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sabato, Dicembre 14, 2024

Negozi sfusi in Italia, i limiti del bonus e le difficoltà del settore. “Servono informazione e cultura”

Il governo ha concesso un contributo ai negozi che vendono sfuso. Ma in nazioni come Francia l'attenzione ai prodotti zero rifiuti è maggiore. A ridosso del Natale, la festa con più sprechi e imballaggi, abbiamo scelto di intervistare Ottavia Belli, fondatrice della start-up SfusItalia

Clarissa Valia
Clarissa Valia
Nata il 26 aprile 1991 da Milano si trasferisce a Roma. Ha studiato presso l'Università statale di Milano. Dal 2018 lavora a TPI dove si occupa di produzione contenuti pop e news.

Pasta, farina, biscotti, frutta, verdure, legumi, spezie, vino ma anche detersivi, saponi e cosmetici. Sono solo alcuni esempi di prodotti che è possibile acquistare nei negozi sfusi: grandi negozi o piccole botteghe di vicinato nati per evitare lo spreco di plastica e carta utilizzati per gli imballaggi. Funziona più o meno così: il cliente si porta con sé buste, vasetti di vetro o le confezioni dei prodotti terminati per andare a fare la spesa nel negozio “no packaging”. Lì trova quasi tutto quello che gli occorre dagli alimenti e prodotti per la casa e per la persona alla spina ai prodotti zero waste e può decidere la quantità. 

L’obiettivo è ridurre lo spreco, sia alimentare che di rifiuti. Un po’ come si faceva una volta, ai tempi dei nostri nonni. Nelle botteghe alimentari di qualche decennio fa, infatti, era prassi diffusa vendere e acquistare alimenti sfusi nelle quantità.

È l’alternativa “green” alla spesa a cui siamo abituati oggi, dove talvolta per paradosso anche la singola banana viene impacchettata. Una tendenza altamente dannosa per l’ambiente, secondo il Rapporto Consumatori Coop: solo nel 2019 sono state 2,1 milioni le tonnellate di plastica utilizzate per gli imballaggi, di cui il 76% impiegate nel settore food and beverage.

Il bonus per i negozi sfusi

Ma è davvero necessario tanto packaging di plastica? No. E così, nonostante gli ostacoli normativi e la lenta accoglienza culturale, la (buona) abitudine dei prodotti senza imballaggi sta prendendo piede anche in Italia, dove dal 23 novembre è possibile sfruttare anche una agevolazione.

Si tratta del “bonus vendita negozi sfusi”, un contributo a fondo perduto fino a un importo massimo di 5mila euro valido sia per i negozi di vicinato sia alla media e grande distribuzione che attrezzino “spazi dedicati alla vendita ai consumatori di prodotti alimentari e detergenti, sfusi o alla spina, ma anche all’apertura di nuovi negozi destinati esclusivamente alla vendita di prodotti sfusi”, si legge sul sito del Ministero della transizione ecologica (MiTE).

Dopo due anni dall’approvazione del “decreto Clima” (decreto-legge del 14 ottobre 2019), l‘incentivo volto a ridurre la produzione di imballaggi per alimenti e detergenti è finalmente partito. Il decreto attuativo del MiTE è del 22 settembre, ma la pubblicazione in Gazzetta ufficiale è avvenuta il 23 ottobre. Lo sportello per presentare le domande si è aperto il 23 novembre 2021.

Il contributo è corrisposto secondo l’ordine di presentazione delle domande entro il limite di 40 milioni di euro (le risorse stanziate per la misura dal “decreto Clima”, 20 milioni per il 2020 e altrettanti per il 2021). Il bonus prodotti sfusi, come detto sopra, consiste in un contributo a fondo perduto secondo il regime “de minimis non cumulabile con incentivi che coprono le stesse voci di spesa. Nel decreto viene inoltre specificato che lo svolgimento del periodo dell’attività di vendita non dovrà avere un periodo inferiore ai 3 anni, pena la revoca del contributo.

Ma quali spese copre il bonus? Sono ammesse le spese sostenute per l’adeguamento dei locali per l’acquisto di attrezzature funzionali alla vendita di prodotti sfusi (incluso l’arredamento o l’allestimento del punto vendita o di uno spazio dedicato) e alle spese per la pubblicità dell’iniziativa. Non rientrano nell’incentivo prodotti sfusi le spese sostenute per l’acquisto o l’igienizzazione dei contenitori e dei prodotti alimentari e detergenti venduti. Un punto dolente del decreto che, pur non dichiarandolo esplicitamente, sembra agevolare più i grandi magazzini che i piccoli esercenti, come avevamo già spiegato in questo articolo.

Cosa non funziona del bonus e cosa servirebbe al settore sfusi in Italia

Ma quanti sono i negozi che vendono prodotti sfusi in Italia? Secondo SfusItalia, il motore di ricerca che mappa i negozi alla spina nel Paese, attualmente sono 730 gli esercizi commerciali esclusivamente destinati a questa pratica circolare. La startup è stata fondata da Ottavia Belli: insieme a lei abbiamo analizzato più nello specifico i vantaggi e gli svantaggi di questo bonus.

“Di buono c’è che il MiTE ha capito il valore aggiuntivo dei prodotti sfusi. Ma è anche vero che analizzandolo più in profondità emerge che il ministero non conosce i prodotti zero waste, di cui non c’è traccia all’interno del bando”, spiega la fondatrice di SfusItalia. 

“L’altro aspetto negativo del bonus è che molte sfuserie sono state escluse perché l’incentivo è per le spese effettuate nel 2020 e nel 2021. E molti negozi hanno investito nel 2018-2019. Va da sé che i primi veri pionieri dello sfuso in Italia non riceveranno un euro. Questo limite ha tagliato fuori tanti negozi”, aggiunge Belli.

Secondo Ottavia Belli al settore degli sfusi in Italia “serve che si inizi a considerare di più lo zero waste, che comprende tutti quei prodotti alternativi all’uso e getta riprogettati in fase di design affinché nel loro ciclo di vita abbiano il minore impatto possibile. Come per esempio lo shampoo solido”. 

Ma soprattutto servono “tanta informazione e cultura. Se non diffondiamo la cultura dello sfuso e la cultura del “non rifiuto” questo settore non partirà mai del tutto. Bisogna spiegare il prodotto sfuso, raccontarlo. Spiegare che non è solo sfuso, ma anche che è uno sfuso locale, biologico. Sono queste le cose che andrebbero spiegate alle persone”, sostiene Belli.

E per quanto riguarda i problemi normativi, invece, secondo la fondatrice di Sfusitalia ci sono diverse incongruenze “tra le direttive europee e le politiche italiane sia in termini di igiene che sotto altri punti di vista. Per esempio poco tempo fa è stata varata in Europa una direttiva per quanto riguarda i cosmetici. E le aziende italiane di cosmetici sfusi hanno dovuto cambiare i propri erogatori perché dovevano assicurare una non contaminazione del prodotto che viene erogato all’interno del negozio”. 

Un altro limite tutto italiano riguarda la realizzazione di cosmetici e prodotti zero waste. “In Italia purtroppo siamo molto limitati dalla normativa perché serve un laboratorio per produrre questo genere di prodotti. Il produttore, quindi, ha delle spese maggiorate in particolare modo rispetto alla Francia dove invece ci sono molte meno restrizioni: è sufficiente un’autodichiarazione con la quale si attesta che l’ambiente dove vengono lavorati questi prodotti è consono”, dice Belli.

In Francia, inoltre, da poco tempo è stata anche introdotta una legge che obbliga i supermercati sopra i 400 metri quadri a inserire almeno il 25% dei prodotti sfusi. È chiaro che questa normativa avrà un impatto maggiore rispetto ai 5mila euro dati ai negozianti italiani con il bonus. È così che l’impatto legislativo sulle politiche ambientali avrà effetti maggiori. Speriamo che anche noi italiani un giorno potremmo arrivare al livello dei nostri cugini francesi”, conclude Belli.

I negozi no packaging sono il tema del nostro Circular Talk “𝗥𝗲𝗴𝗮𝗹𝗶 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝘀𝗰𝗮𝗿𝘁𝗼. 𝗜 𝗻𝗲𝗴𝗼𝘇𝗶 𝘀𝗳𝘂𝘀𝗶 𝗲 𝗹𝗮 𝘀𝗳𝗶𝗱𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝗽𝗲𝘀𝗮 𝘇𝗲𝗿𝗼 𝘄𝗮𝘀𝘁𝗲” di oggi, giovedì 16 dicembre, ore 18. Segui la diretta a questo link.

Leggi anche: Addio agli imballaggi: ecco la guida dove comprare sfuso

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