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venerdì, Novembre 15, 2024

Regenuary, la sfida dell’agricoltura rigenerativa per salvare il Pianeta

Ideata da uno dei fondatori di The Ethical Butcher, la nuova campagna social nasce in contrasto con il Veganuary e invita i consumatori a mangiare tutto, anche la carne, ma con attenzione ai processi produttivi

Maurita Cardone
Maurita Cardone
Giornalista freelance, pr e organizzatrice culturale, ha lavorato per diverse testate tra cui Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia. Abruzzese trapiantata a New York dove è stata vicedirettore di una testata italiana online, attualmente è corrispondente dagli USA per Artribune oltre a collaborare con diversi media italiani e non. Si occupa di temi sociali e culturali con particolare attenzione alle intersezioni tra arte e attivismo.

L’inizio del nuovo anno è tempo di buoni propositi ed è ormai di moda dedicare il primo dei dodici mesi del calendario alle più svariate buone abitudini: c’è chi a gennaio non beve alcolici (Dry January), chi fa esercizio tutti i giorni (RED January) e chi mangia vegano (Veganuary). E proprio in risposta al gennaio vegano, la più recente idea è quella di dedicare il primo mese dell’anno a un’alimentazione che non escluda la carne ma che si ponga il problema di come quello che mangiamo viene prodotto. Si chiama Regenuary ed è la nuova challenge diffusa sui social che invita i partecipanti a mangiare per un mese prodotti da agricoltura rigenerativa.

La conversione di un ex vegetariano

L’iniziativa è stata lanciata da Glen Burrows, uno dei fondatori di The Ethical Butcher, una società inglese di allevamento bestiame e produzione di carni. Dopo 25 anni da vegetariano, Burrows sentiva che nella sua alimentazione mancava qualcosa e ha deciso così di esplorare altre vie per tornare a una dieta onnivora che non pesasse troppo sull’ambiente. Le risposte gli sono arrivate dall’agricoltura rigenerativa, un metodo che mima i processi naturali per rigenerare i terreni agricoli e conservare la biodiversità. Nasce da lì l’esperienza di The Ethical Butcher che non soltanto mette in pratica l’agricoltura rigenerativa ma si impegna anche nella divulgazione dei suoi metodi e nell’informazione al consumatore, consigliando, per esempio, ricette con tutte le parti dell’animale, interiora comprese, in modo da minimizzare gli sprechi.

La linea di pensiero è che per dare una risposta alla crisi ambientale provocata dagli attuali consumi alimentari della popolazione terrestre non si debba escludere nessun alimento dalla nostra dieta, bensì riconnettere le persone alla natura, al cibo e alla terra che lo produce, promuovendo scelte alimentari informate. Un approccio che si pone in opposizione alla scelta vegana, argomentando che sostenere l’intera popolazione mondiale con una dieta a base vegetale provocherebbe ulteriori depauperamento del suolo, perdita di biodiversità e consumo di suolo.

Leggi anche: Ridare vita ai suoli: la scelta di campo dell’agricoltura rigenerativa

#Rigenerativi vs #Vegani

Così l’anno scorso, Glen Burrows ha avuto l’idea di lanciare una provocazione al movimento vegano, all’interno del quale stava esplodendo la campagna Veganuary che, nata nel 2014 nel Regno Unito, oggi conta oltre 600 mila adesioni in tutto il mondo.

Nel gennaio 2021 The Ethical Butcher ha lanciato il primo #Regenuary, con l’idea di creare un dialogo sull’assunto – secondo Burrows semplificatorio – che qualsiasi alimento vegetale sia per definizione meglio della carne: dipende da come è prodotto, sostiene Burrows.

La sua contro-campagna si propone di cambiare la narrativa intorno all’alimentazione etica e sostenibile e invita le persone a considerare che impatto ha l’intera filiera di produzione di ciò che mangiamo. Partecipare a Regenuary significa consumare cibo prodotto in modo rigenerativo, ma anche acquistare da produttori locali e piccole aziende, preferire il biologico e il biodinamico,  minimizzare l’impatto dei trasporti, informarsi sull’origine dei prodotti.

“Glen Burrows […] – si legge sulla pagina dedicata alla campagna sul sito di The Ethical Butcher – era frustrato dai messaggi fuorvianti sul veganismo e sui suoi effetti sull’ambiente e dalla strumentalizzazione che ne fanno supermercati e multinazionali. Ha iniziato Regenuary come campagna social e le visualizzazioni sono rapidamente arrivate a milioni. Oggi, Regenuary è una campagna che vede la partecipazione di milioni di consumatori e sostenitori del settore”.

Sui social diversi utenti hanno rilanciato postando immagini di campi, pascoli e allevamenti rigenerativi, piatti a base di carne e meme anti-vegan, accompagnati da hashtag #regenuary.

“La carne e i latticini locali allevati in modo rigenerativo sono più ecologici della maggior parte delle alternative importate, soprattutto quando vengono coltivate in modo intensivo. Gli animali possono essere la soluzione, non il problema”, ha twittato la scrittrice Sarah Langford.

Ma a ben guardare, molti degli account che promuovono #Regenuary sono di aziende, allevatori, produttori di carni e latticini, manifatture di lana o gruppi di pressione a favore della dieta onnivora. Per parte sua, il movimento vegano non l’ha presa bene, denunciando un tentativo di greenwashing da parte dell’industria della carne. Un articolo apparso sulle pagine di Plant Based News smonta punto per punto gli assunti dell’agricoltura rigenerativa, difendendo la scelta vegana. L’autore è Matthew Glover fondatore di Vegan Fried Chicken (VFC) e direttore di VegCaptial, un fondo di investimento che fornisce capitale iniziale alle aziende che cercano di eliminare l’uso di animali nel sistema alimentare. Anche nel contrattacco non mancano quindi gli interessi corporativi. E così il dibattito sull’agricoltura rigenerativa rischia di incepparsi su uno scontro di convenienza.

Leggi anche: Giornata mondiale dell’alimentazione, quel cibo che fa male al pianeta

Ma cos’è l’agricoltura rigenerativa?

Tuttavia, grazie anche alla campagna #Regenuary, il concetto sta iniziando ad arrivare all’opinione pubblica, ricevendo anche l’attenzione della stampa internazionale.

“Questa idea sta guadagnando terreno e ‘rigenerativo’ potrebbe essere la parola d’ordine dell’agricoltura del 2022”, scrive The Guardian in un articolo dedicato alla campagna.

Ma cos’è, esattamente, l’agricoltura rigenerativa? Il concetto è piuttosto ampio: essenzialmente è qualsiasi forma di agricoltura che ha l’effetto di migliorare l’ambiente, anche in senso sociale. Il termine descrive un’agricoltura improntata a principi e prassi che possano riparare il danno fatto all’ambiente dall’agricoltura intensiva. Secondo la definizione di Regeneration International, associazione internazionale che promuove la transizione verso i metodi rigenerativi, descrive “pratiche agricole e di pascolo che, tra gli altri vantaggi, hanno quello di invertire il cambiamento climatico ricostruendo la materia organica del suolo e ripristinando la biodiversità del suolo degradato, con conseguente riduzione delle emissioni di carbonio e miglioramento del ciclo dell’acqua”.

Con queste premesse, l’agricoltura rigenerativa si propone di superare i modelli dell’agricoltura intensiva che hanno ormai ampiamente dimostrato i propri limiti. Senza bisogno di farne una battaglia contro il veganesimo: entrambe le posizioni sono primi passi verso una presa di coscienza collettiva sulle conseguenze delle nostre scelte alimentari. E nonostante le polemiche, sembrano saperlo anche i creatori di #Regenuary se nel post di lancio della campagna 2022 si legge: “Che tu sia vegano, vegetariano, onnivoro, carnivoro, flexitariano, fruttariano…puoi essere rigeneratore. Tutti possiamo essere rigeneratori, è l’unica etichetta di cui abbiamo bisogno”.⠀

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