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venerdì, Dicembre 13, 2024

Il manifatturiero del futuro? Non potrà fare a meno dell’economia circolare

L’industria manifatturiera ha deciso di intraprendere la strada della sostenibilità e dell’economia circolare, iniziando a ripensare i processi di progettazione e produzione. Con alcuni buoni risultati e molte difficoltà. Un report di IFS fotografa la situazione attuale

Antonio Carnevale
Antonio Carnevale
Nato a Roma, giornalista pubblicista dal 2012, autore radiofonico ed esperto di comunicazione e new media. Appassionato di sport, in particolare tennis e calcio, ama la musica, il cinema e le nuove tecnologie. Da qui nasce il suo impegno su StartupItalia! e Wired Italia, dove negli anni - spaziando tra startup, web, social network, piattaforme di intrattenimento digitale, robotica, nuove forme di mobilità, fintech ed economia circolare - si è occupato di analizzare i cambiamenti che le nuove tecnologie stanno portando nella nostra società e nella vita di tutti i giorni.

Il manifatturiero deve ripartire dall’economia circolare. È quanto emerge dall’ultima ricerca IFS, importante società di consulenza con quartier generale in Svezia, specializzata nel fornire alle aziende soluzioni per la gestione dei processi industriali.

Per farlo, le imprese devono impegnarsi nella trasformazione digitale delle loro attività. La cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” richiede l’aggiornamento di molti impianti per migliorare produttività, efficienza energetica, qualità, efficacia della supply chain e time-to-market. Inoltre, spostare il focus dal bene al servizio richiede qualità, circolarità ed efficienza, in un’ottica di sostenibilità.

Del resto, l’impatto della produzione sull’ambiente è ormai tristemente noto. Nel 2020, sono state prodotte 35 miliardi di tonnellate di emissioni di anidride carbonica a livello globale, secondo il Global Carbon Project 2021. Un terzo proveniva da produzione e costruzione, mentre bisogna ricordare che meno del 10% del consumo di energia industriale proviene da fonti di energia rinnovabile.

L’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite ha lanciato l’allarme, non solo per quanto riguarda i possibili danni ambientali, ma anche i pericoli per la società e l’economia. Un ulteriore aumento della temperatura globale metterebbe a rischio oltre 80 milioni di posti di lavoro. Solo gli Stati Uniti potrebbero perdere 520 miliardi di dollari in 22 settori a causa dell’impatto del riscaldamento globale.

Una nuova normalità

È ormai chiaro a tutti che i governi non possono perseguire progetti di contrasto del surriscaldamento globale senza il contributo del settore privato. Ciò significa che ci sarà una maggiore pressione su imprese e aziende nell’adottare nuove pratiche ambientali.

Secondo Colin Elkins, vicepresidente di IFS, la pandemia ha accresciuto l’urgenza di una svolta in termini di circolarità nel settore manifatturiero. “Man mano che il mondo entrerà nella nuova normalità, prevedo che questa nuova consapevolezza condurrà a un’accelerazione inedita delle attività negli ambiti dell’efficientamento degli stabilimenti produttivi e dei processi, del riciclo e della rigenerazione“, ha spiegato Elkins.

Produrre in modo più sostenibile non può che essere positivo per un’azienda. Passare da un sistema produttivo basato su modelli tradizionali a uno basato sulla circolarità però, richiederà un completo ripensamento dei prodotti, che dovranno essere progettati in un’altra ottica e adottando nuove tecnologie. Questo significa reingegnerizzare i processi e avere un personale formato e altamente specializzato.

Rivedere i processi aziendali è importante non solo per migliorare la loro qualità e redditività, ma anche perché una supply chain più efficiente consuma meno energia, utilizza meno risorse e produce meno rifiuti. Tuttavia, come detto, non basta implementare processi e impianti circolari. Bisognerà anche riprogettare e in alcuni casi reinventare i prodotti stessi.

Puntare sull’economia circolare significa puntare sulla longevità del prodotto. Concetti come riciclabilità e riparabilità sono essenziali. Non è più pensabile costringere i consumatori a dismettere un prodotto perfettamente funzionante semplicemente perché un suo componente interno deve essere aggiornato. Un settore destinato ad avere una crescita esponenziale nei prossimi anni è quello della rigenerazione o re-manufacturing. Solo in Europa, il settore dei prodotti rigenerati registra un fatturato di 30 miliardi di euro e dà lavoro a 190mila persone. Tuttavia, il rapporto tra prodotti rigenerati e prodotti nuovi è di appena l’1,9%: un potenziale di crescita enorme.

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La circolarità dei processi industriali

La ricerca commissionata da IFS ha coinvolto un campione di oltre 1450 senior manager di grandi aziende in Europa, USA ed Emirati Arabi e ci fornisce un quadro dettagliato della situazione attuale. Lo studio rivela che le grandi aziende devono innovare per contrastare le strozzature nelle catene di fornitura, ma in questo modo aumentano i costi e le complessità.

La crescente necessità di adottare misure innovative per contrastare i colli di bottiglia delle catene di fornitura si riscontra dalle risposte delle imprese. Il 66% delle aziende preferisce mantenere un livello più elevato di scorte rispetto al periodo pre-covid e addirittura il 70% ha affermato di avere aumentato il numero di fornitori per cercare di ovviare alle attuali criticità. Inoltre, più di sette intervistati su dieci (72%) dichiarano di avere aumentato i volumi di materiali/prodotti ordinati da fornitori locali a causa di queste difficoltà.

Complessivamente il 93% del campione afferma che la propria azienda ha adottato pratiche di economia circolare o intende farlo in futuro anche se, per il 15% degli intervistati, una delle principali cause delle trasformazioni in atto nell’organizzazione aziendale non è rappresentato da una scelta consapevole, bensì dall’inasprimento delle normative.

È indubbio, comunque, che ci sia una rinnovata determinazione da parte delle aziende a concentrarsi maggiormente sulla sostenibilità e ad adottare l’economia circolare. Molte aziende, contando anche sullo strumento di supporto economico Next Generation EU, hanno deciso di ripensare i processi di progettazione e produzione per evitare quanto più possibile di generare rifiuti, hanno rivisto le modalità di trasporto dei propri prodotti ma, soprattutto, hanno lavorato sulla catena del riciclo e della riparazione dei prodotti giunti a fine ciclo.

Secondo il report IFS, tra le aree in cui le aziende stanno attualmente concentrando le loro iniziative di sostenibilità ci sono, al primo posto, “processi di trattamento dei rifiuti e delle acque” (43%), seguiti da “monitoraggio/riduzione delle emissioni di carbonio attraverso operazioni sulla supply chain” (40%) e “tracciamento/riduzione del carbonio per operazioni interne” (38%).

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I vantaggi di un approccio circolare

Tuttavia, molte aziende hanno difficoltà a realizzare gli obiettivi di sostenibilità e circa il 60% dichiara di “non averli ancora raggiunti o di essere in fase di elaborazione”, di “non averli ancora programmati” o di “averne interrotto il perseguimento”. Inoltre, il 65% degli intervistati dichiara che la propria azienda ha difficoltà a coprire le posizioni aperte – soprattutto per la mancanza di candidati qualificati – e il 39% ritiene che i problemi dovuti alla carenza di personale qualificato si protrarranno anche nel 2023.

Per ora, stando all’indagine, molte grandi aziende hanno riprogettato la propria catena delle forniture rendendola più innovativa in modo da ridurre le criticità, per esempio decidendo di rilocalizzare la produzione per migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti, mantenere più scorte al fine di poter sempre far fronte alla domanda o aumentare il numero di fornitori per avere sempre a disposizione i prodotti richiesti dai clienti.

I vantaggi più significativi attesi dagli intervistati sono, nell’ordine, “sostenere la strategia sostenibile” (78%), “aumentare il coinvolgimento dei clienti” (74%) e “migliorare la protezione dell’ambiente” (74%). Realisticamente, a parte il vantaggio di ridurre l’impatto ambientale, l’economia circolare implica significativi vantaggi in termini aziendali per le società manifatturiere in termini di maggiore efficienza, una migliore customer experience, più interesse da parte di azionisti e investitori, maggiore fidelizzazione dei dipendenti e minori rischi di perdere quote di mercato rispetto ai propri competitor più avanzati.

Una scelta difficile (ma inevitabile)

C’è però il rovescio della medaglia. Secondo Maggie Slowic, Global Industry Director for Manufacturing di IFS, “le grandi aziende rischiano di dover affrontare costi molto più elevati o di dover risolvere altri problemi finanziari a seguito delle misure adottate per far fronte alle interruzioni delle catene delle forniture”. Parliamo di investimenti in materie prime o componenti più costosi, soprattutto ora con la costante crescita dell’inflazione. Mentre avere più scorte in magazzino significa bloccare somme ingenti, che potrebbero essere investite per sviluppare l’attività.

Nonostante i considerevoli benefici dell’economia circolare, inoltre, la necessità di adottarla può causare notevoli difficoltà alle grandi aziende i cui impianti e processi non sono pronti per gestire la riduzione degli sprechi e il riuso e riciclo dei materiali. A ciò si aggiungono le pesanti ricadute macroeconomiche che le aziende continuano a subire, prima con il Covid e ora con la guerra in Ucraina.

Slowic però non ha dubbi: “le aziende devono subito trovare una soluzione per gestire questi effetti dirompenti sul loro business, accentuati dalla crescente volatilità dei prezzi, effettuare la transizione verso l’economia circolare e affrontare le attuali criticità delle catene di fornitura”. La soluzione? Investire in nuove tecnologie, nella sostenibilità e nelle pratiche commerciali responsabili è la strada. Ovvero, accettare di pagare un costo a breve termine per assicurarsi di avere un futuro.

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