carne sull’ambiente. Hanno anche rimosso le raccomandazioni secondo cui le persone nei paesi ricchi dovrebbero ridurre il consumo di carne e modificare la loro dieta per includere più alimenti a base vegetale. Nel frattempo, i delegati dell’Arabia Saudita hanno apportato modifiche in tutto il rapporto per posizionare la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) come una soluzione climatica alla pari con l’energia rinnovabile”.

Leggi anche: Ultima chiamata dall’Ipcc: “Sul clima agire ora o sarà troppo tardi”

Le pressioni dell’industria della carne sull’IPCC

Negli anni passati le scienziate e gli scienziati dell’IPCC erano state chiare: carne e latticini danneggiano l’ambiente più di qualsiasi altro alimento. Uno degl studi più noti e più completi, ricorda Thomas, era stato pubblicato nel 2018 su Science e aveva esaminato i dati di 38mila allevamenti in 119 Paesi, scoprendo che “carne e latticini sono responsabili di emissioni per chilogrammo da 10 a 50 volte superiori rispetto agli alimenti a base vegetale”. Per questo motivo in un report precedente delle Nazioni Unite veniva raccomandato il passaggio a diete a base vegetale, specialmente nei Paesi ricchi dove il consumo di carne e latticini è molto più elevato elevato, in modo da ridurre in maniera significativa le emissioni di gas serra.

Ma a vincere, in questo caso, sono state le pressioni di Argentina e Brasile, tra i maggiori produttori di carne al mondo. Così nel rapporto di sintesi finale pubblicato a marzo 2023 ci si limita a raccomandare “diete sane equilibrate e sostenibili che riconoscano le esigenze nutrizionali”. La carne e i latticini, responsabili di circa il 15% delle emissioni globali di gas serra, non sono per nulla menzionate.

Leggi anche: Carne, insetti e vegetali. Esiste il cibo che salva il Pianeta?

Le pressioni dell’industria fossile sull’IPCC

Nel rapporto completo di 1.300 pagine dell’IPCC si ripeteva più e più volte che i combustibili fossili sono in gran parte responsabili del cambiamento climatico. Le citazioni dei combustibili fossili erano numerose, ricorrevano dozzine di volte. Ma il rapporto di sintesi di 42 pagine – quello che è stato mutilato dai delegati – non ha menzionato i combustibili fossili neanche una sola volta, fa notare Michael Thomas.

“Nelle prime bozze del gruppo di lavoro sulla mitigazione – si legge nell’articolo del giornalista – gli scienziati erano anche chiari sul fatto che le emissioni delle infrastrutture di combustibili fossili esistenti e pianificate avrebbero provocato livelli catastrofici di riscaldamento. In una bozza trapelata nel 2021, gli scienziati hanno scritto che l’obiettivo degli sforzi di decarbonizzazione nel settore dei sistemi energetici deve essere il rapido passaggio a fonti a zero emissioni di carbonio e l’eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili. Ma un consigliere del ministro del petrolio e delle risorse minerarie dell’Arabia Saudita ha chiesto che questa frase fosse omessa dal rapporto finale del gruppo di mitigazione, secondo i documenti ottenuti da Unearthed. Invece l’Arabia Saudita e altri paesi produttori di combustibili fossili hanno sostenuto che l’IPCC dovrebbe essere tecnologicamente neutrale. Per questo motivo, volevano che gli autori menzionassero tecnologie come la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) e la rimozione del carbonio come potenziali strumenti di mitigazione”.

Che la tecnologia della cattura e dello stoccaggio sia costosa e inefficiente è definito ormai da più parti, ne sono consapevoli anche all’IPCC. Tanto che, nella ricostruzione di Thomas, non era stata inserita nella parte relativa alla decarbonizzazione. Ma le attività lobbistiche dell’Arabia Saudita sarebbero state talmente forti da far ricomparire gli impianti per la cattura e lo stoccaggio di carbonio come strumenti utili per la mitigazione del clima. Innescando una nuova corsa al CCCS che vede in prima fila l’Italia e nello specifico ENI, che vuole installare un mega impianto a Ravenna.

Leggi anche: Il GNL è la nuova frontiera dell’industria fossile ma non è una soluzione sostenibile

Il lobbismo toglie i riferimenti al lobbismo nel rapporto IPCC

Le pressioni delle industrie fossili e della carne sui governi e sulla comunità scientifica non sono ovviamente le uniche azioni lobbistiche rintracciabili e dimostrabili. Lo abbiamo mostrato anche noi di EconomiaCircolare.com, ad esempio, con la direttiva SUP o con il regolamento sugli imballaggi. Solo che la difesa dei propri interessi, al contrario di quel che spesso si annuncia, funziona di più se è invisibile o, perlomeno, difficilmente dimostrabile.

“C’è un numero crescente di ricerche scientifiche che dimostrano che il lobbismo, che si tratti di raccomandazioni politiche internazionali o di società private che acquistano influenza politica, è uno dei maggiori ostacoli all’azione per il clima” scrive ancora Thomas. E in un primo momento le scienziate e gli scienziati dell’IPCC avevano voluto includere le azioni di lobbying come  uno dei “fattori che limitano la transizione ecologica“. Peccato che anche questo riferimento del ruolo del lobbismo nella prevenzione della crisi climatica sia poi scomparso grazie alle azioni lobbistiche.

Leggi anche: Perché la lobby delle armi preme per entrare nella tassonomia sociale dell’Unione europea

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie