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domenica, Dicembre 15, 2024

Anche gli inceneritori producono rifiuti: le ceneri. Ecco che fine fanno

Proviamo a capire quali (soprattutto ceneri) e quanti sono i rifiuti prodotti dagli inceneritori e a seguire i flussi in uscita per vedere il tipo di trattamento a cui sono sottoposti

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

I termovalorizzatori (o inceneritori, che dir si voglia), una delle ultime opzioni previste dalla gerarchia europea dei rifiuti, producono a loro volta rifiuti (come d’altronde anche il riciclo): le ceneri. Col ritorno del tema incenerimento agli onori delle cronache per la vicenda dell’impianto che il sindaco Gualtieri ha annunciato per la Capitale, si è discusso anche di ceneri da incenerimento arrivando a descriverle come l’apoteosi dell’economia circolare.

Così non è, anche se gran parte di questi rifiuti (con alcune eccezioni e qualche dubbio) può essere utilizzato in alcuni processi industriali. Il motivo è la citata gerarchia europea dei rifiuti, che, tra le opzioni di trattamento preferibili, lascia l’incenerimento penultimo, giusto prima della discarica e dopo riutilizzo e riciclo.

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I rifiuti inceneriti in Italia

ISPRA (Rapporto rifiuti Urbani) ci spiega che il 22% dei rifiuti urbani italiani viene bruciato (la gran parte, 21%, in termovalorizzatori, una quota residuale, 1%, in inceneritori). Sui 30 milioni di tonnellate prodotti nel 2019, dunque, 6,6 milioni sono andati ad incenerimento / termovalorizzazione.

I rifiuti speciali gestiti nel 2019 (ISPRA, Rapporto rifiuti Speciali) sono stati 164,5 milioni di tonnellate: solo una quota residuale – rispettivamente l’1,2% e lo 0,7% – è stata avviata al coincenerimento (2 milioni di tonnellate) e all’incenerimento (1,2 milioni di tonnellate).

ceneri inceneritori

Qui ci occuperemo dell’incenerimento degli urbani e dei rifiuti prodotti durante i processi di combustione.

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Quanti sono i rifiuti e le scorie da incenerimento?

Sappiamo, anche dal fatto che necessitano di piccole discariche di servizio, che gli inceneritori che bruciano rifiuti producono a loro volta rifiuti. ISPRA non ci dice il totale dei rifiuti da incenerimento dei rifiuti urbani, ma ci permette di riscostruire indirettamente il dato: si tratta di circa 1,4 milioni di tonnellate. Per il 73% “ceneri pesanti e scorie non pericolose; per il 14% “rifiuti pericolosi provenienti da processi di abbattimento dei fumi”; per la parte restante da “ceneri leggere, ceneri pesanti e scorie pericolose”.

Queste percentuali non vanno prese come valori standard validi per ciascun impianto, perché sono legate a tanti fattori diversi (tipologia di rifiuti trattati; processo utilizzato per la depurazione dei fumi e reattivi e dosaggi di prodotti utilizzati). Quindi, come ci spiega Giuseppe Mininni, dirigente di ricerca del CNR, si tratta “di dati indicativi e piuttosto variabili”. Ad esempio, “le ceneri volanti sono notevolmente minoritarie rispetto alle scorie pesanti. Ma ovviamente si tratta vedere da dove si parte: se partiamo dal rifiuto urbano le scorie/ceneri pesanti rappresentano oltre il 90% del totale dei rifiuti prodotti”.

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Le ceneri pesanti

Riguardo appunto a ceneri pesanti e scorie non pericolose, le quantità maggiori di rifiuti prodotte degli impianti, queste sono destinate, spiega ISPRA:

  • prevalentemente a riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche (948 mila tonnellate, circa il 70% del totale dei rifiuti degli inceneritori);
  • a operazioni intermedie di scambio di rifiuti (si tratta di operazioni di cernita, frammentazione/triturazione, compattazione, pellettizzazione, essiccamento, vagliatura) per poi sottoporli a una delle operazioni di recupero da R1 a R11 (72 mila tonnellate, il 5% circa del totale; vedi oltre per le tipologie di recupero);
  • mentre sono avviate in discarica quasi 37 mila tonnellate (2,5% del totale dei rifiuti degli inceneritori.

La gran parte dei rifiuti da inceneritore, stando a ISPRA, trova dunque una seconda vita. Cerchiamo di capire però cosa significano queste operazioni che, per chi non è un tecnico, suonano oscure.

Per “riciclaggio e recupero” si intende, chiarisce Mininni il “recupero di sostanze utili sia come rifiuti che, ulteriormente raffinati, come materie prime seconde”. I materiali utili che si ottengono dalle scorie pesanti, spiega ancora, sono essenzialmente ferro e metalli non ferrosi, e poi “una parte più fine, inerte, che può essere utilizzata nei cementifici”. Sia il ferro che i metalli non ferrosi, come l’alluminio, vengono inviati in impianti dove sono sottoposti a processi di raffinazione per eliminare i materiali estranei e portarli ad un grado di purezza in linea con le specifiche europee per le materie prime seconde – decisione di esecuzione (Ue) 2019/1004 della Commissione, del 7 giugno 2019, Regolamento UE 333/2011. ISPRA sottolinea che gli ultimi aggiornamenti della direttiva quadro sui rifiuti (d.lgs. 116/2020, di recepimento della direttiva 2018/851/Ue), permettono di tenere conto del riciclaggio dei metalli separati a seguito dell’incenerimento dei rifiuti urbani al fine del calcolo degli obiettivi europei di preparazione per il riutilizzo e di riciclaggio.

Dopo aver prelevato i metalli, prosegue Mininni, quello che ancora risulta “è un materiale fine, una specie di sabbia grossolana, che può essere utilizzato, come rifiuto, in cementifici dotati di autorizzazione che lo impiegano come inerte nella formulazione del cemento”.

Riflette a questo proposito Enzo Favoino, coordinatore scientifico di Zero Waste Europe: “A volte parte delle ceneri pesanti viene recuperato per farne materiale per edilizia, ma queste ceneri non vengono recuperate integralmente. Come Zero Waste Europe abbiamo in cantiere uno studio per far vedere dove finiscono le ceneri: quello che abbiamo scoperto è che non è vero che con esse si fa economia circolare, piuttosto le ceneri spariscono dai radar perché non sono più rifiuti urbani ma speciali e quindi non entrano più nelle statistiche e vanno a occupare spazi di discarica”.

Veniamo alle citate “operazioni di recupero da R1 a R11” (ALLEGATO C alla parte IV del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152). Con queste sigle sono indicate diverse forme di recupero, da “R1 Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia” a, per esempio, “R6 Rigenerazione degli acidi o delle basi” o “R10 Trattamento in ambiente terrestre a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia”. Tra tutte le tipologie previste, spiega il ricercatore del CNR, nel caso dei rifiuti di cui ci occupiamo sono praticabili solamente:

  • R4 Riciclaggio/recupero dei metalli e dei composti metallici;
  • R5 Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche.

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Rifiuti da processi di abbattimento dei fumi e ceneri volanti

Che strada prendono i rifiuti pericolosi provenienti da processi di abbattimento dei fumi? “Questi rifiuti difficilmente possono essere recuperati – chiarisce Mininni – anche perché nella stragrande maggioranza dei casi sono classificati appunto come rifiuti pericolosi, che contengono metalli e inquinanti organici qualificati come sostanze pericolose assorbiti in fase liquida o adsorbiti in fase solida durante le fasi di depurazione dei fumi”. Questi rifiuti, dunque, sono destinati in discarica dopo opportuno trattamento d’inertizzazione che li renda idonei a questa forma di smaltimento.

Stesso discorso per le restanti ceneri leggere: “Può darsi che ci siano imprese che riescono a recuperare sostanze da queste ceneri, ma personalmente non mi è mai capitato di incontrarne”.

Tra i rifiuti legati all’abbattimento dei fumi possiamo considerare anche le sostanze chimiche utilizzate per abbassare la concentrazione degli inquinanti. “Alcuni impianti eccedono nell’impiego di prodotti chimici per essere certi che le emissioni gassose siano conformi ai limiti di legge: questo determina l’incremento della produzione di ceneri volanti, che non sono il prodotto della combustione ma appunto dei prodotti chimici usati per abbattere gli inquinanti presenti nei fumi”. In questi casi, spiega ancora il ricercatore del CNR, “si può provare a recuperare i prodotti usati in eccesso che non abbiano reagito con gli inquinanti da abbattere”.

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