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venerdì, Novembre 15, 2024

Una lettura politica del regolamento sugli imballaggi e dell’Ue che verrà

Perché il governo e l'industria esultano se nel regolamento sugli imballaggi, approvato negli scorsi giorni dal Parlamento europeo, l'economia circolare perde pezzi? Il provvedimento nato nell'era del Green Deal e modificato poco prima delle elezioni di giugno appare emblematico dei nuovi equilibri di potere

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Il regolamento sugli imballaggi conferma una regola aurea del giornalismo: quando il fatto in sé non è nuovo, a farlo diventare notiziabile può concorrere la discussione attorno al fatto. Così è accaduto con il voto di mercoledì scorso del Parlamento europeo, che ha approvato senza grandi sorprese il testo di cui, soprattutto in Italia, si discute da tempo e su cui qui su EconomiaCircolare.com avete potuto leggere in maniera approfondita. Non sono emerse grandi novità rispetto all’accordo di marzo tra Parlamento e Consiglio, e la norma è stata approvata in via definitiva con 476 voti favorevoli, 129 contrari e 24 astensioni.

“Per limitare gli sprechiscrive il Parlamento europeo – è stata stabilita una proporzione massima di spazio vuoto del 50% che si applicherà agli imballaggi multipli e a quelli per il trasporto e per il commercio elettronico. In aggiunta, fabbricanti e importatori dovranno garantire che il peso e il volume degli imballaggi siano ridotti al minimo. Determinati tipi di imballaggi di plastica monouso saranno vietati a partire dal 1° gennaio 2030. Tra questi figurano gli imballaggi per frutta e verdura fresche non trasformate e per i cibi e le bevande consumati in bar e ristoranti, le monoporzioni (ad esempio condimenti, salse, panna da caffè e zucchero), i piccoli imballaggi monouso utilizzati negli alberghi e le borse di plastica in materiale ultraleggero al di sotto dei 15 micron. Per evitare effetti nocivi sulla salute, il testo vieta l’utilizzo dei cosiddetti inquinanti eterni, ovvero le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), al di sopra di determinate soglie negli imballaggi a contatto con prodotti alimentari”.

Nella lunga trafila  europea, quello della scorsa settimana è il terzultimo passaggio, l’ultimo a livello sostanziale. Adesso bisognerà attendere l’approvazione formale del Consiglio e poi la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea prima che il testo entri in vigore. Quel che è certo è che il proposito della Commissione di ridurre gli imballaggi (del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040), e in particolare i rifiuti da imballaggio in plastica, risale al 2019, quasi un’era geologica fa se consideriamo le incredibili trasformazioni politiche avvenute in questi anni nel Vecchio Continente. Il testo ufficiale della Commissione, presentato nel 2022, è stato poi ampiamente modificato. E nella sua attuale e ultima versione il Packaging and Packaging Waste Regulation (PPWR) è ampiamente indicativo di cosa avrebbe voluto essere l’Ue nel 2019 e di cosa è diventata nel 2024.

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Una possibile lettura politica del regolamento sugli imballaggi

Depotenziato di un bel pò rispetto alle premesse circolari e ambientali, il regolamento sugli imballaggi è diventato il più classico dei testi di compromesso dove ogni gruppo di interesse e ogni Stato hanno provato a ottenere un pezzo di vittoria. E, come spesso succede in questi casi, la lettura che se ne può trarre è che quando vincono tutti in realtà non ha vinto nessuno. Certamente a uscire sconfitte sono le ambizioni europee. Il regolamento sugli imballaggi era uno dei pezzi pregiati del Green Deal, l’ambizioso piano con il quale la Commissione europea retta da Ursula Von der Leyen, all’indomani delle proteste climatiche del movimento giovanile dei Fridays for Future, ha provato a connotare la prima parte del suo mandato.

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Ma prima il Covid e poi la guerra in Ucraina hanno convinto le istituzioni comunitarie a cambiare le priorità dell’agenda. Complice la vittoria delle destre in mezza Europa, compresa l’Italia, quasi tutte le direttive e i regolamenti ambientali sono diventati campi di battaglia. E il testo sugli imballaggi è quello che tra più di tutti risente di questo cambiamento di prospettiva. Pur riuscendo a ottenere alcuni punti fondamentali sull’economia circolare – come gli obiettivi di riutilizzo – si è preferito assecondare la volontà di conservazione delle imprese, capaci di una notevole azione di lobbying, piuttosto che incentivare la loro (presunta) capacità di innovazione. Si è preferito cioè guardare ai profitti immediati e a medio termine invece di sollecitare investimenti mirati alla riconversione circolare, che tra l’altro gran parte delle imprese sarebbero state in grado di affrontare grazie anche agli ultimi due anni di inflazione e prezzi alti, troppo spesso scaricati sui consumatori.

La vittoria (di Pirro?) dell’Italia sugli imballaggi

Il Paese forse più felice dell’ultima versione del regolamento sugli imballaggi è l’Italia. O almeno il suo governo. Sul sito ufficiale a marzo era stata diffusa una inusuale nota che commentava una serie di provvedimenti europei.

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“Il regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio – si legge nella nota – accrescerà la sostenibilità del settore, promuovendo una maggiore riciclabilità degli imballaggi, nonché contribuirà a ridurre alcune barriere al funzionamento del mercato interno, introducendo norme comuni sull’etichettatura e sulla gestione dei rifiuti. Il provvedimento impegnerà inoltre gli Stati membri a ridurre i rifiuti, lasciando, come da noi auspicato, flessibilità agli Stati ed agli operatori nella scelta delle misure per raggiungere l’obiettivo, in particolare tra imballaggi riutilizzabili e quelli monouso riciclabili, laddove questi ultimi, come nel caso del settore della ristorazione, rappresentano ancora l’opzione che offre il risultato ambientalmente migliore e per la conservazione dei prodotti agricoli e alimentari. Gli emendamenti approvati incentivano tecnologie in cui stiamo investendo, come il riciclo chimico. Salvaguardano inoltre settori in cui le nostre aziende hanno accresciuto la riciclabilità degli imballaggi, in cui siamo all’avanguardia, come quello delle plastiche compostabili, o in cui esportiamo prodotti di eccellenza, come vini, spumanti, vermouth e distillati. Nella gestione dei rifiuti, libertà di scelta è concessa tra l’adozione del deposito cauzionale e il mantenimento di modelli virtuosi di raccolta separata, come quello italiano”.

Non è un mistero che il governo Meloni abbia sostenuto in tutto e per tutto le richieste di Confindustria e delle imprese legate al riciclo e alla produzione degli imballaggi, considerando invece il riuso un ambito ancora marginale dal punto di vista economico. Se era un modo per contarsi, come piace dire all’intera classe politica, è chiaro che l’economia lineare è attualmente predominante su quella circolare. Ma la prospettiva avrebbe potuto essere quantomeno quella di far uscire l’economia circolare dalla nicchia. È emersa invece una visione politica legata alla conservazione dell’esistente, basti pensare ai continui attacchi della recente convention di Fratelli d’Italia a Pescara (dal 26 al 28 aprile) sulle cosiddette “follie green dell’Europa”: qualsiasi direttiva e qualsiasi regolamento proposto e discusso in questi anni – dal pacchetto Fit for 55 alla direttiva sulle case green – è stata tacciata, appunto, di essere scellerata, allucinante, perciò da respingere in toto.

Nessun riformismo, nessuna voglia di migliorare l’esistente e di cambiare il paradigma salvaguardando gli interessi nazionali. La destra al potere col governo Meloni avrà pure rinsaldato i legami con i gruppi di interesse ai quali è legata ma certamente fa registrare una preoccupante assenza di ambizione, di lungimiranza e di confronto con gli altri Paesi, europei e globali, dove l’economia circolare produce già ora ricchezza, prima ancora che sostenibilità ambientale.

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Troppo o troppo poco: le reazioni al PPWR

Anche dai commenti dei gruppi di interesse italiani al regolamento sugli imballaggi votato dal Parlamento europeo emerge una lettura politica. Che, a seconda del punto di vista, giudicano il PPWR troppo intenso o troppo annacquato. Molto severo ad esempio sul primo ambito è il commento di Marco Bergaglio, presidente di Unionplast-Federazione Gomma Plastica, che critica il divieto di molti tipi di packaging monouso in plastica. “Temiamo fortemente che danneggerà un intero sistema di eccellenza nel riciclo, ed intere filiere produttive, per la scelta ideologica di penalizzare il riciclo a favore del riuso, che comporta una serie di impatti negativi, dalla logistica alla sicurezza fino al maggior consumo di acqua ed energia. Decenni di investimenti e progressi per la creazione di un modello italiano di economia circolare assurto a leader a livello internazionale, certificato dal recente 72% dei rifiuti da imballaggio riciclati, non sono serviti a nulla contro un’impostazione iniqua, dai dubbi risultati ambientali e che incredibilmente non poggia su nessuna valutazione di impatto credibile“.

Completamente opposta la valutazione che del provvedimento fa la campagna nazionale “A Buon Rendere – molto più di un vuoto”, che promuove l’adozione anche in Italia del deposito su cauzione, sistema circolare che nel resto d’Europa viene sempre più adottato, come abbiamo raccontato anche noi di EconomiaCircolare.com. “Contrariamente a quanto spesso rappresentato in Italia – si legge nel comunicato stampa di A buon rendere – la PPWR non è un’iniziativa tutta “indirizzata al riuso e a discapito del riciclo” in quanto offre un quadro normativo solido per migliorare e potenziare le strategie di riciclo, cui è dedicata la gran parte dell’articolato. Innanzitutto quando rivede al rialzo gli obiettivi di riciclo che vengono sostenuti dal “design per il riciclo” e da obiettivi vincolanti di “contenuto minimo di materiale riciclato“. Previsioni particolari poi riguardano l’introduzione del Deposito Cauzionale (o DRS – Deposit Return Scheme) per contenitori per bevande monouso, oggetto della campagna nazionale “A Buon Rendere – molto più di un vuoto”. La PPWR prevede infatti all’art.44 l’obbligo per i Paesi Membri di conseguire al 2029 il 90% di intercettazione di bottiglie in plastica e lattine, e di istituire un DRS nel caso in cui non venisse raggiunto tale obiettivo nei tre anni precedenti. Nel caso delle bottiglie di plastica l’obiettivo di raccolta introdotto dalla direttiva sulle plastiche monouso è peraltro già stato recepito nel nostro ordinamento. Nonostante sia stata introdotta nel corso delle negoziazioni una condizione di esenzione transitoria per gli Stati membri che conseguissero un tasso di raccolta dell’80% al 2026 per bottiglie e lattine, viene mantenuto comunque l’obbligo del 90% come obiettivo finale. Viene dato pertanto alla Commissione il mandato di imporre un DRS ai Paesi che, per tre anni consecutivi, non raggiungessero il 90% di raccolta di tali contenitori”.

Molto simile alla posizione di Unionplast è quella di Corepla, il consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica. “Il voto in plenaria dell’Europarlamento sul regolamento imballaggi PPWR rischia di penalizzare il nostro Paese poiché non tiene conto delle peculiarità e dei risultati di ciascun Stato membro e mette a rischio gli sforzi finora compiuti in materia di economia circolare – afferma il presidente di Corepla Giovanni Cassuti – Il rinnovato focus sul riutilizzo è in contraddizione con tutto quello che l’Unione europea ha promosso negli ultimi anni e questo cambio di strategia rimette in discussione un modello di riciclo consolidato che non consentirà alle amministrazioni nazionali di gestire con flessibilità l’assetto normativo e regolamentare. Ci auguriamo che il prossimo Parlamento e la prossima Commissione abbandonino quest’ottica pregiudizievole verso gli imballaggi in plastica e che si possa davvero collaborare a favore della sostenibilità ambientale, economica e sociale“.

Infine si fa notare il commento di Coldiretti, che conferma la sintonia con l’attuale governo. In una nota per la stampa l’associazione che rappresenta gli agricoltori e i produttori di cibo in Italia esprime in particolare soddisfazione per l’introduzione del criterio di reciprocità, che Coldiretti ha sempre sostenuto, e che “per la prima volta, nonostante il parere negativo della Commissione europea, siamo riusciti a far inserire in un regolamento comunitario. Questa inclusione rappresenta una vittoria per l’intera filiera agroalimentare italiana e sottolinea l’importanza del lavoro di squadra nel garantire che tutte le merci importate nell’UE rispettino gli stessi standard applicati ai produttori europei”. Inoltre, aggiunge ancora Coldiretti, “siamo soddisfatti per aver portato a casa temi di nostro interesse superando la posizione ostile della Commissione la cui proposta iniziale avrebbe avuto un effetto devastante sulle imprese agroalimentari italiane. Grazie al lavoro di Coldiretti e Filiera Italia sono state evitate decisioni dannose come l’obbligo di riutilizzo delle bottiglie di vino, spiriti e latte, e il divieto dei vasi per le piante dei nostri florovivaisti. Avremmo preferito un’esclusione definitiva degli imballaggi per l’ortofrutta, la deroga nazionale è un primo passo ma ci impegnano a continuare a migliorare il testo con il nuovo Parlamento e Commissione europea, considerando il rinvio dell’entrata in vigore al 2030”.

Se è vero che tira aria di vittoria annunciata per le destre alle elezioni europee l’intenzione dichiarata è quella di approfittare del prossimo assetto istituzionale per ridurre ulteriormente l’asticella delle aspettative circolari. L’intenzione è dunque di sostenere un teorico e mai chiaro conservatorismo ambientale che in realtà è la solita ricetta dello sviluppismo a tutti i costi e che si riflette anche, e soprattutto, sull’economia circolare, con la predilezione delle ultime R della gerarchia dei rifiuti (recupero e riciclo) rispetto alle reali priorità (riduzione e riuso). Andrà davvero così a giugno? Staremo a vedere.

Leggi anche: lo Speciale sul Regolamento Imballaggi

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