Tra il riciclo e lo smaltimento in discarica dei rifiuti esiste una terza via: il riuso. Rrreuse, il network internazionale che raccoglie le reti di oltre 850 imprese sociali e centri per il riuso nasce con l’obiettivo di realizzare questa alternativa, attraverso il recupero di mobili, vestiti, elettrodomestici e altri oggetti che possono rapidamente essere rimessi in circolo.
“Insieme ad alcuni colleghi – racconta a EconomiaCircolare.com Paolo Ferraresi, uno dei primi fondatori del network – ci siamo accorti che le imprese sociali avevano raggiunto elevati gradi di eccellenza nei servizi ambientali ed erano pioniere nel settore dell’usato e del riciclo. Da qui è partita l’idea di creare una piattaforma europea che all’inizio era costituita da organizzazioni di paesi come l’Italia, la Spagna, il Belgio, Germania e Regno Unito, che già da tempo lavoravano nel settore dei riuso. Alla fine di un processo durato circa due anni e attraverso un paio di progetti finanziati dalla DG Ambiente della Commissione europea, nel febbraio 2001 i membri fondatori di Rreuse si sono incontrati a Barcellona per formalizzare la nascita della rete”.
L’idea di prevenire la creazione di rifiuti, riutilizzando oggetti destinati a finire in discarica, ha origine anzitutto da un’esigenza sociale. “Per le imprese sociali della nostra rete il riuso non solo permette di diminuire l’impatto ambientale dei rifiuti, ma risponde anche a un problema socio-economico perché offre un’opportunità di occupazione a molte persone escluse dal mercato del lavoro e permette a persone con redditi bassi di acquistare prodotti a prezzo ridotto, di buona qualità e garantiti. Creiamo di fatto dei posti di lavoro legati alle attività territorio e riduciamo in questo modo anche il fenomeno della delocalizzazione”, ribadisce Ferraresi.
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Rreuse, il network del settore del riuso più grande d’Europa: intervista al presidente Matthias Neitsch
Oggi Rreuse rappresenta le imprese sociali di 27 Paesi tra Europa e Stati Uniti, ed è coinvolta in cinque tavoli di esperti della Commissione europea e altrettanti progetti transnazionali supportati dall’Ue. Solo nel 2019 grazie al riuso, alla riparazione e alle attività di riciclo ha sottratto oltre un milione di tonnellate di rifiuti alle discariche e ha impiegato nelle sue attività oltre 105mila addetti.
Numeri in continua crescita, che dimostrano in maniera evidente la necessità di investire maggiori risorse nel settore. “Nelle sedi istituzionali europee – afferma il presidente di Rreuse Matthias Neitsch – cerchiamo di far sentire la nostra voce, facendo pressione perché il riuso possa diventare una pratica diffusa in tutti i Paesi membri dell’Ue. La necessità di fare ‘lobbying’ sorge dalla presenza di grandi interessi industriali che mettono a repentaglio il settore del riuso: negli ultimi anni per esempio il fenomeno del fast fashion ha diminuito la possibilità di ‘riutilizzare’ gli indumenti perché il livello di qualità dei tessuti e della lavorazione è estremamente basso, lo stesso sta avvenendo con i mobili industriali usa e getta che incrementano enormemente la produzione di rifiuti. Tutto questo deve essere limitato e regolamentato a favore del riuso”.
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Al posto della produzione “fast” di scarsa qualità, Rreuse mira alla diffusione di un’economia circolare che crei prodotti più “lenti” ma riutilizzabili il maggior numero di volte possibili. “Nei prossimi 5 anni ci sarà una grande discussione in Europa sugli incentivi da destinare al riciclo a discapito del settore del riuso e della riparazione: se si sceglierà questa strada finiremo per aver enormi quantità di materiale riciclato in eccesso, per non parlare del fatto che cll diminuire del riuso le imprese sociali rischierebbero di perdere la base materiale della loro attività”, prosegue Neitsch.
Le imprese sociali, infatti, detengono attualmente un primato nel settore del riuso che secondo il presidente di Rreuse può essere facilmente spiegato: “Ci sono due motivazioni: una buona e una cattiva. Quella cattiva, è che il nostro settore non permette grossi margini di profitto ed è caratterizzato da una produzione lenta che dipende spesso da fattori non misurabili come le donazioni volontarie, questa è la ragione per cui le grosse compagnie private non hanno ancora tentato di monopolizzarlo. La spiegazione buona risiede invece nella nostra unicità, nell’idealismo e nelle finalità etico-sociali della nostra attività che implicano non solo il rispetto del lavoro ma anche il rispetto dell’ambiente e del mondo in cui viviamo”.
Lo sviluppo del settore varia anche in base al sistema di gestione dei rifiuti adottato da ciascun Paese. Come spiega ancora Neitsch, infatti, “esistono quattro diverse filosofie e strategie del riuso: nei paesi del Nord Europa, come la Finlandia e la Svezia, le imprese sociali non sono molto diffuse perché i rifiuti sono direttamente gestiti dallo Stato in collaborazione con i Comuni; nell’Europa Centrale (Germania, Belgio, Olanda, Svizzera e Austria), invece, lo Stato pur rimanendo l’unico a fissare gli obiettivi sociali e ambientali, affida alle ong e alle imprese sociali il compito di realizzarli. Quest’ultime però continuano a rimanere fortemente dipendenti dai criteri stabiliti dal governo centrale e sono sottoposte a un costante monitoraggio che ne limita l’autonomia. Ci sono poi Paesi come l’Inghilterra e l’Irlanda, in cui si è affermata la filosofia della “beneficenza” e che dipendono essenzialmente dalle grandi donazioni di alcuni individui estremamente facoltosi. L’Italia e la Francia, infine, rappresentano la quarta via, grazie al loro sistema di cooperative e imprese sociali estremamente indipendenti dallo Stato”.
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Periodicamente le reti dei diversi Paesi aderenti al network Rreuse si incontrano per mettere a confronto le diverse soluzioni adottate e decidono insieme gli obiettivi da perseguire a livello europeo. L’ultimo anno, però, con l’esplodere della crisi pandemica è stato estremamente duro per molte di loro: “Durante la pandemia per le aziende è stato più semplice ottenere sostegni perché il calcolo del proprio rendimento si basa sul profitto, un’impresa sociale ha il grande valore di offrire lavoro a tante persone in difficoltà e di migliorare l’ambiente ma spesso non vanta grandi profitti e la sua ‘ricchezza’ non può essere valutata solo in maniera numerica”.
Questo tipo di realtà hanno bisogno di essere protette e tutelate per poter continuare nella loro attività virtuosa a favore dell’economia circolare: “Il problema ambientale e il cambiamento climatico sono connessi alla questione sociale: il nostro sistema produttivo attuale mira al raggiungimento di enormi profitti per alcuni privilegiati senza badare alle conseguenze in termini di inquinamento e di sfruttamento del lavoro. La pandemia ha aggravato ulteriormente questi problemi e per fermare questo processo dobbiamo intervenire subito e ripensare l’economia in termini circolari”, conclude Neitsch.
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