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domenica, Dicembre 15, 2024

Siccità ed eventi meteorologici estremi condannano le coltivazioni made in Italy

Due report di Greenpeace e di The European House – Ambrosetti lanciano l’allarme sui danni economici per l’agricoltura italiana a causa di suoli aridi o piogge troppo violente: dodici regioni sono ad alto stress chimico la situazione peggiora rapidamente. Se si vuole salvare le colture bisogna agire adesso

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Il made in Italy su cui l’attuale governo punta tantissimo come valore aggiunto della nostra economia potrebbe essere spazzato via in poco tempo dalla crisi climatica, tema dove l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni appare molto meno ambizioso. È evidente come in un’Italia divisa in misura crescente tra eventi estremi e suoli aridi le coltivazioni siano in costante pericolo. A rimetterci, saranno soprattutto colture come agrumi, miele, olio d’oliva e grano duro per pasta e pane e, ovviamente, il comparto idroelettrico, che per anni è stata la principale fonte di energia rinnovabile per l’Italia. Alcune regioni sono “condannate” più di altre, visto che lo stress idrico è particolarmente grave in dodici, ma la situazione è destinata a peggiorare ovunque.

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Scenari lugubri confermati da due differenti ricerche, una condotta dall’associazione ambientalista Greenpeace e l’altra, molto più vicina al mondo produttivo che il governo vuole tutelare, del think tank The European House – Ambrosetti, organizzatore del Forum di Cernobbio sul lago di Como. In poche parole le due realtà concordano sulla situazione allarmante in cui si trova l’Italia e sugli enormi danni economici, oltre che ambientali, verso cui sta andando incontro il nostro Paese e chiedono un intervento rapido delle istituzioni. Greenpeace soprattutto nell’ottica di riduzione dei consumi idrici, salute del suolo e modello agroalimentare sostenibile, mentre The European House – Ambrosetti (TEHA) evidenzia la necessità di modernizzare le infrastrutture idriche, per ottimizzare la raccolta e lo stoccaggio dell’acqua.

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Le regioni più impattate: i numeri del fenomeno

Partendo dagli effetti, ovvero la siccità, il quadro è anno dopo anno più drammatico. Tutta Italia è più povera d’acqua rispetto alla media degli ultimi trenta anni e solo la Valle d’Aosta si salva. Rispetto alla media storica dal 1950, fa notare la Community Valore Acqua per l’Italia di The European House – Ambrosetti, in un anno l’Italia ha perso il 51,5% delle risorse idriche rinnovabili. In particolare, evidenziano le elaborazioni di Greenpeace sui dati ECMWF – European Centre for Medium-range Weather Forecast e Istat, la Sicilia ha perso il 2% di risorse idriche, la Puglia l’1,2% e la Calabria l’1,1%. Percentuali che, secondo gli esperti, rappresentano un campanello d’allarme, “dato che solo una parte dell’acqua trattenuta al suolo è disponibile per le piante, e la perdita di un solo punto percentuale equivale a una riduzione significativa che deve essere compensata con l’irrigazione” come spiega Tommaso Gaifami dell’Associazione Italiana di Agroecologia (AIDA).

L’Italia è la quarta nazione dell’Unione Europea per stress idrico, con un indice di 3,3 su 5. Solo Belgio (4,4), Grecia (4,3) e Spagna (3,9) presentano valori peggiori. Le regioni in cui c’è già una situazione critica di stress idrico sono soprattutto Basilicata, Calabria, Sicilia, Puglia, seguite nell’ordine da Campania, Lazio, Marche e Umbria, Toscana, Molise, Sardegna e Abruzzo. In tutto dodici regioni italiane su venti, ma la lista è destinata ad allargarsi: per gli esperti – riporta la Community Valore Acqua citata nel report di TEHA – entro il 2030 lo stress idrico si intensificherà ulteriormente, con una crescita dell’8,7% in Liguria, del 6,1% in Friuli-Venezia Giulia e del 5,7% nelle Marche.

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I settori economici più colpiti: idroelettrico e agricoltura

Le conseguenze di questa riduzione d’acqua sono rovinose sull’economia e sul sistema energetico italiano. La crisi dell’idroelettrico, ovviamente, è cominciata da alcuni anni e non è destinata a interrompersi. E pensare che è stato un comparto che ha contribuito moltissimo al mix energetico dell’Italia. L’idroelettrico è stata la principale fonte rinnovabile del Paese, superata solo recentemente dal fotovoltaico, sia per lo sviluppo di quest’ultima fonte rinnovabile sia, appunto, per la siccità. Nel 2022 l’Italia aveva raggiunto 19 GW di potenza installata: ma tra il secondo trimestre del 2022 e il terzo trimestre del 2023 c’è stato un calo del 34%. I dati sono dell’Osservatorio FER di ANIE Rinnovabili, associato a Confindustria, basandosi sui numeri forniti da Gaudì di Terna.

L’agricoltura italiana, già sottoposta a numerose pressioni, sta affrontando una crescente scarsità d’acqua che mette a rischio per la prossima stagione la produttività delle colture e dunque la produzione alimentare e la sostenibilità delle attività agricole, soprattutto nelle regioni meridionali, duramente colpite da siccità, e dove si concentra la produzione di agrumi (99% delle superfici coltivate), olio d’oliva (81%) e grano duro (73%) per pasta e pane made in Italy. Mentre quest’anno la produzione di miele si è ridotta del 70%, di pere del 63% e di ciliegie del 60%. Senza contare, come ricorda Greenpeace, che si tratta di terreni spesso già impoveriti da anni di agricoltura intensiva.

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Gli ultimi due anni sono stati catastrofici

Negli ultimi due anni temperature in crescita, eventi meteorologici estremi ed effetti dell’azione dell’uomo hanno costantemente accresciuto la pressione sulla risorsa idrica. Il 2022 può essere definito l’anno nero per la crisi idrica senza precedenti che l’Italia ha dovuto affrontare, ma di sicuro assisteremo in futuro a situazioni analoghe. Il Nord Italia è stata l’area in cui le temperature sono cresciute maggiormente: la temperatura media invernale negli ultimi quarant’anni è aumentata di quasi 1,5 °C, con punte di 2 °C nel Nord Ovest e oltre 1,5 °C nel Nord Est.

Le precipitazioni complessive sono invece calate in modo significativo e il manto nevoso ha subito una riduzione del 60% rispetto alla media del periodo 2010-2021. A causa delle alte temperature, solo il 13,5% delle piogge ha contribuito a ricaricare le falde acquifere. Questo fenomeno è motivo di crescente preoccupazione, poiché si prevede che le risorse idriche rinnovabili diminuiranno ulteriormente del 40% entro il 2100, con riduzioni fino al 90% nel sud Italia.

“La quantità d’acqua persa nel 2022 – si legge nel Libro Bianco della Community Valore Acqua – è pari a quella necessaria per irrigare circa 641.000 ettari di terreno, un’area corrispondente all’intera superficie agricola del Lazio. Inoltre, equivale all’acqua consumata annualmente da oltre 14 milioni di persone, ovvero gli abitanti di Lombardia e Piemonte, e alla quantità utilizzata dalla produzione di 82.000 imprese manifatturiere, il tessuto industriale di regioni come Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna”.

Eppure anche l’anomalia nelle precipitazioni a cui si sta assistendo ultimamente non è certo un’ancora di salvezza. In soli due mesi dell’inverno 2024 è caduta la stessa quantità d’acqua piovuta nei tre inverni precedenti. Queste precipitazioni, tuttavia, come spiegano i ricercatori dell’Istat Stefano Tersigni e Alessandro Cimbelli, citati da Greenpeace, “faticano ad essere assorbite dal terreno perché sono sempre più intense e concentrate, spesso connesse a eventi meteorologici estremi”.

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La corsa contro il tempo per salvare le coltivazioni

“Le tendenze climatiche ci indicano che i suoli delle regioni del Mezzogiorno saranno sempre più difficili da coltivare e che non potranno essere compensati dai terreni del Nord Italia, già sfruttati in modo intensivo, minacciati da temperature medie in rapido aumento e da eventi climatici estremi sempre più frequenti”, commenta Simona Savini, della Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. “Per questo è urgente e necessario adattare il nostro modello agroalimentare a produzioni che richiedono meno acqua, a partire dalla riduzione dei terreni destinati alla mangimistica”.

Se l’Italia vuole garantire un futuro all’agricoltura e alle colture che rappresentano l’eccellenza del “Made in Italy” e il reddito degli agricoltori sempre più minacciato da cambiamenti climatici ed eventi estremi, è evidente come di fronte a una situazione in rapido deterioramento bisogna prendere misure immediate e radicali: ridurre i consumi idrici in agricoltura, privilegiare la produzione di cibo per le persone rispetto a quella di mangimi per animali, promuovere l’adozione di tecniche agroecologiche che tutelano la salute dei suoli e la loro capacità di trattenere l’umidità, mantenendo le capacità produttive dei terreni agricoli sul lungo periodo.

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Secondo Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di The European House – Ambrosetti: “È necessario promuovere pratiche di gestione sostenibile dell’acqua e investire in tecnologie innovative che ci permettano di fronteggiare questa emergenza. È importante modernizzare e rendere più efficienti le nostre infrastrutture idriche, per ottimizzare la raccolta e lo stoccaggio dell’acqua, attivando il 20% dei volumi potenzialmente sfruttabili già presenti nelle grandi dighe italiane”.

Tutte misure utili per mitigare l’emergenza, ma allargando il punto di vista, la lotta alla desertificazione è una sfida globale che richiede un impegno concreto da parte di tutte le nazioni del mondo. Per l’Italia, nella sua difesa del made in Italy, secondo Greenpeace, un buon inizio sarebbe aggiornare il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima con obiettivi in linea con l’Accordo di Parigi per ridurre le emissioni climalteranti e contrastare l’inquinamento che avvelena le risorse idriche.

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