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lunedì, Dicembre 9, 2024

Oltre la recinzione: Bagnoli e la sua gente

Spesso si dimentica che dietro e dentro luoghi come Bagnoli ci sono le persone. Trentanove anni dopo lo spegnimento dei forni, all’alba dell’ennesimo progetto di bonifica, le persone hanno iniziato a pretendere: spazi, risposte, voce in capitolo. Dall'accesso al mare alle bonifiche fino al lavoro

Laura Armillotta
Laura Armillotta
Crede nella capacità delle periferie e delle province di attivare processi virtuosi. Per questo, dopo la laurea in Lettere e Filologia, si avvicina al mondo della giustizia sociale e ambientale, Lavora nel centro antiviolenza “Rinascita donna”, attiva percorsi di sensibilizzazione sulla parità di genere e difende il diritto di restare al Sud, a partire dalla difesa dell’ambiente

*scritto insieme a Jennifer Riboli

C’è una parola che ricorre spesso, quando gli abitanti di Bagnoli descrivono il loro quartiere: “negato”. È negato lo spazio pubblico; chiuso tra mura inaccessibili ai cittadini. È negato il mare, sottratto dalla colmata. È negato il diritto di restare in un quartiere che i più giovani già avvertono privo di opportunità, ma ancora così vivo e viscerale. In questo panorama si allarga l’ombra dell’ex area industriale dell’Italsider che, come un buco nero, sembra inghiottire il quartiere e segnare uno spartiacque tra un prima e un dopo ben noti.

A questa parola se ne affianca un’altra, che i bagnolesi usano per descrivere il futuro: risarcimento sociale. Trentanove anni dopo lo spegnimento dei forni, all’alba dell’ennesimo progetto di bonifica, una Bagnoli stanca di aspettare ha iniziato a pretendere: spazi, risposte, voce in capitolo.

Gli spazi negati e quel futuro disatteso

“Nel 2000 credevamo che il processo di valorizzazione di cui ci parlavano sarebbe avvenuto da lì a breve”, spiega Emanuela Coppola, docente di urbanistica all’Università degli Studi di Napoli. Nel 2000 Coppola era una giovane laureata in architettura con i nonni a Bagnoli. In quel periodo “la fabbrica”, come nel quartiere era chiamato lo stabilimento Italsider, era già ferma da una quindicina d’anni. “Ricordo i concerti sulla spiaggia, le attività; gli operai ti portavano a vedere l’interno della fabbrica. Ci dicevamo: va bene, la fabbrica non funziona più perché inquina, ora potrà diventare un polo tecnologico, ma comunque ecologico che darà lavoro ai giovani in una chiave nuova. Le persone se lo aspettavano”. La riconversione, però, non è mai arrivata, e di anni ne sono passati altri ventiquattro.

La professoressa racconta come nella continua attesa che si avviasse un piano di rilancio il quartiere intorno all’ex area industriale abbia finito per essere dimenticato, riducendosi a una terra di mezzo chiusa tra fortezze inaccessibili e tra loro non comunicanti. “Per anni le aree negate sono state così tante che i bambini non avevano neppure spazi per giocare”. E vivere stretti tra spazi, diritti e possibilità negate ha un grande impatto su chi a Bagnoli  è  cresciuto. “Questo non poter avere nemmeno dei varchi per guardare all’interno incide sul senso di appartenenza” spiega ancora Coppola.

Nel 2016, insieme  ai colleghi Giuseppe Bruno e Gilda Berruti, ha avviato con le scuole medie e superiori del quartiere un laboratorio sulla qualità urbana, “Laboratorio Bagnoli”, che, sulle tracce di un precedente lavoro di indagine sociale, “Vivevamo con le sirene”, si è mosso dalla necessità di far diventare gli studenti del territorio i custodi di una nuova memoria collettiva che contrastasse il degrado e l’indifferenza. Muri e scoramento erano ciò che i ragazzi vedevano del quartiere, al punto di non ricordarne più gli spazi e la storia. D’altronde, da un posto fatto di muri si vuole solo evadere.

Il quartiere che lotta e un patto sospeso

Ricostruire la storia dei luoghi e quella collettiva, uscendo dalla narrazione che appiattisce Bagnoli sulle sue mancate bonifiche, rappresenta il primo terreno di lotta per un quartiere, in verità, tutt’altro che immobile e arreso. “L’urbanistica in questo ha un ruolo” — spiega Coppola “noi facciamo la memoria dei luoghi perché in passato nel piano di rilancio di Bagnoli non erano state considerate le reali potenzialità del territorio, finendo per calare dall’alto i progetti, senza ascoltare la popolazione. Noi non ce lo possiamo più permettere”.

Tuttavia, la popolazione e i collettivi locali in questi anni hanno colto diverse occasioni per attirare l’attenzione della politica sulla situazione del quartiere: il 7 novembre 2014 Matteo Renzi trovò più di cinquemila manifestanti nella zona industriale di Bagnoli, da poco commissariata dal decreto “Sblocca Italia”, da qui il Movimento di lotta disoccupati 7 novembre. Più recentemente, la necessità di un’amministrazione sempre più trasparente e partecipativa si è concretizzata in alcune recenti azioni cittadine, come la mobilitazione del 29 settembre 2023, a cui è seguito l’incontro tra Gaetano Manfredi, commissario per la bonifica e sindaco di Napoli, e i cittadini di Bagnoli il 5 dicembre scorso. Un centinaio di persone ha affollato la sala della decima Municipalità in cui Manfredi ha illustrato il prossimo piano di bonifica con un prospetto accurato dei costi, prima del consiglio comunale del 29 gennaio. L’esercizio di democrazia sembra essere stato apprezzato dai cittadini, ma il patto di fiducia resta ancora sospeso.

La colmata e il diritto al mare come questione sociale

Il mare e la colmata, l’area cementificata che permetteva un più facile accesso per i trasporti marini industriali, sono oggetto di una discussione che anima le polemiche intorno al nuovo progetto di bonifica portato avanti dalla giunta Manfredi. Il tema è dibattuto perché bonificare la linea di costa, e sotto il livello dell’acqua, potrebbe essere molto costoso e impattante, a oggi e non ci sono precedenti nel panorama europeo. Ma i comitati cittadini, su questo, sono irremovibili: la spiaggia deve tornare alla gente. C’è uno spazio, tra quelli di cui la cittadinanza si è autonomamente riappropriata, che si è fatto particolarmente promotore di questa battaglia: si chiama Lido Pola e, già storicamente, è luogo di confine perché accoglieva i profughi jugoslavi in fuga da Tito.

Lorenzo Lodato, uno degli attivisti del Lido, spiega quanto questo sia anche ben radicato nella mente dei napoletani, in quanto luogo di festa e di ritrovo per battesimi, comunioni o matrimoni. L’esperienza di Lido Pola nasce nel 2013, anno di importanti occupazioni a Bagnoli. Riconosciuto come “bene comune” dall’amministrazione di Luigi De Magistris, oggi Lido Pola è animato da una ventina di giovani che organizzano eventi culturali e musicali, proprio per riabilitare il simbolismo della struttura. “I giornali dicono che rimuovere la colmata costa troppo, ma onestamente a noi cittadini questo non interessa” racconta Lodato. La balneabilità e la vivibilità della spiaggia sono il risarcimento che la comunità di Bagnoli chiede con forza, perché sarebbe il segno tangibile di un investimento sul territorio, oltre a consentire ai cittadini di tornare a vivere il mare. Tuttavia, un ritorno c’è già stato: nel 2023 il gruppo ha vinto la quarta edizione del bando “Creative Living Lab”, del Ministero della Cultura: grazie a questi fondi, ha potuto riaprire simbolicamente la terrazza.

Rispetto al ripristino della linea di costa, la generazione più adulta, che ha misurato da vicino i cambiamenti nel quartiere, si divide tra il desiderio di ritorno ad abitare le spiagge, ora interdette alla popolazione, ma su cui si è trascorsa l’infanzia, e chi si preoccupa della complessità dell’ecosistema-colmata. Coppola, a questo proposito, spiega che “ripristinare la linea di costa può essere una scelta molto antropocentrica perché potrebbe portare uno scompenso alle specie ittiche marine […] Dobbiamo capire che ci sono degli ecosistemi complessi, quindi non metterci al centro di tutto”.

Anche Manfredi, nel consiglio comunale dello scorso 29 gennaio, è tornato sulla questione, ma con toni abbastanza fiduciosi, dovuti soprattutto alla presenza di un quadro concreto sui tempi e sui costi. Il piano d’azione prevede la rimozione della colmata e una bonifica della spiaggia con la rimozione del sottofondo marino per una certa profondità, con la realizzazione di una sorta di scogliera a pelo d’acqua per evitare che ci sia ricambio dei sedimenti marini; per un costo di circa 650 milioni di euro. La mole degli interventi e i numeri altisonanti se, da un lato, danno concretezza alla progettualità, dall’altro fanno temere lunghi tempi di attesa a cui il commissario, stavolta, promette di far fronte rendendo utilizzabili quegli spazi pronti all’uso, ma finora inaccessibili: potrebbero essere la chiave per avviare la ricucitura di una frattura trentennale.

Il diritto alla salute come esperimento di resistenza 

Ha da poco festeggiato 11 anni di vita anche un altro luogo simbolo della resistenza di Bagnoli: Villa Medusa. Anche questo spazio, originariamente occupato, è stato riconosciuto come bene comune con la giunta de Magistris. Animato dal collettivo locale Iskra, oggi è un vero e proprio spazio popolare: ospita la biblioteca, corsi e laboratori per i cittadini – dalle serate di ballo per gli anziani ai corsi di panificazione e falegnameria per chi cerca lavoro – un ambulatorio popolare, uno sportello psicologico e uno per i disoccupati del territorio.

La nascita di queste iniziative lascia intuire la necessità di uno spazio interamente collettivo in un territorio in cui la precarietà di settori quali la sanità e la ricerca del lavoro diventa urgenza sociale. Umberto Martellotta, attivista di Villa Medusa, ci tiene a ribadire che la presenza sul territorio di questa esperienza non è da legare a una passiva forma di assistenzialismo: la cooperazione e la solidarietà riflettono la possibilità di un’alternativa alla situazione esistente, ma solo in un movimento di rivendicazione unitario e collettivo.

Tra i temi che stanno più a cuore a Medusa rientra la salute fisica e psichica: “Il tema territoriale è legato al tema della salute”, chiarisce Umberto. “Noi non abbiamo una mappatura dei malati oncologici, non solo territoriali, ma anche limitrofi […] Le cause di tumore possono essere tante, però non è un caso che un’alta percentuale provenga da questi territori […] Inoltre, dopo la chiusura di un ulteriore consultorio territoriale che prima riceveva donne vittime di violenza, ragazze madri e faceva Pap test, con presidi psicologi e psichiatrici, l’unico punto ASL disponibile nel territorio è rimasto quello di Fuorigrotta e per arrivarci devi comunque metterci una ventina di minuti; forse con i mezzi pubblici 10 minuti. Ovviamente, anche logisticamente molto scomodo per gli anziani”.

Lo sportello è nato a novembre 2023, apre ogni mercoledì pomeriggio e conta già numerosi medici, mediche, infermieri e infermiere nonché vari specialisti. L’importanza di un presidio come questo è profondamente intergenerazionale, oltre che simbolica; non solo perché la salute e la sua rivendicazione riguardano tutti e tutte, ma perché risponde al bisogno di mostrare ai più giovani, soprattutto quelli che talvolta ricorrono alla violenza come gesto di rivendicazione sociale, che il posto in cui vivono è ancora di chi ci abita, che può diventare ancora culla di diritti e valide alternative.

Il futuro esiste a Bagnoli?

Parlare di futuro in un’area come Bagnoli fa sollevare gli occhi al cielo, come quelle domande di rito a cui si è risposto troppe volte e che rischiano di ridurre l’identità di un quartiere a uno dei suoi nodi più problematici. Tuttavia, è innegabile l’impatto sociale, economico e politico che comporta la vicenda dell’Ilva sugli abitanti del quartiere e, soprattutto, sulle loro prospettive future. La presenza di collettivi, attivisti, giovani che vogliono imparare ad affrontare criticamente la realtà circostante – nonché di esperienze come quella di Laboratorio Bagnoli o del Circolo Ilva, associazione sportiva che accompagna la vita del quartiere da oltre un secolo – restituisce un tessuto sociale attivo e interessato alle sorti del territorio, ma sono necessari compromessi e buona resistenza, soprattutto tra i più giovani che sono alla ricerca di un modo per restare.

Tra le esigenze che emergono dagli attivisti c’è la necessità di ricucire un tessuto sociale disilluso e rassegnato, che possa diventare più consapevole della posta in gioco, quale l’abitabilità di un territorio interdetto dalla storia, non solo in termini di risarcimento economico. “La nostra città ha bisogno di operatori sociali, di educatori, di gente che divulghi l’ambientalismo, che faccia ricerca in questo senso; quindi, ci auguriamo che ci possa essere uno sviluppo più ampio”, dice con risolutezza Lorenzo di Lido Pola. Gli fanno eco anche l’Osservatorio Bagnoli e il Laboratorio che ha cominciato proprio dalle scuole il lavoro di riappropriazione della memoria e degli spazi.

Accanto al bisogno di educazione, le prospettive future sull’area non si muovono solo intorno al tema della colmata, dell’accesso al mare e della bonifica, ma anche sulla possibilità di trasformare Bagnoli in un caso esemplare nel mare magnum dei SIN: attraverso soluzioni all’insegna della transizione ecologica, quali le comunità energetiche rinnovabili CER, ad esempio; ma anche affrontando di petto il tema del lavoro, la cui mancanza alimenta la sensazione di vivere un quartiere dismesso insieme alla sua fabbrica. E che i comitati cittadini cercano oggi di riportare sul territorio proprio attraverso il lavoro di bonifica, chiedendo che si impieghino, per quest’ultimo, i disoccupati locali. Di più: che si garantisca, attraverso percorsi formativi e lo strumento delle clausole sociali, che i lavoratori non vengano più lasciati soli.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente

© Riproduzione riservata

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