In Europa la maggior parte degli abiti usati e dei prodotti tessili sono ancora smaltiti nei flussi di rifiuti urbani misti. La raccolta obbligatoria dei tessili sarà introdotta nell’UE nel 2025 ma in Italia dal 1° gennaio 2022 è in vigore l’obbligo di raccogliere in modo differenziato i rifiuti tessili.
Nell’ottica di diminuire l’impatto ambientale del settore, anche la Strategia dell’Unione Europea in materia di prodotti tessili sostenibili adottata lo scorso 30 marzo, punta al passaggio a un’economia circolare e climaticamente neutra entro il 2030. I prodotti tessili immessi sul mercato europeo dovranno essere progettati per essere più durevoli, riutilizzabili, riparabili ed efficienti, privi di sostanze pericolose e prodotti nel rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.
“I consumatori europei beneficeranno più a lungo di tessuti di alta qualità – si legge nel documento della strategia – e di una fast fashion messa fuori moda”. Essendo una strategia, però, i requisiti di circolarità non sono ancora vincolanti, ma rappresentano delle linee guida a cui attenersi.
L’impatto ambientale del settore tessile
Il settore tessile influisce ancora negativamente sull’ambiente. Dal punto di vista del consumo europeo, rappresenta il quarto settore più impattante dopo l’industria alimentare, dell’abitare e della mobilità. Secondo un report dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) – “Textiles and the environment: the role of design in Europe’s circular economy” – il passaggio a un sistema di produzione tessile circolare basato sul riuso, il riciclo insieme a una diminuzione del consumo complessivo potrebbe ridurre fortemente l’impatto climatico dell’intero settore. Da questo punto di vista una misura essenziale è la progettazione circolare dei prodotti tessili per migliorarne la durata, la riparabilità e la riciclabilità e garantire l’utilizzo delle materie prime secondarie.
Il Green Deal Europeo, il Piano d’azione per l’economia circolare (CEAP) e la Strategia Industriale Europea identificano il tessile come settore prioritario da riconvertire all’economia circolare.
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I numeri del tessile
Secondo i dati della Confederazione per l’abbigliamento e per il tessile (Euratex) l’industria impiega 1,5 milioni di persone distribuite in più di 160.000 aziende nell’UE, la maggior parte delle quali piccole e medie imprese con un fatturato annuo complessivo di 162 miliardi di euro. Da dicembre 2020, però, i dati economici riflettono una drammatica contrazione della domanda e della produzione di articoli tessili e di abbigliamento causata dalla pandemia COVID-19. Il fatturato dell’UE è sceso del -9,3% nel tessile e del -17,7% nell’abbigliamento con perdite di produzione superiori al 50%.
Nel 2020 la media tessile per persona ammontava a circa 6 chili di vestiti, 6.1 chili di tessuti per la casa e 2.7 chili di scarpe. Se non si considera il calo nei consumi dovuto alla pandemia, la stima sui consumi nel settore rimane costante negli utili dieci anni: gli Europei hanno speso di media 600 euro a testa in vestiti all’anno, 150 per le calzature e 70 per tessuti per la casa.
Il report dell’European Environment Agency posiziona il settore tessile al quarto posto per impatto ambientale e cambiamento climatico, al terzo per consumo di acqua e suolo e al quinto in termini di uso di materie prime e di emissioni di gas serra.
Dalla coltivazione e la produzione delle fibre come cotone, canapa e lino alla produzione di fibre sintetiche come il poliestere passando per l’uso di prodotti chimici per il trattamento dei materiali, alle emissioni derivanti dal trasporto dei prodotti finali, l’intera filiera produttiva del settore ha un apporto negativo sul nostro pianeta.
Inoltre, alla fine del loro ciclo di vita, i prodotti tessili finiscono inceneriti o interrati.
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Le materie prime
Nel 2017 la Fondazione EllenMcArthur ha quantificato che meno dell’1% dei rifiuti tessili viene riclicato globalmente.
Per produrre abiti, scarpe e materiali tessili per le famiglie, l’EEA stima l’utilizzo di 175 milioni di tonnellate di materie prime, circa 391 chili per persona. Le materie utilizzate includono le fibre naturali e sintetiche ma anche fertilizzanti, prodotti chimici e fonti fossili. Solo il 20% delle materie prime sono prodotte o estratte in Europa, il resto proviene da paesi terzi, a dimostrazione della natura globalizzata della catena di valore del settore tessile e della forte dipendenza dall’import del consumo europeo. Ciò implica che l’80% degli impatti ambientali generati dal consumo in Europa si verifica al di fuori del continente.
Consumo di acqua e suolo
La produzione e la gestione del tessile implica un grosso dispendio di risorse idriche. Bisogna distinguere tra l’utilizzo di “acqua blu”, le acque superficiali o sotterranee impiegate per l’irrigazione o nei processi industriali, e “acque verdi”, l’acqua piovana utilizzata solitamente per le colture.
Per la produzioni di abiti, scarpe e tessile a uso domestico, nel 2020 l’EEA ha calcolato l’utilizzo di 4000 milioni di metri cubi di acque blu (circa 9 metri cubi a persona) posizionando il settore tessile al terzo posto dopo l’alimentare e il ricreativo per consumo d’acqua. Altri 20.000 milioni di metri cubi di acque verdi sono state utilizzate per la produzione di cotone. Il consumo di acqua avviene per lo più fuori dall’Europa.
Per quanto riguarda il consumo di suolo, la catena di produzione ha utilizzato 180.000 chilometri quadrati, di cui solo l’8% in Europa. Più del 90% del consumo di suolo avviene al di fuori del continente, soprattutto in Cina e India.
Emissioni di gas serra
Nel 2020 l’intera filiera produttiva (dall’estrazione delle materie prime all’incenerimento del prodotto finale) ha generato 121 milioni di tonnellate di CO2 rendendo il tessile il quinto settore responsabile dei cambiamenti climatici dopo l’abitare, l’alimentare, la mobilità e la cultura. Di questi 50% è attribuibile ai vestiti il 30% al tessile e il 20% alle calzature.
Circa l’80% dell’impatto totale avviene nella fase di produzione. Un ulteriore 3% avviene nella distribuzione, un 14% nella fase di utilizzo mentre 3% avviene nel fine ciclo vita.
Le soluzioni
Rispetto alla crescente tendenza sociale alla sostenibilità nel settore della moda, il consumo pro capite annuo si aggira ancora intorno ai 26 chili di prodotto tessile. Ogni articolo viene utilizzato per un periodo sempre più breve, il che significa che ogni anno vengono scartati 11 chili di prodotti tessili a persona.
Dai dati forniti dall’EEA, emerge la necessità di ridurre l’impatto ambientale del tessile e di passare a modelli di business circolari basati sull’innovazione tecnica e sul supporto politico a un consumo più consapevole.
In quest’ottica il design si configura come un importante fattore di transizione verso una produzione e un consumo di prodotti tessili basati su modelli circolari. La fase di progettazione, infatti, gioca un ruolo critico in ciascuno dei quattro percorsi per raggiungere la circolarità del settore tessile: longevità e durata; uso ottimizzato delle risorse; raccolta e riutilizzo; riciclaggio e uso dei materiali.
Se da un lato è importante consentire il riciclo e il riutilizzo dei materiali, il design sostenibile consente di dare priorità a elementi del prodotto come la durata, la facilità di riutilizzo, la riparazione e la ri-fabbricazione, oltre che prevenire l’uso di sostanze chimiche pericolose e limitare le emissioni tossiche e il rilascio di microplastiche in tutte le fasi del ciclo di vita.
Non si tratta semplicemente di progettare un prototipo: il design come componente di un modello di business circolare dipende anche dal comportamento del consumatore e dalle misure politiche adottate per favorirne la diffusione.
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Quattro percorsi di design verso la circolarità
L’EEA ha elaborato quattro percorsi verso la circolarità che includono la longevità del prodotto, l’ottimizzazione dell’uso delle risorse, il riuso e il riciclo.
Il rapido susseguirsi delle mode e la diminuzione della qualità dei prodotti ha ridotto la durata dei vestiti. Il tempo di utilizzo di un abito è diminuito del 36% rispetto a 20 anni fa.
Il primo passo verso la circolarità è quindi garantire la longevità e la durata dei prodotti tessili attraverso il design circolare. In fase di progettazione, un’attenta selezione dei materiali aumenta la longevità, la durata e la riparabilità dei tessuti, garantendo solidità del colore e resistenza del tessuto.
Il 40% dei prodotti scartati, infatti, è legato a difetti nei capi come strappi, perdita di elasticità e forma, macchie, perdita del colore e aspetto logoro. Ma l’introduzione di materiali durevoli ed ecologici deve essere accompagnata da cambiamenti nel comportamento dei consumatori. Anche qui il design può fare la sua parte: le compagnie potrebbero fornire informazioni sulla cura del prodotto e offrire servizi di riparazione. D’altra parte un ruolo fondamentale è da attribuire alle politiche da adottare in termini di sostenibilità: requisiti di eco-progettazione, schemi armonizzati di responsabilità estesa del produttore, strumenti economici (come tasse su alcuni usi di materiali poco desiderabili) rappresentano il passaggio necessario verso un modello di business sostenibile.
Il secondo percorso è l’ottimizzazione dell’uso delle risorse. Negli ultimi anni le aziende del settore tessile si stanno concentrando sulla riduzione e l’ottimizzazione dell’uso di acqua ed energia e sulla riduzione delle emissioni climalteranti utilizzando prodotti chimici sicuri e materiali biodegradabili diversificati. Allo stesso tempo un contributo all’ottimizzazione delle risorse può venire dall’aumento dell’utilizzo di materiale riciclato.
Inoltre, la transizione dell’economia circolare ha portato una parte dell’industria tessile all’introduzione di modelli di business che promuovono l’accesso ai prodotti rispetto alla proprietà: alcune aziende offrono servizi di abbonamento di abbigliamento, in cui i clienti pagano una tassa per affittare un numero specifico di capi.
In questo senso c’è la necessità di sostenere modelli basati sull’accesso dei prodotti e regolamentare il traporto e il commerci di prodotti tessili promuovendo inventivi normativi come la riduzione dell’Iva o la responsabilità estesa del produttore.
Attualmente solamente il 20% dei consumatori acquista regolarmente vestiti usati. Per questo il terzo percorso in cui il design gioca un ruolo fondamentale è la raccolta e il riutilizzo dei prodotti tessili. I modelli di business circolari costruiti attorno alla raccolta e alla rivendita dei tessili mirano a prolungare la loro vita oltre il primo utente. Un modo per favorire il mercato degli abiti di “seconda mano” è incentivare la trasparenza su cosa succede ai prodotti usati raccolti.
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Riciclare e riutilizzare il tessile di scarto
A chiudere il “ciclo” di un modello di business basato sulla circolarità è il riciclaggio e riutilizzo dei materiali. Trasformando i tessili di scarto in materia prima per nuovi tessili, il materiale può essere riutilizzato a livello di tessuto attraverso il remanufacturing, spesso chiamato anche upcycling, o a livello di fibra attraverso il riciclaggio. Entrambi riducono la necessità di materie prime vergini e la produzione di rifiuti tessili.
Nonostante l’interesse di una parte delle aziende, la riciclabilità dei tessili è ancora raramente considerata nel processo di progettazione. A causa di specifiche esigenze funzionali come l’elasticità, le ragioni estetiche o le ragioni economiche come l’utilizzo di fibre poco costose, il riciclaggio non è ancora una priorità del design. I prodotti tessili contengono anche elementi spesso non rimovibili come bottoni, cerniere e altri accessori difficili da riciclare.
Per ovviare a questi problemi i prodotti tessili dovrebbero essere etichettati con i materiali e le sostanze chimiche con cui vengono prodotti mentre gli accessori dovrebbero essere resi rimovibili.
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