La decarbonizzazione dei trasporti è uno degli obiettivi principali dell’Unione europea. Come dimostra la recente votazione al Parlamento europeo sul pacchetto Fit for 55 – le ambiziose misure climatiche promosse dalla Commissione europea a luglio 2021 – alle buone intenzioni non sempre seguono le buone pratiche. Soprattutto perché i trasporti sono tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra. Lo sa bene il nostro Paese, dove il settore è “direttamente responsabile del 25,2% delle emissioni di gas a effetto serra e del 30,7% delle emissioni di CO2, a cui si aggiungono le emissioni nel settore dell’aviazione e del trasporto marittimo internazionali”.
A dirlo è un report commissionato dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile (MIMS) proprio in vista del pacchetto Fit for 55. Il documento, dall’emblematico titolo “Decarbonizzazione i trasporti – Evidenze scientifiche e proposte di policy”, è stato lanciato ad aprile ma non ha ricevuto grandi attenzioni. Anche se ha messo in evidenza quella che appare una divergenza di vedute tra ministeri: da una parte quello delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, più radicale nelle proposte e nelle scelte, e dall’altra la simbiosi tra Sviluppo Economico e Transizione Ecologica, più conservatori e pragmatici.
Ecco perché, alla luce degli sviluppi futuri derivanti dalla prossima approvazione del pacchetto Fit for 55, è necessario riprendere gli stimoli forniti dagli esperti coinvolti dal MIMS nell’ambito della “Struttura per la transizione ecologica della mobilità e delle infrastrutture” (STEMI) istituita con il decreto n. 504 del 10 dicembre 2021. La STEMI, infatti, ha il compito di elaborare indicazioni e suggerire prospettive per la transizione ecologica della mobilità e delle infrastrutture, “anche alla luce dell’attuale discussione in sede di Consiglio europeo del pacchetto Fit for 55 presentato dalla Commissione europea in attuazione della strategia del Green Deal”.
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Calano le emissioni generali, crescono quelle dei trasporti
Le 100 pagine del report “Decarbonizzare i trasporti” sono state elaborate da un gruppo di esperti: si va da Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr, a Massimo Tavoni, professore ordinario al Politecnico di Milano, fino alle collaborazioni dall’università della California e dall’università di Newcastle. Un team qualificato e superpartes che nell’introduzione non può che partire da un dato: la “necessità di mantenere in futuro la crescita della temperatura media del Pianeta tra 1,5 e 2,0°C”. Dato che la mobilità incide parecchio sulle emissioni prodotte nel nostro Paese, è da qui che bisogna ripartire, soprattutto se si considera che ““il 92,6% delle emissioni nazionali di tutto il comparto è attribuibile al trasporto stradale di passeggeri e merci, settore per il quale si registra un aumento del 3,2% delle emissioni tra il 1990 e il 2019, in controtendenza rispetto al calo del 19% delle emissioni totali durante lo stesso periodo”. I trasporti, dunque, “sono uno dei pochi settori che hanno riportato una crescita di emissioni (+3,2% rispetto al 1990), congiuntamente a quelli residenziale, dei servizi e dei rifiuti”.
Ma non c’è solo l’anidride carbonica. “I trasporti (dati ISPRA) – si legge nel report – generano inoltre una quota molto consistente delle emissioni in atmosfera di altri inquinanti: il 40,3% degli ossidi di azoto (NOx), l’11,4% dei composti organici volatili non metanici (COVNM), il 10,1% di polveri sottili (PM) e il 18,7% di monossido di carbonio (CO). In particolare, per gli ossidi di azoto (NOx) e le polveri sottili l’Italia è sotto procedura d’infrazione per mancato rispetto delle direttive europee sulla qualità dell’aria”. A creare questa situazione sono i motori a combustione termica – benzina, diesel, gpl, metano – cioè la quasi totalità dei mezzi circolanti in Italia.
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Cinque azioni per ridurre le emissioni dei trasporti
“La grande importanza del settore dei trasporti nel quadro delle emissioni nazionali e la sua fortissima dipendenza dai combustibili fossili ne fanno il settore cardine della strategia di riduzione delle emissioni”. Difficile non essere d’accordo con l’assunto del report, che da qui lancia un elenco di “interventi su cinque assi principali di azione”. Ecco quali sono:
- potenziare i sistemi di trasporto sostenibili alternativi al trasporto su gomma e gestire la domanda e la struttura della mobilità;
- migliorare l’efficienza energetica e decarbonizzare i veicoli;
- decarbonizzare i vettori energetici e i combustibili;
- abbattere le emissioni necessarie alla produzione dei veicoli;
- abbattere le emissioni necessarie alla costruzione di infrastrutture.
Inevitabile in quest’analisi partire da ciò che non va. “L’Italia ha un sistema di trasporto che presenta una serie di deficit e distorsioni strutturali che vanno corretti e che devono essere affrontati insieme, a causa delle loro profonde interrelazioni. Ad esempio, siamo tra i Paesi europei con il maggior numero di autovetture per abitante (secondi soltanto al Lussemburgo), abbiamo un ritardo e un deficit nelle reti di trasporto pubblico locale e nel servizio che erogano, una forte disomogeneità territoriale nella disponibilità di infrastrutture e un’eccessiva prevalenza del trasporto su gomma rispetto ad altri mezzi meno inquinanti”. Per ovviare a questi problemi fondamentale sarà il Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che per il settore dei trasporti e della mobilità sostenibile prevede da solo 62 mliardi di euro.
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La soluzione? Puntare tutto (o quasi) sui veicoli elettrici
Il report commissionato dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, come già accennato, va in controtendenza rispetto alla Transizione Ecologica, con Cingolani che negli ultimi giorni si è chiaramente espresso contro l’elettrificazione tout court dei consumi e contro un mix energetico basato principalmente sulle rinnovabili. “L’elettrificazione dei veicoli – si legge invece nel documento – comporta una rilevante riduzione delle emissioni con una limitata realizzazione di nuove energie rinnovabili. Basti pensare che, già con il mix energetico attuale, la sostituzione dei veicoli a combustione interna con veicoli elettrici comporterebbe per l’Italia la riduzione delle emissioni del trasporto leggero su strada del 50%”. Ecco perché gli esperti consultati dal MIMS sostengono che conviene puntare su questa strada invece che “distribuire gli investimenti su tante soluzioni differenti, con il grande rischio di trovarsi a breve con infrastrutture inutilizzate e da mantenere”.
Più nel dettaglio ecco le principali evidenze del report:
- “laddove possibili, le soluzioni basate sull’elettrificazione diretta sono chiaramente più competitive dal punto di vista dell’efficienza energetica e della capacità di decarbonizzazione se l’elettricità è ottenuta a partire da fonti rinnovabili;
- l’entità di questi vantaggi dipende dalla possibilità di produrre elettricità a zero emissioni di gas serra e a basso costo, nonché dall’ottimizzazione e dalla qualità (durabilità) dei sistemi di stoccaggio energetico imbarcati (le batterie), che sono la componente più costosa di questo tipo di tecnologie
- gli automezzi a combustione interna hanno un’impronta materiale complessivamente superiore a quelli a batteria e ciò è rappresentato anche da maggiori emissioni sul ciclo di vita. Al termine della vita utile, infatti, un’auto a combustione termica ha bruciato e convertito in gas dispersi in atmosfera una quantità di combustibile pari a 5-10 volte il suo peso (in funzione dei chilometri percorsi);
- la parziale sostituzione dei combustibili convenzionali con biocombustibili porta a vantaggi marginali in termini di riduzione delle emissioni, in quanto il profilo di emissioni dei biocombustibili, anche di seconda generazione, è comunque alto e comporta basse efficienze e notevoli costi energetici;
- biometano, idrogeno, biocombustibili e combustibili sintetici saranno disponibili in quantità limitate, a causa dei vincoli di disponibilità di biomasse sostenibili o di energia rinnovabile a basso costo. In un’ottica di ottimizzazione del sistema energetico del futuro, questi vettori energetici dovranno essere prioritariamente impiegati in utilizzi energetici e soluzioni di abbattimento delle emissioni per i quali non sono disponibili alternative tecnologiche a costi e impatti ambientali inferiori
Insomma: la tesi principale del report è che è necessario incentivare ovunque l’elettrico, sia nei veicoli privati che in quelli a lunga percorrenza, mentre gli altri combustibili sono da favorire solo dove non ci sono alternative, vale a dire navi e aerei.
I problemi attuali dell’elettrico
Negli scorsi giorni Eni ha inaugurato a Mestre la seconda stazione di servizio a idrogeno d’Italia. Quasi a prevenire tale notizia, il report di aprile degli esperti dello STEMI suggerisce a un certo punto che “i rischi di una eventuale rete di distribuzione dell’idrogeno per i trasporti, specialmente se effettuati con denaro pubblico in deficit o se pagati dai consumatori, vanno ben ponderati a causa dell’alto rischio di rivelarsi non necessari o competitivi rispetto ad altre opzioni tecnologiche”. Anche l’elettrico, tuttavia, sconta attualmente una serie di difficoltà notevoli che però, secondo il report, sono superabili.
“Uno dei fattori attualmente limitanti per la transizione all’elettrico è il prezzo di acquisto. Per un’auto di media taglia e in assenza di incentivi, il prezzo è superiore del 30% (circa 10.000 euro) a una equivalente auto diesel o ibrida e fino al 50%, rispetto a un’auto a benzina. Le differenze di prezzo dipendono fortemente dalle dimensioni del veicolo e sono più marcate per le vetture piccole, dove il costo della batteria incide maggiormente. Per le auto di lusso il differenziale è ormai molto ridotto, se non quasi azzerato”. Inoltre “le batterie richiedono l’utilizzo di una serie di materiali, alcuni metalli e grafite, i cui livelli di produzione attuali dovranno essere aumentati sostanzialmente (e in maniera sostenibile) per soddisfare una domanda di batterie prevista in forte crescita. Questo può indurre cambiamenti strutturali importanti per le catene di approvvigionamento di materie prime, aumentando la domanda di alcuni metalli (es. litio, nichel, cobalto) e riducendo quella di combustibili fossili, con potenziali significative implicazioni di natura geopolitica”.
E ancora, “i limiti delle tecnologie di elettrificazione diretta emergono in modo più evidente in casi in cui occorre un sistema di stoccaggio (una batteria) di grandi dimensioni. Questo è il caso del trasporto su lunghe distanze, specie per navi e/o aerei, e quindi nei casi in cui non è possibile avere accesso a sistemi di approvvigionamento elettrico continuativo durante la fase operativa dei mezzi di trasporto. Altre limitazioni possono essere legate a squilibri tra domanda e approvvigionamento di elettricità, il che potrebbe richiedere ulteriori sviluppi tecnologici e/o investimenti aggiuntivi che possono incrementare il costo totale della scelta dell’elettrificazione diretta rispetto a soluzioni alternative”.
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Come superare i problemi dell’elettrico?
I problemi dell’elettrico, insieme alla resistenza al cambiamento e alla voglia di autoconservazione delle auto termiche, hanno finora relegato la mobilità sostenibile ai margini del settore. Eppure le modalità per uscirne e favorire un boom dell’elettrico ci sono. Come indica il report Decarbonizzare i trasporti, “le esperienze di paesi scandinavi, inclusa la Norvegia, che già oggi ha in circolazione circa il 20% di veicoli elettrici (ormai l’80% delle vendite di nuovi veicoli), dimostrano che il sistema elettrico, basato fortemente su energie rinnovabili (compreso eolico, variabile, e idroelettrico, pilotabile) al livello attuale di sostituzione non ha avuto ancora bisogno di sostanziali ristrutturazioni e potenziamenti”. Inoltre, suggeriscono gli esperti, “le auto a batteria dovranno essere progressivamente incluse nei sistemi di regolazione della domanda, necessari per aumentare l’hosting capacity delle reti elettriche verso produzione da rinnovabili. In tal senso sarà cruciale che i sistemi di ricarica per autoveicoli siano capaci, in futuro, di modulare il proprio carico a seconda dei segnali (anche di prezzo) che riceveranno dai gestori del sistema elettrico”.
In più “un altro fattore importante da tenere in considerazione nell’analisi dei costi (anche in prospettiva futura) è la scala produttiva, dal momento che una produzione di vasta portata è generalmente associata a costi unitari inferiori per via di economie di scala, progresso tecnologico e riduzione del profilo di rischio. Non a caso, negli ultimi due decenni incrementi produttivi significativi si sono verificati principalmente per tecnologie legate ad energie rinnovabili (eolico, solare) e stoccaggio dell’elettricità (batterie). In quest’ultimo caso, gli sviluppi in scala sono in larga parte avvenuti grazie a un accresciuto interesse per applicazioni ad alto valore aggiunto (in particolare nell’elettronica e secondariamente nel comparto automobilistico)”.
Va infine tenuto in conto che “la ricerca e lo sviluppo industriale di nuove tecnologie di batterie è oggi il principale settore strategico che ha il potenziale di accelerare e ampliare la gamma di applicazioni dell’elettrificazione nei trasporti. Se oggi le migliori batterie impiegate nelle auto elettriche (tutte agli ioni di litio) hanno una densità energetica di circa 250 Wh/kg di peso, nei laboratori si stanno già sperimentando nuove soluzioni con densità energetiche più che raddoppiate che potrebbero arrivare sul mercato nel giro di 3-5 anni e con significativi miglioramenti nella domanda di materiali rari o critici”.
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Le indicazioni per ogni mezzo di trasporto
Sono due i dati che più di altri fanno ben comprendere come il settore dei trasporti necessiti di una vera e propria rivoluzione se vuole davvero contribuire a ridurre il proprio impatto ambientale. Il primo, impressionante, ci dice che “il parco circolante italiano su strada ammonta a 52,7 milioni di veicoli, comprendenti 39,8 milioni di autovetture, 7,2 milioni di motocicli, 3,7 milioni di veicoli commerciali leggeri, 0,7 milioni di mezzi pesanti per il trasporto merci, 0,1 milioni di autobus, oltre a 0,2 milioni di motocarri e 0,9 milioni di veicoli speciali”. Tenendo a mente che 40 milioni di auto per una popolazione di 60 milioni di abitanti sono ovviamente troppe, il dato è ancor più preoccupante se si considera che “il trasporto stradale italiano è basato per oltre il 99% su motori a combustione interna, alimentati da benzina, gasolio, gas petrolio liquefatto (GPL) e gas naturale compresso (metano)”. Che fare, dunque?
Il report suggerisce le soluzioni tecnologiche più adatte per ogni tipo di veicolo. Qui ci limiteremo all’analisi dei veicoli leggeri. Sulle automobili gli esperti dello STEMI sostengono con forza l’ipotesi delle auto elettriche, anche se saranno necessarie “politiche pubbliche adeguate”, soprattutto per fronteggiare “una inadeguata presenza di punti di ricarica, sia in ambito privato che pubblico”. Tra le soluzioni proposte c’è ad esempio “l’utilizzo dei pali della illuminazione pubblica – presenti ovunque lungo le strade – per ospitare prese di ricarica”.
Scartato, per le auto, l’utilizzo dell’idrogeno in quanto “non appare un’opzione prioritaria (in termini di commercializzazione) nel caso dei veicoli leggeri su strada, almeno nel prossimo decennio e probabilmente anche oltre”. Più in generale gli esperti dello STEMI non sembrano sostenere granché i tentativi, sponsorizzati anche dal MiTE e dal MiSE, dei combustibili “alternativi” come ad esempio i biocarburanti o il biometano. “I biocombustibili sono più indicati se impiegati per modalità di trasporto che devono ridurre le emissioni ma non possono ricorrere a soluzioni basate sull’elettrificazione, per via delle caratteristiche di taglia e tipo di uso dei veicoli. Possono quindi essere utilizzati nel settore marittimo (per i viaggi su distanze lunghe) e nell’aviazione – si legge nel report – Dal momento che i biocombustibili hanno un costo superiore ai combustibili tradizionali, per introdurli è necessaria una tassazione per i combustibili fossili e/o regolamenti che ne richiedano l’adozione. Proposte in questo senso sono state avanzate dalla Commissione europea nel pacchetto Fit for 55”.
Inoltre “anche le opzioni biologiche, come biocombustibili, biogas e biometano, sono a rischio di potenziale conflitti con la possibile necessità di incrementare l’utilizzo di terreni arabili per colmare il gap di importazioni di cereali provenienti da Ucraina, Bielorussia e Russia”. Lo stesso vale anche per Eni Diesel +, il biocombustibile sponsorizzato dal cane a sei zampe, che dal 2023 sostituirà uno dei suoi componenti principali, l’olio di palma proveniente dalle foreste indonesiane, con olio di ricino proveniente dai terreni marginali dell’Africa. Non esattamente una filiera corta né tantomeno un’adesione ai principi dell’economia circolare.
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