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venerdì, Novembre 15, 2024

Microplastiche in mare? Sono di meno se laviamo i capi a mano

Uno studio dell'American Chemical Society mette a confronto lavaggio a mano e in lavatrice, per sostenere che il primo è più ecologico, almeno dal punto di vista dell’immissione di microplastiche nelle acque di scarico. Ma se non vogliamo tornare ai tempi dei nostri nonni e lavare tutto a mano, la soluzione esiste

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Redazione EconomiaCircolare.com

Tra gli impatti ambientali della filiera tessile va annoverata sicuramente l’immissione di microplastiche nell’ambiente e nell’acqua dei fiumi e dei mari. Una ricerca dell’Agenzia europea per l’ambiente (AEA, febbraio 2022) fa sapere che oltre 14 milioni di tonnellate di microplastiche si sono accumulate sui fondali oceanici del pianeta. Quantità in aumento ogni anno, “causando danni agli ecosistemi, agli animali e alle persone”. A livello globale una quota tra il 16 e il 35% di queste microplastiche rilasciate negli oceani proviene da tessuti sintetici: parliamo di una quantità tra le 200.000 e le 500.000 tonnellate ogni anno. “La maggior parte delle microplastiche provenienti dai tessuti – spiega l’AEA – viene rilasciata le prime volte che i tessuti vengono lavati”. Principale imputato il fast fashion “responsabile di livelli particolarmente elevati di tali rilasci perché gli indumenti fast fashion rappresentano un’alta percentuale di primi lavaggi, in quanto vengono utilizzati solo per un breve periodo, e tendono a consumarsi rapidamente a causa della loro bassa qualità”.

Scienziati in lavanderia

Se il lavaggio è uno dei grandi responsabili di questa preoccupante dispersione nell’ambiente, uno studio dell’American Chemical Society (condotto da ricercatori della Hangzhou Dianzi University, della Chinese Academy of Sciences, della Zhejiang University of Technology e dell’University of Massachusetts) pubblicato su ACS Environmental Science & Technology Water ha messo a confronto il lavaggio di capi d’abbigliamento a mano (pratica molto diffusa in molte aree del mondo, meno in quelle economicamente più ricche) con quello in lavatrice, per decretare che lavare a mano, almeno dal punto di vista del rilascio di microplastiche, è più sostenibile per l’ambiente.

I ricercatori – come ha raccontato Cosmos – osservano come sinora siano stati condotti molti studi sul rilascio di microplastiche attraverso il lavaggio a macchina dei tessuti, pochi invece quelli sul tradizionale lavaggio a mano: “Ad oggi, il rilascio di microplastiche dal lavaggio a mano rimane meno studiato e compreso”. Lo studio condotto per l’American Chemical Society esamina le sue caratteristiche di rilascio in funzione di vari fattori: tempi di ammollo, temperature di lavaggio, presenza e tipologia di detergenti. Una volta quantificate e qualificate le microplastiche rilasciate durante i lavaggi a mano, gli studiosi hanno lavato gli stessi capi a macchina per confrontare le differenze

Per studiare il fenomeno, il team di ricerca ha selezionato campioni di tessuto di 15 x 15 cm in poliestere al 100% e campioni di tessuto misto (95% poliestere e 5% elastan, fibra sintetica di poliuretano). I campioni sono stati lavati a mano in una bacinella di acciaio inossidabile e in una lavatrice con un caricatore superiore. Dopo il lavaggio, l’acqua è stata raccolta, filtrata, e quel che è rimasto è stato fotografato.

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Cosa emerge dallo studio

I risultati sperimentali hanno indicato che la lunghezza media delle fibre di microplastica rilasciate con il lavaggio a mano (258 μm: il μm, micrometro, corrisponde a un millesimo di millimetro) era generalmente più lunga di quelle rilasciate con il lavaggio a macchina (155 μm). Oltre alle dimensioni, è stata misurata la concentrazione di questi materiali: il numero medio di microplastiche rilasciate con il lavaggio a mano e con il lavaggio a macchina è stato, rispettivamente, di 1.853 e 23.723 n/pezzo; la corrispondente massa media di 37,84 mg (a mano) e 222,84 mg (in lavatrice) per ogni chilogrammo di tessuto. Inoltre, l’esperimento ha confermato che le fibre di microplastica rilasciate in acqua sono inizialmente diminuite in numero e massa per poi stabilizzarsi gradualmente con i lavaggi successivi. Alcuni fattori – come l’uso di detergenti e il tempo di ammollo – hanno influenzato, aumentandolo, il rilascio delle particelle. Al contrario, le variazioni di temperatura, del tipo di detergente, del tempo di lavaggio e del volume dell’acqua utilizzata non hanno avuto effetti significativi.

Tutti al lavatoio?

Se questi sono i fatti, come deve comportarsi chi vuole contribuire il meno possibile all’aumento delle microplastiche in mare? Dobbiamo tornare tutti ai lavatoi pubblici come si faceva una volta? Non è necessario. Ce lo ha ricordato ad esempio Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, nel suo “Non tutto il mare è perduto” (Casti editore). “Si può iniziare – leggiamo nel volume – con la riduzione dei consumi e la selezione di abiti di buona qualità, durevoli, riparabili e in netto contrasto coi dettami della fast fashion”. Poi ci sono “piccole accortezze durante il lavaggio in lavatrice per ridurre la dispersione di microfibre. L’associazione Marevivo, ad esempio, suggerisce di scegliere cicli brevi e a pieno carico, riducendo al minimo indispensabile la quantità di detersivo”. Un aiuto concreto può poi arrivare però da alcune soluzioni in grado di catturare le microfibre rilasciate durante il lavaggio domestico: “Esistono particolari sacchetti, con una maglia molto fine, in cui riporre i vestiti du­rante il lavaggio. Ancora più promettente è l’impiego di un filtro a cartucce con cui equi­paggiare il nostro elettrodomestico, in grado di catturare i frammenti rila­sciati. La sua introduzione, però, pare difficilmente applicabile su scala planetaria, sebbene ci siano alcune nazioni che stanno pensando di renderne obbligatoria l’installazione. Al contrario, sembra più percorribile la via che obbligherebbe i produttori a montarlo come componente di serie su tutti i nuovi elettrodomestici messi in commercio”. Come ricorda Cosmos Magazine, il National Plastics Plan australiano prevede l’introduzione graduale dei filtri in microfibra nelle nuove lavatrici residenziali e commerciali entro il 2030.

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Ancora una questione di genere?

Anche quando parliamo di microplastiche e di lavatrici emergono gli stereotipi di genere che costellano la nostra società e zavorrano le nostre abitudini. Una ricerca dell’Università di Melbourne mette nero su bianco che fare il bucato resta, negli anni venti del XXI secolo, un’attività prevalentemente al femminile, mentre gli uomini se ne curano molto meno. Cosa ci dicono i ricercatori australiani? Che le donne spendono il doppio del tempo degli uomini in attività domestiche come il lavaggio dei vestiti: 12,8 ore le prime, solo 6,3 ore i secondi.

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