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venerdì, Novembre 15, 2024

Il report di Zero Waste Europe spiega cosa serve al riuso per diventare mainstream

L’ultimo report di Zero Waste Europe indica le modalità con le quali facilitare l’adozione di sistemi di riutilizzo da asporto. Per farlo analizza le politiche dell’Unione Europea - soprattutto il regolamento sugli imballaggi recentemente approvato - e individua due casi studio, in Germania e in Danimarca

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Redazione EconomiaCircolare.com

Perché il riuso non è ancora mainstream? È la domanda a cui prova a rispondere Zero Waste Europe, la rete europea che sostiene l’eliminazione dei rifiuti in toto e le pratiche necessarie per giungere a questo ambizioso obiettivo, nel nuovo report intitolato Facilitating the adoption of takeaway reuse systems. Per facilitare l’adozione di sistemi di riutilizzo da asporto, sostiene ZWE, serve il contributo sostanziale delle autorità pubbliche, finora rimaste in disparte, che hanno invece lasciato eccessiva iniziativa ai privati, col risultato che il monouso, seppur nettamente più impattante dal punto di vista ambientale, ha prevalso per via dei maggiori risparmi che consente (a scapito del pianeta).

Ecco perché è importante analizzare il rapporto di Zero Waste Europe, sviluppato in collaborazione con Eunomia Research & Consulting: in 58 pagine fitte di analisi e dati si dimostra che il passaggio da un uso singolo a un riuso diffuso potrebbe ridurre significativamente le emissioni di gas serra e ridurre i costi nascosti come i rifiuti e gli impatti dovuti alla maggiore anidride carbonica in aria.

In particolare sono stati analizzati due casi studio – ad Aarhus e a Berlino – i quali hanno rivelato che, con l’ausilio della politica, i piccoli venditori possono risparmiare sui costi mentre le grandi imprese potrebbero affrontare spese iniziali più elevate: spese che però sono ampiamente affrontabili e, soprattutto, vanno nell’ottica di una maggiore sostenibilità e di una reale responsabilità d’impresa.

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Le mosse dell’Unione Europea per favorire il riuso

“Mentre gli imballaggi per alimenti e bevande possono svolgere un ruolo importante nel mantenere il cibo sicuro per i consumatori e prevenire lo spreco alimentare, la crescita del consumo di imballaggi monouso negli ultimi decenni ha causato impatti ambientali su larga scala dovuti all’estrazione delle risorse, all’uso di materie prime e alle emissioni di carbonio associate, nonché all’abbandono di rifiuti di imballaggi” ricorda innanzitutto l’ultimo report di Zero Waste Europe. Secondo i dati della Commissione europea, la quantità totale di rifiuti di imballaggio consumata nell’Unione Europea è aumentata di 16,4 milioni di tonnellate dal 2010 al 2021, con un aumento del 24,2%. Da qui nasce il crescente interesse nel ridurre i rifiuti di imballaggio di cibo e bevande da asporto, sostituendo gli imballaggi monouso con alternative riutilizzabili e ricaricabili.

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L’ultimo strumento messo a disposizione dall’UE, nonché il più discusso, è il regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (PPWR) che, benché ostacolato (anche e soprattutto dall’Italia), per Zero Waste Europe ha “il potenziale per promuovere un’ulteriore adozione di sistemi di imballaggio riutilizzabili in tutta Europa”. Il regolamento, ad esempio, introduce un requisito secondo cui, dal 2030, i distributori finali dovranno impegnarsi a offrire il 10% dei prodotti alimentari e delle bevande da asporto in formati di imballaggio riutilizzabili – va comunque ricordato che si tratta di un impegno e non di un obbligo vincolante. In ogni caso gli Stati membri dell’Unione possono scegliere di andare oltre i requisiti del regolamento nel promuovere l’adozione su larga scala di sistemi di riutilizzo degli imballaggi per accelerare risultati ambientali positivi. Ed è proprio da questo punto che parte la seconda parte dell’analisi di Zero Waste Europe.

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I casi studio sul riuso 

Il rapporto di Zero Waste Europe suggerisce alcune misure politiche aggiuntive suggerite che singoli Stati membri, regioni e città potrebbero implementare per facilitare la transizione al riutilizzo. Lo studio si è concentrato su sei formati di imballaggio: ciotole, scatole per pizza, hamburger e sushi e tazze per bevande calde e fredde per le città europee di Aarhus (Danimarca) e Berlino (Germania). Si presume che i risultati siano applicabili a molte altre città europee simili.

“In uno stato operativo stabile con una penetrazione di mercato pari a circa l’85% (ciò che questo rapporto definisce uno “scenario evoluto”) e senza misure di politica fiscale di supporto in atto – scrive ZWE – è probabile che un sistema di imballaggio riutilizzabile costi ai venditori di cibo da asporto, e quindi ai consumatori di cibo da asporto, più dell’opzione monouso. La differenza nel costo netto varia in base al formato, con alcuni formati più facili da lavare e trasportare (come le tazze) che sono quasi neutrali in termini di costi sull’opzione di riutilizzo, e altri (come le scatole per pizza) che costano significativamente di più”.

Come abbiamo sostenuto più volte anche su questo giornale, sono necessari interventi politici per incentivare e facilitare l’adozione di imballaggi riutilizzabili, efficaci sistemi che possono offrire benefici sia ambientali che economici alla società: da nuove imposte per le aziende più impattanti all’introduzione di tariffe di responsabilità estesa del produttore (EPR) adeguate per modificare i costi degli imballaggi monouso al fine di internalizzare le attuali esternalità (ad esempio, la pulizia dei rifiuti, il disagio dei rifiuti e l’impatto sulle emissioni di carbonio), creando così condizioni di parità per gli imballaggi riutilizzabili che possono competere con gli imballaggi monouso.

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Il riuso e la politica, una passione finora non sbocciata

“La Germania ha adottato misure di politica fiscale sotto forma di tasse EPR sugli imballaggi monouso – si legge ancora – I risultati di questo studio mostrano che tali tasse aumenteranno probabilmente il costo degli imballaggi monouso da asporto per alcuni formati (come tazze e ciotole) nella misura in cui ci si aspetta che un sistema di riutilizzo degli imballaggi da asporto abbia un costo relativamente inferiore per i venditori, e quindi per i consumatori. In ogni caso l’introduzione di un regime EPR in Germania non ha portato immediatamente a un maggior utilizzo degli imballaggi riutilizzabili”. Segno che, come ammette la stessa ricerca di ZWE, “l’impatto di questi tipi di interventi fiscali sui costi dei fornitori è di per sé insufficiente a facilitare alti livelli di penetrazione del mercato del riutilizzo”.

Ad analoghe conclusioni giunge il report di Zero Waste Europe nell’analizzare il caso danese. “Per ottimizzare le prestazioni dei sistemi di imballaggio riutilizzabili e per garantire che siano efficienti e comodi da usare sia per i venditori di cibo da asporto che per i consumatori – si legge –  la politica dovrebbe anche concentrarsi sulla definizione di obiettivi di sistema, come tassi minimi di restituzione e rotazione, requisiti minimi sulla copertura dei punti di raccolta, livelli minimi e massimi di deposito/penalità, un requisito che i fondi provenienti da penali/depositi non riscossi rimangano all’interno del sistema di imballaggio riutilizzabile e garanzie sulla sicurezza igienica del sistema. Perseguire obiettivi come questi aiuterebbe a garantire l’interoperabilità tra le regioni e semplificherebbe l’impegno sia per i venditori che per i consumatori”.

Altre misure di supporto che difficilmente avranno un effetto significativo sulla sola penetrazione del mercato, ma che sono utili esempi di buone pratiche che dovrebbero essere incluse in tutti gli scenari politici, includono il divieto di imballaggi monouso da asporto per il consumo sul posto, l’obbligo per cui l’opzione di imballaggio predefinita per servire cibo e bevande da asporto dovrebbe essere un imballaggio riutilizzabile e requisiti per livelli minimi di formazione del personale dei venditori sul riutilizzo. In Germania e in Danimarca, nonostante tutto, le imprese e le persone sembrano più pronte ad affrontare tali richieste. E in Italia? Se c’è da temere la risposta è perché nel nostro Paese non si è ancora compresa la valenza economica del settore. L’economia circolare conviene, all’ambiente e all’economia. A patto di saper cambiare approccio nella gestione ordinaria delle cose. Saremo in grado di farlo?

Leggi anche: lo Speciale sul regolamento imballaggi

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