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venerdì, Dicembre 13, 2024

Siccità? “L’acqua c’è, ma in Italia le reti idriche sono la cenerentole delle infrastrutture”

Erasmo D’Angelis, presidente “Earth and Water Agenda”, un passato da presidente di Publiacqua, da sottosegretario alle infrastrutture e da direttore della Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, ci racconta della grande disponibilità di acqua di cui gode il nostro Paese, ma anche dei tanti problemi. A partire dalla sottovalutazione

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Dopo un inverno con precipitazioni scarsissime in cui la portata di alcuni fiumi, Po in primis, ha toccato livelli da siccità estiva, le piogge, anche estreme, dei mesi scorsi hanno fatto riscrivere le previsioni siccitose per l’estate. Spiegava, a metà luglio, l’Autorità Distrettuale del Fiume Po (ADBPo): “Nel Distretto si registrano temperature prossimi ai 40 gradi senza piogge. I valori delle portate restano di ‘magra ordinaria’ tipici di questo periodo di luglio. Cremona e Pontelagoscuro (FE) sono sotto la media”. Ma quanto questa normalità durerà prima dei prossimi allarmi siccità? Siamo un Paese povero d’acqua?

“Niente affatto. L’Italia è il Paese che ha più acqua in assoluto rispetto a paesi Ue. In Italia l’acqua è ovunque. 7.494 corsi d’acqua, 347 laghi naturali e 538 dighe con laghi artificiali e oltre 20.000 deliziosi piccoli specchi d’acqua, 1.053 falde di acqua purissima (per non parlare dei mari). E ogni anno sul nostro territorio cadono circa 300 miliardi di metri cubi di pioggia, un dato grosso modo stabile dal 1921, da quando, cioè, sono iniziate le rilevazioni. Insomma, abbiamo una quantità di acqua impressionante. In Europa solo Croazia, Slovenia e Austria ricevono dal cielo più acqua di noi. E ricordiamo che una famiglia italiana mediamente ne consuma circa 120 metri cubi l’anno”.

Erasmo D’Angelis è giornalista (è stato direttore de L’Unità), politico (tra l’altro, sottosegretario di Stato e direttore della Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche), manager (già presidente di Publiacqua, che gestisce il servizio idrico integrato di Firenze e provincia). Oggi è tra i promotori della Fondazione “Earth and Water Agenda” (EWA), di cui ricopre la carica di presidente. Ma soprattutto è un grande esperto dei temi che riguardano l’oro blu: autore di diversi saggi a riguardo, l’anno scorso ha pubblicato con Giunti “Acque d’Italia: La straordinaria biografia della principale risorsa” (un volume che Mario Tozzi, nella prefazione, ha definito “una enciclopedia dell’acqua, con risposte a ogni domanda possa venire in mente”).

siccità acqua Erasmo D'Angelis

Un’ottima notizia, dottor D’Angelis, che un po’, ma solo un po’, ci rassicura. Ma noi italiani sappiamo quanto siamo fortunati da questo punto di vista?

Non proprio. Questo primato non entra ancora nell’immaginario. Chiedo a lei: Qual è la metropoli più piovosa d’Europa?

Non saprei. Londra?

No, Milano. Ogni anno su Milano cadono quasi 1150 millimetri di pioggia. A Londra, Parigi e Berlino, identificate come città molto piovose, siamo attorno agli 800. A Roma ne cadono 1100. A Napoli e Palermo 950. Con tutta questa acqua dovremmo essere tranquilli anche durante le siccità più dure.

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Così non è, se ci limitiamo anche alla cronaca dei soli ultimi anni. Dov’è il problema secondo lei?

Dobbiamo considerare un incrocio di problemi. In cima a tutti emerge una sottovalutazione impressionante di settore strategico delle infrastrutture idriche: di fatto la cenerentola tra le reti infrastrutturali strategiche (reti elettriche, di comunicazione, per il gas, per i dati, reti stradali e autostradali). Tutte ben finanziate, tranne quella idrica: la voce acqua manca dal bilancio delle Stato centrale, dai bilanci di Regioni e Comuni da ormai tre decenni.

Come si spiega questa sottovalutazione? Qual è il motivo dell’assenza dai bilanci pubblici?

I motivi sono diversi. Dopo legge Galli del 1996 il settore del servizio idrico integrato è stato affidato, per quanti riguarda i finanziamenti, alla sola tariffa. Da quel momento lo Stato se n’è come lavato le mani e ha lasciato per intero gli investimenti ai nuovi gestori, che devono far tornare i conti con i piani tariffari definiti dai sindaci. Il problema è che sono state definite le tariffe più basse d’Europa.

Non ci tenga sulle spine.

La media italiana viaggia oggi intorno ai 176 euro l’anno per una famiglia media con consumi tra i 100 e i 120 metri cubi l’anno. La metà della media europea. A questo sommiamo che un terzo del Paese, dal 1996, non ha ancora definito l’autorità d’ambito e messo a gara i servizi. Restano 1900 Comuni con gestione in house, che sostanzialmente vuol dire senza gestione: perché i Comuni molto piccoli e quelli medio grandi non sono in grado di gestire la politica idrica integrata. E questo si vede, soprattutto al Sud, dove i disservizi mostrano l’incapacità delle governance politiche locali di uscire dalla situazione di servizi inesistenti. Pensi che Utilitalia ha calcolato che per il servizio idrico integrato in quei 1902 Comuni si investono in media 4 euro ad abitante l’anno. Niente.

Qual è la media Italiana?

La dove ci sono le aziende che gestiscono il servizio, gli investimenti superano i 50 euro l’anno. Uno scarto enorme.

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E il resto d’Europa?

In media siamo ormai a 80-100 euro di investimenti per abitante ogni anno. Siccome la tariffa, secondo la legge Galli, la decidono i sindaci – a riprova del fatto che in Italia l’acqua è un bene pubblico -, possiamo stare tranquilli che nessuno la alzerà: è troppo impopolare, non accadrà mai. La tariffa più alta è quella toscana, decisa quando io ero presidente di Publiacqua: rispetto ai 176 euro l’anno di media, in Toscana sono poco sotto i 300. E grazie a questa tariffa sono stati fatti tre miliardi di investimenti: chi la paga sa che l’acqua arriva a casa anche in periodi di siccità.

Siamo quindi destinati ad avere un sistema inefficiente, con perdite che, in metà dei Comuni italiani, superano il 50% dell’immesso in rete?

In Italia c’è l’incapacità di una visione complessiva dell’acqua: in tutti i discorsi pubblici, i documenti politici, gli atti parlamentari, l’unico riferimento all’acqua è al servizio idrico integrato, che vale ‘appena’ il 20% dei consumi. Questo è un problema enorme. Un terzo dell’Italia è senza depuratori, motivo per cui stiamo pagando 145 mila euro al giorno di sanzioni. Eppure la percezione della politica è che l’acqua sia tutta lì, in quel 20% del servizio idrico integrato. La benemerita legge Galli ha lanciato l’industrializzazione del settore, ma il settore è molto in affanno perché le tariffe sono molto basse e, in assenza di fondi pubblici, gli investimenti si possono fare solo sulla base delle tariffe. Lo Stato non finanzia più: abbiamo analizzato i bilanci dello Stato dal 2000 ad oggi, e gli investimenti sul settore delle infrastrutture idriche non superano il 2 %: quasi niente. Abbiamo 550 mila chilometri di acquedotti e oltre 1 milione di fognature: gestire tutto questo ha costi enormi, l’evidente vetustà degli impianti richiede investimenti dai costi anche colossali.

E il Pnrr?

Il Pnrr è allineato alla spesa pubblica nazionale sulle infrastrutture idriche: 4,3 miliardi per il servizio idrico integrato – per le fognature, la depurazione, la riduzione perdite – su 1915 miliardi significa che l’acqua in Italia non ha cittadinanza. Non è assimilata alle grandi reti di infrastrutturazione, eppure è la rete più fondamentale.

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Torno allora a chiederle: come si supera tutto questo?

La legge Galli – benemerita, lo ripeto – ha fatto il suo tempo. È urgente una riforma. La tariffa spezzatino, dove Roma e Milano pagano in media 120 euro e chi vive in Toscana 300, non regge più. Bisogna andare su una tariffa unica nazionale, esattamente come per gas ed energia elettrica, sulla quale Arera deciderà le varie perequazioni.

Ipotizziamo che i soldi pubblici arrivino. Cosa dovremmo fare? Abbiamo parlato di 300 miliardi di metri cubi d’acqua che ogni anno ci arriva del cielo: come farne tesoro?

Dovremmo riuscire ad essere furbi, e oggi non lo siamo.

Dovremmo immagazzinarla, immagino.

In Italia è stato fatto un grandissimo lavoro da fine ‘800 al piano Marshall e negli anni ‘60 con la Cassa del Mezzogiorno: sono state costruite 900 dighe, grandi adduzioni, grandi linee che forniscono acqua. Dopo di allora niente. Grazie a questi lavori, oggi avremmo la possibilità teorica di invasare 13 miliardi di metri cubi, ma ne invasiamo nemmeno 8,5. Delle 531 grandi dighe, 150 circa hanno invaso limitato, perché sono interrate o in manutenzione. Abbiamo dimenticato quello che avevano immaginato le precedenti generazioni e ci troviamo a soffrire la siccità che non dovremmo soffrire: la quantità di precipitazioni e la capacità teorica di immagazzinare acqua ci dovrebbero consentire di superare anche un periodo siccità prolungato. L’Italia avrebbe a disposizione acque per tre Italie, se solo riuscissimo a gestire quest’acqua come si deve. E poi non dovremmo sprecare l’acqua come facciamo.

Parla delle perdite idriche? Oppure degli sprechi delle famiglie, additati a volte come ‘il problema’?

Lo spreco in famiglia è relativo. È vero che consumiamo 254 metri cubi pro capite l’anno a fronte dei circa 200 del resto d’Europa. È vero che c’è un tema culturale del risparmio idrico, ma non sta lì il grosso dello spreco, quella è una piccolissima parte, è una quota di quel 20% del totale rappresentato dal servizio idrico integrato. Abbiamo i migliori depuratori d’Europa, spendiamo decine di miliardi per depurare l’acqua, ne rigeneriamo 9 miliardi di metri cubi l’anno – più di quelli che contengono le nostre dighe – e poi quest’acqua la scarichiamo nei fiumi e in mare. In California bevono l’acqua del depuratore, ma certo loro sono in pieno deserto. Non la vogliamo bere? In quasi tutte città europee l’acqua di riuso è riutilizzata in agricoltura e nelle industrie: è normale che l’industria utilizzi acqua di falda, l’acqua migliore, quella potabile, per raffreddare i macchinari, lavare gli automezzi, pulire i piazzali?

Come si convincono agricoltura (che vale circa il 50% dei consumi) e industria (25% circa) a usare le acque ‘riciclate’?

Intanto ricordiamo che sta per arrivare una sanzione europea: siamo l’unico Paese che non riutilizza acqua depurata. Questo potrebbe cambiare le cose. E poi la siccità del 2022 – 2023 un po’ ha aperto gli occhi. Il settore industriale si è spaventato: per la prima volta la siccità è partita nel cuore produttivo d’Italia. Non si era mai vista una cosa del genere. Si è capito che se non c’è acqua l’industria si ferma.

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Ormai la rimodulazione del Pnrr non è più un tabù: potrebbe essere l’occasione buona per portare nuovi investimenti sulle infrastrutture dell’acqua?

Le aziende idriche sono sane e in grado di spendere, più soldi arrivano più soldi si investono. Se si rimodula il Pnrr e se passa il messaggio della necessità di investire per rafforzare le infrastrutture, dando la stessa dignità delle altre reti, avremmo la possibilità di fare lavori importanti.

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