A parole tutte e tutti sono a favore delle energie rinnovabili. Certo, poi ci sono mille differenze tra le pratiche e le tecnologie con cui installarle, i luoghi da preferire e quelli da preservare, le modalità con le quali favorirle. Ma non ci registrano voci in totale disaccordo. Anche questo governo, almeno negli annunci, è a favore delle rinnovabili. Ma aumentano i dubbi sulle strade individuate per favorire uno sviluppo necessario e non più rinviabile.
Negli scorsi giorni abbiamo analizzato la scelta di affidarsi alle regioni per individuare le aree idonee, e quindi anche quelle non idonee, per l’installazione di impianti fotovoltaici ed eolici – al contrario di quel che avviene con le fonti fossili, dove prevale la pianificazione statale. Due sono i mantra ripetuti in maniera costante, soprattutto dal ministro Fratin: la sostenibilità ambientale deve andare di pari passo con quella sociale ed economica, e le rinnovabili hanno il problema dell’intermittenza con il quale bisogna fare i conti.
Ma si tratta di obiezioni vecchie, se non falsate, per le quali esistono già le soluzioni. Nel primo caso, ad esempio, si potrebbero favorire gli impianti di piccole e medie dimensioni – pensiamo ad esempio alle comunità energetiche rinnovabili -, mentre per gli impianti più grandi si potrebbe comunque prevedere che una quota importante dell’energia prodotta venga redistribuita nei territori. Mentre nel secondo caso i sistemi di stoccaggio e le batterie di accumulo hanno fatto passi da gigante e, dove non riusciranno comunque a garantire una continuità efficiente, si potrebbe far affidamento sulle rinnovabili non intermittenti, come il geotermico, e su rinnovabili che producono bene in inverno, e cioè eolico e idroelettrico – che recentemente nel Nord Italia ha registrato un boom di produzione per via delle numerose piogge.
Ci sono due recenti casi che invece testimoniano come per il governo Meloni lo sviluppo delle rinnovabili passa da energie non rinnovabili come il nucleare e la cattura e lo stoccaggio di carbonio.
Leggi anche: Neanche nata e già fa discutere: i dubbi sulla Commissione Via-Vas
Le rinnovabili sul PNIEC (col nucleare e la ccs)
Secondo i dati di Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, nel primo quadrimestre 2024 “le fonti rinnovabili hanno coperto il 51,2% della domanda elettrica (era 36% ad aprile 2023)”. Ciò si spiega con il già citato boom dell’idroelettrico (+197,5%) ma anche con una buona performance del fotovoltaico (+19,5%): ciò è avvenuto, scrive Terna, “principalmente per l’aumento della capacità installata in esercizio”. Si registrano però cali sia del geotermico (-0,9%) che dell’eolico (-3,4%). Si tratta di dati altalenanti che comunque restano molto distanti rispetto agli obiettivi presi dall’Italia al G7, alla Cop28 e nelle sedi europee: nel nostro Paese, infatti, servirebbe installare circa 12 gigawatt all’anno di energie rinnovabili fino al 2030. Come fare? Un piano c’è, finalmente, ed è il PNIEC, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima. Il PNIEC è stato inviato alla Commissione Europea per l’approvazione finale lo scorso 30 giugno, dopo la prima proposta inviata a giugno 2023 sulla quale la Commissione aveva avanzato alcuni dubbi, soprattutto in merito alla povertà energetica e alla riduzione delle emissioni dei settori ETS (quelli ad alta intensità).
“Nell’aggiornamento del Piano è stato seguito un approccio realistico e tecnologicamente neutro, che prevede una forte accelerazione su alcuni settori – scrive il MASE – Oltre alle fonti rinnovabili elettriche, si punta su: produzione di combustibili rinnovabili come il biometano e l’idrogeno insieme all’utilizzo di biocarburanti che già nel breve termine possono contribuire alla decarbonizzazione del parco auto esistente, diffusione di auto elettriche, riduzione della mobilità privata, cattura e stoccaggio di CO2, ristrutturazioni edilizie ed elettrificazione dei consumi finali, in particolare attraverso un crescente peso nel mix termico rinnovabile delle pompe di calore. L’area con performance più alte è quella delle FER, dove è ribadito che l’Italia dovrà raggiungere al 2030 una potenza da fonte rinnovabile di 131 gigawatt. Si prevede che quasi ottanta (79.2) di questi deriveranno dal solare, 28.1 dall’eolico, 19.4 dall’idrico, 3.2 dalle bioenergie e 1 gigawatt da fonte geotermica (quota quest’ultima che potrebbe anche aumentare al raggiungimento di un adeguato livello di maturità di alcune iniziative progettuali in via di sviluppo)”.
Si è fatto un gran parlare in questi giorni dell’importanza, giudicata eccessiva, data nel Piano all’energia nucleare. Per il MASE “secondo le ipotesi di scenario sviluppate, il nucleare da fissione, e nel lungo termine da fusione, potrebbero fornire al 2050 circa l’11% dell’energia elettrica totale richiesta – con una possibile proiezione verso il 22%”. Ma in questa sede ci interessa analizzare un altro aspetto.
In un’intervista il ministro Fratin ha spiegato che il nucleare “non è sostitutivo alle rinnovabili ma integrativo a quelle, perché le rinnovabili hanno la caratteristica della intermittenza”. Dando per buono, e con una certa dose di ottimismo, l’avvio della produzione di energia nucleare in Italia tra 10-15 anni, in quel frangente è facile immaginare che non solo la tecnologia avrà intanto risolto la caratteristica dell’intermittenza ma che nel frattempo, nello stesso lasso di tempo, si potrebbero avviare soluzioni già pronte all’uso. Lascia infine perplessi la citazione della cattura e lo stoccaggio di carbonio tra le soluzioni energetiche, quando la funzione principale della ccs è, al di là dei dubbi di realizzabilità su una tecnologia finora fallimentare su larga scala, di ridurre le emissioni.
Leggi anche: Cosa sta facendo il governo per contrastare la povertà energetica?
I fondi del MIMIT sulle rinnovabili (ma c’è anche la ccs)
Negli scorsi giorni anche il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha fornito la propria versione sulle rinnovabili. In particolare il MIMIT ha emesso il decreto che disciplina le modalità di accesso ai contratti di sviluppo “Net Zero, Rinnovabili e Batterie” per oltre 1,7 miliardi di euro derivanti dai fondi PNRR per agevolare la transizione energetica, su cui a marzo era arrivato il via libera dell’Unione Europea sulla base del quadro temporaneo di crisi e transizione per gli aiuti di Stato. Più precisamente le risorse a disposizione sono circa 1.739 milioni di euro di cui almeno il 40% destinate a progetti da realizzare nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Di questi, scrive il ministero. “almeno 308,6 milioni di euro sono destinati a programmi di sviluppo concernenti le tecnologie fotovoltaiche ed eoliche, e non meno di 205,1 milioni di euro a quelli riguardanti le batterie”. Una buona notizia, no?
“I programmi, nello specifico, dovranno avere ad oggetto la realizzazione di progetti di sviluppo industriale o di sviluppo per la tutela ambientale ed eventualmente progetti di ricerca, sviluppo e innovazione finalizzati alla produzione di batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori, dispositivi per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS), nonché programmi di sviluppo per la produzione di componenti chiave e il recupero delle materie prime critiche specificate nel decreto” aggiunge il ministero.
Ed ecco che torna la ccs, questa volta spacciata come tecnologia net zero. Col timore che possa accaparrarsi i fondi maggiori dato che, secondo gli stessi dati del ministero, dei 1,7 miliardi di euro alle rinnovabili e alle batterie dovrebbero andare poco più di 500 milioni di euro. In ogni caso dal 27 giugno le imprese interessate possono presentare istanza allo Sportello Invitalia, soggetto gestore della misura per conto del ministeri. La piattaforma sarà aperta sia a nuove domande di Contratto di sviluppo sia a domande già presentate all’Agenzia, il cui iter agevolativo risulti sospeso per carenza di risorse finanziarie. In quest’ultimo caso le istanze dovranno contenere gli elementi necessari a consentire l’accertamento del possesso di tutti i requisiti previsti dal decreto.
Leggi anche: Il ministero dell’Ambiente definisce le priorità politiche sull’economia circolare
© Riproduzione riservata