Lo studio e la conoscenza sono alla base della costruzione di un modello economico alternativo. Questo, il primo e basilare punto di partenza che consiglia il professor, Enrico Maria Mosconi, docente del primo corso italiano sull’economia circolare, ormai attivo da due anni all’Università di Viterbo. L’Italia sta pian piano diventando un punto di riferimento per l’ottimizzazione dei processi produttivi di filiera e la prospettiva per il futuro è incoraggiante.
Professore, sulla necessità della “conoscenza” si è espresso in maniera chiara e inequivocabile, a parer suo come deve cambiare oggi la formazione rispetto al cambio di paradigma sulle economia?
Provi a pensare all’esempio di Civitavecchia. Esempio si tutti il trasporto e la logistica in mare: un settore che non ha confini nel senso vero del termine. Bisogna essere in grado di capire come migliorare il settore e renderlo più sostenibile e remunerativo perchè farlo vuol dire creare ricchezza ed economia sana. Ci siamo mai chiesti, dopo anni e anni di navigazione come smontare e riusare una nave cargo? Si aprono profili professionali nuovi che aziende innovatrici non si lasceranno scappare: abbiamo bisogno di innovatori. Un luogo con vocazione naturale a lavorare con l’Ambiente circostante deve quindi confrontarsi con questi cambiamenti che portano alla transizione verde. L’impresa per guadagnarci deve passare ad un diverso approccio perché deve essere remunerativa, e può farlo solo aumentando le performance ambientale.
Conoscenza fa pensare subito allo studio e alle opportunità in tal senso. A due anni dall’inizio del suo corso di laurea, qual è la valutazione che può fare?
Siamo decisamente soddisfatti. Alcuni dei nostri allievi oggi sono stati a Bruxelles, nelle DG, a fare esperienze diretta di come si sviluppa la strategia dell’Economia Circolare con le grandi istituzioni. Quando, con l’allora Rettore Alessandro Ruggieri si pensò a questo corso, l’idea era quella di formare giovani economisti capaci di affrontare un sfida enorme: ripensare l’economia su basi che avrebbero dovuto tener conto dell’ambiente, della tutela dei territori e sopratutto della razionalizzazione delle risorse che diventano parte integrante della ricchezza di un Paese. Sono soddisfatto. Andiamo avanti sapendo che la conoscenza è il primo passo per arrivare all’obiettivo della transizione verde, soprattutto in campo economico.
L’Italia e l’idea stessa di circolarità: il mondo delle imprese piccole e medie fino alla grande industria, devono fare i conti con questo cambio di passo, spesso ci si chiede se siamo realmente pronti.
Posso dirle che l’Italia non solo risponde bene ma per alcuni versi potrebbe essere presa anche come esempio. Pensi alle PMI, al manufatturiero per esempio: noi non siamo un paese ricco delle moltissime materie prime che usiamo per i nostri prodotti. Per cui l’economia italiana già da tempo investe e si è fatta carico di poter alimentare queste produzioni grazie proprio al principio della circolarità delle materie che usiamo. Gli sprechi esistono, ma siamo abituati e stiamo sempre più ottimizzando le filiere produttive. Tutto è migliorabile e si può fare sempre di meglio, sempre. Ma oggi abbiamo una consapevolezza maggiore di come la ricchezza si possa e si debba produrre attraverso una organizzazione più razionale dell’uso delle risorse.
Parliamo del Recovery Plan. La prospettiva, per i prossimi mesi, è quella della possibilità di avere investimenti importanti in alcuni e specifici campi d’azione dell’economia italiana. La scelta sugli investimenti influirà sul futuro delle nazioni e dell’Europa, e forse l’economia circolare in questo dovrà avere un ruolo importante.
Direi un ruolo fondamentale. Intanto vanno sostenute imprese che puntino a minimizzare la produzione di rifiuti e quindi puntare su chi oggi investe sulla rigenerazione dei prodotto usati. Aziende che passino alla dimensione della gestione attiva del rifiuto, facendo in modo che diventi materia prima – seconda. L’esempio dei miliardi di telefoni cellulari che girano per il mondo è paradigmatico e calzante: un cellulare deve essere smontabile in ciascuna sua parte per rendere semplice il recupero dell’oro al suo interno, tanto essere concreti. Da questi materiali, da tutti i RAEE in realtà, si riesce a recuperare il 30% al massimo perché per come sono fabbricati, la parte interna da smontare ha quasi sempre un costo eccessivo. Deve cambiare la progettazione, si deve pensare alla smontabilità, bisogna seguire la direttiva ecodesign di telefoni e quant’altro. Dai Recovery Plan mi aspetto che si riescan ad aiutare le aziende a spostare il loro modello produttivo. Bisogna andare a ritmo dell’Europa, quindi essere vicini alle esigenze di un mercato interconnesso. Anche nel cambiamento delle strategie per la transizione. Mettiamoci nelle condizioni favorevoli a questo passaggio, dobbiamo essere in grado di fare questa transizione, di accompagnare a questa transizione. Passare quindi dal “remedial actions” al “preventive actions”.
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