Prima le pressioni sul Pnrr italiano, ora quelle sul REPowerEu: così le aziende fossili provano a indirizzare la strategia energetica europea verso le direzioni a loro più confacenti. Il report del Corporate Europe Observatory (CEO), l’osservatorio europeo sulle lobby che da 25 anni monitora l’attività di lobbying nel processo politico e decisionale dell’Unione Europea, ha verificato e accertato le pressioni delle maggiori compagnie energetiche europee – Shell, BP, Total, ENI, E.ON e Vattenfall – sulla Commissione europea. Una mossa che non sorprende, in realtà, ma che desta comunque preoccupazione.
Appena un anno fa la Commissione europea approvava i Recovery Plan dei 27 Stati membri, con il quale intendeva stimolare la ripresa dell’Europa post-Covid. Un terzo della mole di investimenti – oltre 800 miliardi di euro – era destinato alla sostenibilità e, all’interno di questo, una parte significativa era destinata all’energia. Anche in quel caso le attività di lobbying erano state evidenti – tanto che in Italia, ad esempio, Eni aveva spinto per ricevere il finanziamento dell’impianto per la cattura e lo stoccaggio di carbonio a Ravenna.
Ora che con la guerra in Ucraina la priorità dell’Unione europea è di affrancarsi dalla dipendenza del gas russo, le spinte delle aziende fossili per diversificare le fonti di approviggionamento ma non le fonti energetiche si sono fatte ancora più forti. In che modo dunque hanno influenzato il REPowerEU?
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Chi decide la strategia energetica europea?
“Un approccio europeo all’acquisto e allo stoccaggio del gas è fondamentale per far scendere i prezzi. Ho discusso con gli amministratori delegati del settore energetico su come diversificare l’offerta e ridurre la domanda di gas. Istituiremo un gruppo di esperti del settore per contribuire a ridurre la nostra dipendenza”
Così twittava la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen il 23 marzo, nello stesso giorno in cui veniva pubblicato il comunicato “Sicurezza dell’approvvigionamento e prezzi dell’energia accessibili: opzioni per misure immediate e in vista del prossimo inverno della Commissione Europea”.
Per il Corporate Europe Observatory (CEO), l’osservatorio europeo sulle lobby che da 25 anni monitora l’attività di lobbying nel processo politico e decisionale dell’Unione Europea, non si tratta affatto di una coincidenza.
Secondo alcuni documenti entrati in possesso del CEO attraverso richieste di accesso agli atti, le principali compagnie di combustibili fossili stanno influenzando la risposta dell’Ue alla crisi energetica. I verbali rivelano che gli amministratori delegati di sei grandi compagnie energetiche – Shell, BP, Total, ENI, E.ON e Vattenfall – hanno incontrato la presidente Von der Leyen e il commissario per l’Energia Kadri Simson per concordare l’istituzione di una task force di settore, in modo da determinare le misure perseguibili dall’Europa.
I documenti fanno riferimento a due incontri in particolare tra la Von Der Leyen e la Tavola rotonda europea degli industriali (ERT) tenutisi il 21 e il 23 marzo.
Come si può notare dal Registro della Trasparenza Europeo l’oggetto degli incontri è proprio il piano europeo per la sicurezza energetica, vale a dire il REPowerEU.
Le nuove infrastrutture per il gas finanziate dal REPower EU
Dopo una prima versione pubblicata l’8 marzo 2022 con cui il Piano forniva alcuni elementi agli Stati Membri su come attenuare l’aumento dei prezzi dell’energia, il 18 maggio scorso la Commissione Europea ha presentato un documento dettagliato per affrontare la massiccia dipendenza dal gas e petrolio russo.
Le misure contenute nel piano REPowerEU puntano al risparmio energetico, alla diversificazione dell’approvvigionamento energetico e a una più rapida diffusione delle energie rinnovabili per sostituire i combustibili fossili nelle case, nell’industria e nella generazione di energia elettrica.
Si tratta di un piano ambizioso che alza l’asticella dei target europei sullo sviluppo di rinnovabili e sul taglio di emissioni ma allo stesso tempo non ha una visione di lungo termine per l’approvvigionamento da fonti non fossili.
Per mobilitare i finanziamenti necessari a coprire il fabbisogno di investimenti a breve termine di REPowerEU, la Commissione propone una modifica mirata e rapida della Recovery and Facility Regulation. La modifica prevede l’assegnazione di finanziamenti aggiuntivi provenienti dalla vendita all’asta delle quote dell’Emission Trading System (ETS), in misura limitata. Propone inoltre che gli Stati membri beneficino di una maggiore flessibilità nel trasferire le risorse loro assegnate nell’ambito del Regolamento sulle Disposizioni Comuni (UE) 2021/1060) e del regolamento sui piani strategici della PAC (UE) 2021/2115). Queste sovvenzioni andranno a integrare i già stanziati 225 miliardi di euro di prestiti nell’ambito del Recovery and Resilience Fund, per un importo totale vicino ai 300 miliardi di euro.
Dunque il Recovery Fund è “al centro del piano REPowerEU”, come specificato dalla Commissione nel comunicato stampa, “in quanto sostiene la pianificazione e il finanziamento coordinati di infrastrutture transfrontaliere e nazionali, nonché di progetti e riforme energetiche”.
Ma quali sono queste infrastrutture e queste riforme energetiche che potrebbero essere finanziate sotto l’egida del REPowerEU? Lo stabilirà la nuova Piattaforma per l’Energia, istituita dalla Commissione con gli Stati Membri per l’acquisto comune di gas, GNL e idrogeno.
La Commissione ha annunciato che la Piattaforma “coordinerà le azioni per massimizzare l’assorbimento delle importazioni di gas naturale liquefatto, rispettare gli obblighi di stoccaggio del gas e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas. Contribuirà inoltre a identificare le esigenze di infrastrutture aggiuntive, adatte a soddisfare il futuro utilizzo dell’idrogeno. Considerando la necessità di assicurarsi volumi significativi di gas non russo già nel 2022 e la ristrettezza del mercato globale, la piattaforma Ue per l’acquisto di energia rafforzerà anche le attività internazionali dell’UE verso i partner e i mercati del gas. Ciò includerà i principali Paesi esportatori e importatori di GNL al fine di definire e concordare potenziali accordi per la diversificazione, anche verso l’idrogeno. Questo lavoro terrà conto delle capacità di fornitura dei partner, dei contratti a lungo termine e delle interconnessioni esistenti e previste e delle infrastrutture di stoccaggio nell’Ue”.
GNL e idrogeno insieme: è forse la novità principale del REPowerEU, eppure non è stata adeguatamente sottolineata. “Se guardi al mandato della Piattaforma non si tratta semplicemente di trovare fonti alternative di gas ma identificare nuove infrastrutture” spiega a EconomiaCircolare.com Pascoe Sabido, ricercatore e campaigner presso l’Osservatorio Europeo sulle lobby.
Per la Commissioni infatti “è tempo di implementare molti dei progetti in attesa di essere realizzati, specialmente le connessioni transnazionali che possono aiutare a costruire un mercato integrato dell’energia”. E quindi “la politica energetica per le reti transeuropee aiuterà a costruire un’infrastruttura del gas europea più resiliente e diversificata”.
Solo nel 2022 sono stati e saranno messi in funzione Progetti di Interesse Comune con una capacità di trasporto del gas aggiuntiva di 20 miliardi di metri cubi all’anno: l’interconnettore di gas tra la Polonia e la Lituania (il gasdotto GIPL), l’interconnettore Polonia-Slovacchia, il gasdotto Baltic Pipe tra la Polonia e la Danimarca, il gasdotto Grecia-Bulgaria (IGB).
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Nuovi rigassificatori col REPower EU
E non parliamo solo di gas naturale. La nuova frontiera dell’indipendenza energetica passa per il gas naturale liquefatto (GNL). Secondo il REPowerEU i rigassificatori di Cipro (2 miliardi di metri cubi all’anno) e di Alexandroupolis in Grecia (5 miliardi di metri cubi all’anno) dovrebbero essere operativi nel 2023. Inoltre, nei prossimi anni si prevede il completamento del GNL di Danzica in Polonia (almeno 6 miliardi di metri cubi all’anno).
Per assicurare sufficiente GNL il piano prevede investimenti per 10 miliardi di euro entro il 2030. Inoltre, come si legge dal verbale dell’incontro, tra le richieste fatte dagli amministratori delegati delle compagnie energetiche ricevuti dalla Von Der Leyen, c’è quella di stabilire contratti di lungo termine con l’amministrazione Biden per l’approvvigionamento di GNL data l’impossibilità del governo USA di imporre consegne alle industrie americane senza garanzie.
Come afferma Pascoe Sabido “firmare nuovi contratti con gli USA, che avranno obbligatoriamente una durata minima di 15 se non 20 anni, significa rimanere ancorati alle fonti fossili”. L’alternativa del gas naturale liquefatto pare stuzzicare anche gli interessi di Eni, citata nei verbali degli incontri. Il 17 maggio in audizione alla Camera, il direttore Public Affairs Lapo Pistelli ha affermato che “l’interesse del mercato va verso i terminali di liquefazione e rigassificazione dato che ci stiamo muovendo verso un mercato sempre più liquido”.
Le mappe e i di progetti riportati nel REPowerEU vogliono integrare ma soprattutto accelerare l’elenco esistente di Progetti di Interesse Comune, alcuni dei quali, come gli interconnettori iberici e le connessioni per gli Stati membri insulari, sono in preparazione da molti anni.
D’altra parte sul sito di Eni, si parla di progetti chiave in Egitto dove nel febbraio 2021 è stata riavviata la produzione di GNL nell’impianto di liquefazione di Damietta con una capacità di produzione di 7,56 miliardi di metri cubi all’anno. Secondo Pistelli, con l’impianto di Idku sempre in Egitto, si arriverebbe a 17 miliardi di metri cubi all’anno.
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Idrogeno blu o idrogeno verde?
Se consideriamo i nuovi target emissivi europei che passano dal 40% al 55% al 2030 e i nuovi target del REPowerEu su rinnovabili che salgono al 45%, è chiaro che bisogna ridurre rapidamente il consumo di gas. La Commissione vuole infatti “limitarlo a combustibile di transizione”, facendo però il gioco delle lobby dell’oil&gas.
Come si legge nel REPowerEu “l’abbandono dei combustibili fossili russi richiederà anche investimenti mirati per la sicurezza dell’approvvigionamento nelle infrastrutture del gas e modifiche molto limitate alle infrastrutture petrolifere, oltre a investimenti su larga scala nella rete elettrica e in una dorsale dell’idrogeno a livello europeo”.
La dorsale europea dell’idrogeno è un progetto che ha ormai qualche anno. Pensato dal consorzio Gas for climate, composto a sua volta dalle maggiori compagnie europee per la produzione e il trasporto di gas, prevede una rete di idrogenodotti lunga 23mila chilometri da realizzare entro il 2040 per collegare i futuri centri di domanda e offerta di idrogeno in tutta Europa. Nell’aprile 2022 il consorzio è tornato alla carica con un’altra proposta di dorsale europea per l’idrogeno della lunghezza totale di 53mila km e costituita per circa il 60% da infrastrutture del gas esistenti riutilizzate e per il 40% da nuovi idrogenodotti.
Il RePowerEU fissa come obiettivo 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde dalla produzione interna e altre 10 da importazioni al 2030, più del doppio dell’obiettivo attuale dell’UE. Ma come ci spiega Pascoe Sabido “oggi il 97% dell’idrogeno europeo è prodotto da gas fossile anziché da elettricità rinnovabile e Shell, Equinor ed Eni e altri produttori di gas sono fiduciosi che l’idrogeno fossile rimarrà un punto fermo. Ammettono apertamente che non ci sarà abbastanza elettricità rinnovabile per produrre le quantità di idrogeno di cui si parla, ma stanno usano la spinta dell’idrogeno verde, cioè prodotto da fonti rinnovabili, per produrre idrogeno fossile”.
Con l’interesse dei partner europei, alcuni paesi del Nord Africa intendono passare gradualmente dal gas naturale all’idrogeno verde e blu. Ma ci sono grossi dubbi sul fatto che l’idrogeno verde possa mai essere esportato a prezzi convenienti, dati gli elevati costi di produzione e trasporto. Per fare il caso di Eni, secondo l’ultimo report dell’Osservatorio sulle lobby “Morocco, Algeria, Egypt Assessing Eu Plans to import hydrogen from North Africa”, il progetto solare di idrogeno verde in Algeria dovrebbe costare 11 volte di più per unità di energia rispetto al gas naturale.
Inoltre, mentre trasporto via mare dell’idrogeno verde richiederebbe un’energia di liquefazione tre volte superiore a quella necessaria per il gas naturale, il trasporto di idrogeno tramite condutture potrebbe danneggiare le tubature stesso.
Lo stesso Pistelli in audizione ha confermato che il tema dell’adattabilità dell’idrogeno alle condotte è fondamentale. “Tecnicamente è possibile farlo – ha detto il dirigente di Eni – ma questa cosa incide sul costo, il tema dell’idrogeno riguada il medio/lungo periodo”.
La politica energetica europea sembra affidarsi ancora una volta a Paesi terzi. Eppure nei verbali dei documenti in possesso dal CEO, si legge chiaramente che “l’Europa paga un prezzo elevato per l’energia perché dipende molto dalle importazioni”. Una contraddizione interna che si spiega solo con l’enorme potere che hanno esercitano e ancora esercitano le industrie fossili sugli Stati Membri dell’Unione.
Arriva l’ora di un tetto al prezzo del gas?
In questa vicenda già così complessa si inserisce infine l’ultimo tassello, in realtà ancora in divenire. L’Europa ha infatto aperto alla possibilità di un tetto al prezzo del gas, il cosiddetto price cap, dopo che negli scorsi mesi al mercato internazionale di Amsterdam il prezzo del gas è schizzato a più di 200 megawatt all’ora per poi assestarsi attualmente intorno ai 94 euro al MWh. La richiesta di un price cap è giunta soprattutto dall’Italia, supportata anche da Eni.
Più precisamente al termine del Consiglio europeo del 30 e del 31 maggio, i leader dei 27 Paesi Ue hanno approvato il paragrafo che chiede alla Commissione europea la possibilità di esplorare la misura. “Sul prezzo del gas siamo stati accontentati” ha commentato, a margine del vertice, il premier Mario Draghi. “La Commissione europea ha ricevuto ufficialmente mandato per studiare la fattibilità del price cap”. È un primo passo, non è quello definitivo, e anche in questo caso servirà comprendere le reali volontà delle aziende fossili.
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