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sabato, Dicembre 14, 2024

L’emergenza dello spreco alimentare e la risposta con Food Not Bombs

Un movimento globale, 200 gruppi attivi in tutto il mondo per ripensare il rapporto col cibo (e il nostro modo di vivere). L’esperienza di Food Not Bombs

Anna Basagni
Anna Basagni
Dopo aver concluso gli studi superiori all'artistico in Toscana, si interessa agli studi sul fenomeno del caporalato In Sicilia, occupandosi di campagne di sensibilizzazione di lotta contro lo sfruttamento lavorativo e sessuale nella “fascia trasformata”. Scrive alcuni articoli sulla questione “fumarole” per il giornale online “Sicilia che Cambia” e "La Sicilia". A Catania partecipa al gruppo di Food not Bombs per il supporto alimentare per gli invisibili ed i senzatetto.

La nostra realtà si manifesta attraverso un’eccezionale sovrabbondanza alimentare, la quale tuttavia può diventare sinonimo di disparita e discriminazione. Il gruppo Food Not Bombs tenta di arginare questo divario sociale attraverso azioni che partono direttamente dalla strada. La loro missione: condividere questa sovrabbondanza di risorse alimentare male gestite attraverso la raccolta e distribuzione di cibo vegano ai bisognosi e ai senzatetto.

Siamo di fronte ad un drammatico paradosso. Se da un lato del globo, quello meno sviluppato economicamente, il cibo scarseggia e ci si ammala per la sua scarsa qualità, dall’altro lato, nel mondo che noi consideriamo modernizzato, si diffondono patologie metaboliche come il diabete e malattie cardiovascolari e si stima che oltre il 30% degli adulti sia in sovrappeso ed obeso. Secondo i dati raccolti dalla FAO nel rapporto “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo 2023”, oltre 1 miliardo e 600 milioni di persone soffre di patologie strettamente connesse all’ipernutrizione, contemporaneamente sono più di 735 milioni le persone che sperimentano gli effetti della denutrizione.

La modalità di produzione e consumo del cibo maggiormente diffusa nel mondo occidentale dà vita a pericolose differenze e ad una netta spaccatura: perché il sistema alimentare odierno, così per come lo conosciamo, genera disuguaglianza. Il rapporto “Lo Stato dell’Alimentazione e dell’Agricoltura” redatto dalla FAO dimostra come la cattiva alimentazione, prevalentemente a base di alimenti ultra-trasformati ricchi di zuccheri e grassi, è responsabile della perdita di grandi quantità di prodotti con un impatto negativo sull’economia. Lo studio denuncia, infatti, come ogni anno vengano sprecate 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, circa ⅓ della produzione totale, a causa di una serie di procedure poco sostenibili che riguardano la filiera agroalimentare. È innegabile che i nostri attuali sistemi agroalimentari generino ingenti costi nascosti a carico della nostra salute, dell’ambiente e della collettività nel suo complesso. Viene allora da riconsiderare l’impatto sociale, economico ed ambientale che questo dilapidare o mal impiegare le risorse implica nella vita delle persone. Se è vero che ogni cosa è collegata, è altrettanto vero che il potere decisionale dei consumatori parte già dal frigorifero di casa.

Food Not Bombs (FNB)

Food Not Bombs, ovvero “cibo non bombe”, è un movimento di volontari il cui obbiettivo è combattere il paradosso della povertà e della malnutrizione nei Paesi ricchi recuperando ‘sul campo’ gli sprechi e gli scarti della filiera agroalimentare. Far fronte, così, alle sfide alimentari derivanti dall’aumento della popolazione mondiale e dall’emarginazione, arginando gli effetti dell’over-consumo del mondo occidentale proponendo la condivisione gratuita di una cucina vegetale “autonoma ed indipendente”.

Food Not Bombs nasce come movimento anarchico non violento in occasione della protesta nei primi anni ’80 per fermare la centrale nucleare di Seabrook a nord di Boston negli Stati Uniti e per protestare contro lo sfruttamento insito nel capitalismo. Per l’occasione, si decise di cucinare un’enorme pentola di zuppa di fronte alla Federal Reserve Bank un giorno in cui si stava svolgendo la riunione degli azionisti. La scelta della zuppa fu una manovra di protesta per affermare come le politiche della banca avrebbero potuto portare a una crisi economica come la Grande Depressione e a dover fare di nuovo la fila per la zuppa.

La scelta della cucina vegetariana/vegana come principio base che esclude ogni forma di sfruttamento dei corpi nasceva dalla prospettiva antispecista del gruppo di attivisti (quindi lotta contro la discriminazione, la fame e la violenza tra specie).

Il movimento oggi conta 200 gruppi attivi in tutto il mondo. Con il passare degli anni, ha trovato adesioni anche in Europa attraverso l’impegno e la partecipazione di piccoli gruppi di volontari. In Italia il Food Not Bombs esiste da circa una decina di anni. La prima esperienza con cui ci interfacciamo si trova a Torino.

Leggi anche: Sprechi alimentari e rifiuti tessili, la posizione dell’Europarlamento

Food Not Bombs a Torino e Padova

Con una cassetta alla mano si passa tra le bancherelle nel mercato di piazza Barcellona e saltuariamente anche a Porta Palazzo a Torino. Fra un saluto e una chiacchiera, viene spiegato ai mercanti cos’è il movimento e di che cosa si occupa con la raccolta. “La quantità di frutta e verdura invenduta e/o ammaccata che viene abbandonata in questi posti è incredibile, ed è ancora più incredibile che per la maggior parte siano tutti alimenti ancora ampiamente commestibili” testimonia Seta del gruppo torinese. “Raccogliamo anche sette casse di cibo invenduto e recuperato al giorno, che poi piliamo e cuciniamo. Altre volte la raccolta avviene all’interno delle fiere ortofrutticole e talvolta nei negozi che accettano di fare donazioni, con una maggior difficoltà nei supermercati quasi inaccessibili, dal momento che gli invenduti vengono chiusi sottochiave in spazi recintati e, talvolta, videosorvegliati”.

Il processo di recupero si avvale del lavoro di Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito, dove il cibo viene lavato e tagliato per essere poi cucinato e distribuito per il centro della città. La distribuzione avviene per strada girando in bicicletta o in macchina a seconda delle condizioni climatiche e del tempo a disposizione.

“Cerchiamo di incoraggiare sentimenti di abbondanza e di unità e favorire la consapevolezza che se cooperassimo diventeremmo tutti più forti”, ci racconta Seta, “perché una buona pratica applicata dal basso può generare il cambiamento, dove ‘l’altro’ è parte integrante di una rete di solidarietà circolare. Alle persone non manca nulla, si tratta di promuovere l’adozione di pratiche già esistenti e di crearne nuove insieme per ri-appropriarsi della cura di sé e dell’altro”.

Spreco alimentare food no bombs 3 Torino
Foto: Facebook, Food no bombs Torino

Il gruppo di Food Not Booms di Padova (il “Cucina Brigante”), nato prima di quello torinese, promuove un progetto di ‘cucina popolare’ per il recupero e la distribuzione della frutta e verdura invenduta. “La mattina presto andiamo al mercato ortofrutticolo nella zona industriale di Padova. Stand su stand chiediamo se hanno materiale da poter recuperare”. È la testimonianza di Julian, il fondatore del gruppo di FNB di Padova. “Spesso conviene anche a loro, invece che buttare la roba ancora in buona condizione, che tu la distribuisca”.

Lo sportello di FNB di Padova è disponibile per tutti. “Non solo persone straniere e bisognose ma anche studenti, professori che vengono a prendere un po’ di frutta sfusa, direttamente dalle cassette del recupero, famiglie intere che prendono chili di cibo, ragazzi che hanno difficoltà tra affitto e disoccupazione”.  Tra chi fruisce del servizio non c’è differenza generazionale né di estrazione sociale, ci racconta Julian. “Le persone che vengono a recuperare il cibo sono di ogni età e si ha l’impressione che potresti ritrovarti ad interfacciarti con chiunque. Lo sportello vive delle interconnessioni con il quartiere popolare così che chiunque stia passando un periodo di isolamento possa trovarvi un momento di contatto umano”.

L’utilità sociale di queste iniziative è emersa con maggiore evidenza nel 2020. Con la pandemia alcune delle opere di solidarietà si sono interrotte, ma questo non ha fermato i ragazzi di FNB le cui visite porta a porta nei quartieri più emarginati hanno sostenuto le famiglie e le persone in difficoltà. Arrivando a distribuire oltre 20 quintali di cibo a settimana, non più per strada ma dentro le case e nel cuore di alcune delle comunità padovane.

Tutto è finalizzato a creare uno spazio comunitario dove agire collettivamente. Le parole del fondatore di FNB di Padova riflettono questa realtà condivisa: “Le persone si sono allontanate dalle campagne. Non ci sono più contadini che coltivano con semi antichi, ma è tutto in mano nelle multinazionali. Per noi di FNB è stato un processo di ritorno alla terra”. E aggiunge: “Cerchiamo di uscire dalla logica della filiera ma sappiamo che per le persone che non riescono ad organizzarsi è molto difficile e devono per forza rassegnarsi al sistema. Grazie alle donazioni meditante l’offerta libera siamo riusciti ad investire anche in progetti rurali”.

Il prossimo passo, spiega ancora Julian, sarà quello di avviare un “CSA” (Comunità di supporto dell’agricoltura). Il CSA nasce come modello di reciproco supporto: le persone si uniscono ed investono collettivamente una determinata quota per finanziare la produzione in un progetto agricolo comunitario, ed in cambio ricavano una certa quantità di cibo in base a quanto pattuito ad inizio anno, condividendo insieme tutti i rischi ed i benefici dell’attività.

Lottare contro l’indifferenza verso il prossimo, l’individualismo assoluto, la solitudine insita nella società dell’uomo-consumatore, e favorire al contempo una pratica aggregativa e collaborativa che aspira, facendo ‘qualcosa insieme’, puntando una collettività più umana e altruista, sono queste le sfide proposte da Food Not Bombs.

Spreco alimentare food no bombs 2 torino

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente

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