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venerdì, Dicembre 13, 2024

Strategia per l’Economia circolare? Miope. Si paga la mancanza di condivisione

Nella Strategia nazionale per l’economia circolare pubblicata dal MiTE è evidente una conoscenza lacunosa e imprecisa del settore dell’usato. Necessaria e urgente una consultazione del settore

Alessandro Giuliani
Alessandro Giuliani
Imprenditore della second hand economy, è founder di una società benefit che si occupa di creare reti (anche in franchising) di negozi dell'usato in conto terzi. Socio fondatore di Rete ONU, è il rappresentante nazionale del comparto conto terzi e portavoce dell'associazione

In questi mesi il MITE sta impostando norme e orientamenti che determinano il futuro del riutilizzo e della preparazione per il riutilizzo in Italia, ossia i pilastri dell’Economia Circolare.

Il MITE ha pubblicato qualche giorno fa il documento di Strategia Nazionale per l’Economia Circolare al quale Rete ONU, la rete nazionale che rappresenta gli operatori dell’usato italiani, vuole portare all’attenzione pubblica delle importanti considerazioni: nelle 159 pagine della Strategia Nazionale per l’Economia Circolare al settore del riutilizzo viene offerto uno spazio marginale.

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Il settore dell’usato

I soci di Rete ONU sono cooperative sociali, rigattieri, negozi in conto terzi, organizzatori di mercati storici e delle pulci, enti di solidarietà, ambulantato debole, tutti operanti nel settore dell’usato.  Un comparto produttivo che conta almeno 50.000 operatori, 80.000 persone impiegate e un volume di scambi in continua crescita.

Nel Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2018, pubblicato da Occhio del Riciclone e Utilitalia, il flusso di beni in perfetto stato che attraversano i Centri di Raccolta è stimato in 600.000 tonnellate annue, ossia un po’ di più della quantità che il settore del riutilizzo riesce già a gestire attualmente (500.000 tonnellate). Questo settore, anche chiamato “settore dell’usato” o “della seconda mano” fattura circa 2 miliardi di euro e, come abbiamo già detto, impiega almeno 80.000 persone. In questo conteggio non sono inclusi né l’online (che si basa sullo scambio peer to peer e che per definizione è informale) né il settore automotive.

Gli ultimi 15 anni hanno visto una grande produzione di letteratura tecnica e scientifica sul settore cui va dedicata la giusta attenzione.

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Scarsa conoscenza del settore

Nella Strategia Nazionale per l’Economia Circolare il MITE afferma, che “le realtà esistenti si situano prevalentemente nell’ambito del no profit e riguardano principalmente attività di intermediazione conto terzi”. In realtà ad una significativa presenza del terzo settore si affianca un’importante e strutturata attività di decine di migliaia di microimprese ambulanti (che nel caso degli indumenti sono integrate a filiere tracciate e strutturate) e di circa 3.000 negozi in conto terzi, perfettamente formalizzati e dotati di software con sistemi di tracciatura e impiega svariate migliaia di addetti. Sia gli ambulanti che i negozi conto terzi sono tradizionalmente attività a conduzione familiare in nessun modo riconducibili alla sfera del non profit.

Le attività no profit si concentrano nel settore dei centri di riuso (con poche centinaia di addetti in tutto il paese) e, più significativamente, nella raccolta dei rifiuti tessili urbani oltre che nell’organizzazione di mercatini dell’usato per hobbisti e di aree di libero scambio, dove coprono circa il 50% del mercato, ma comunque facendo riferimento a filiere gestite e dal mondo profit.

Dunque, le considerazioni riportate nella Strategia Nazionale per l’Economia Circolare ci stupiscono non poco quando considerano “non strutturato” il settore del riutilizzo e non in grado di assorbire gran parte della potenziale offerta. Crediamo al contrario che il settore del riutilizzo sia molto strutturato, considerando che opera in assenza di un quadro normativo certo, in particolar modo per il conto terzi, e che copra e possa coprire in prospettiva tutte le frazioni.

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Preparazione per il riutilizzo 

Gli ambulanti, le botteghe di rigatteria di fascia bassa, le filiere articolate con sbocchi internazionali possono addirittura garantire il massimo recupero e sono già strutturate per la frazione tessile. Per le altre frazioni le filiere estere funzionano in base a flussi prodotti in altri Paesi e non aspettano altro che integrare anche le offerte provenienti dall’Italia.

Il MITE propone quindi delle politiche di riutilizzo che non si basano sulla messa in efficienza e l’incremento dei canali e dei modi di approvvigionamento esistenti, ma sullo sviluppo di centri di riuso comunali da affiancare ai centri di raccolta dei rifiuti urbani.

I Centri di Riuso, in Italia, sono circa un centinaio e coprono una minima parte della realtà del settore.

Sono una realtà già sperimentata che dovrà essere rivista, non tanto nell’ambito della prevenzione e dell’intercettazione di oggetti riutilizzabili, quanto nell’ambito della preparazione per il riutilizzo, che grazie al DLgs 116/2020 è possibile praticare.

I Centri di Riuso che fino ad oggi sono stati gestiti con strumenti inadatti, potrebbero essere messi nelle condizioni di lavorare al livello industriale e di tracciabilità come gli obiettivi ambientali richiedono.

In sintesi: se parliamo di prevenzione, dovremmo parlare del flusso e delle logistiche proprie del settore dell’usato; se invece ci riferiamo alle logistiche dei rifiuti, l’unico strumento corretto ed efficace è la preparazione per il riutilizzo.

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Ignorati dal Ministero della Transizione ecologica 

Queste considerazioni Rete ONU le aveva a suo tempo inviate al MITE: nei documenti finali non ne esiste però alcuna traccia.

Rete ONU, che con 13.000 addetti rappresentati è di gran lunga l’associazione di categoria più rappresentativa per questi temi, non è stata consultata né sui Centri di Riuso, né sulla Preparazione per il Riutilizzo, né per la Strategia Nazionale sull’Economia Circolare.

Esprimiamo l’esigenza di superare questa grave lacuna avviando un dialogo costruttivo con il Ministero, volto ad analizzare le reali potenzialità del settore e condividere con le Istituzioni il consolidato know how di cui gli operatori del riutilizzo in Italia sono portatori

Per completare il contesto, Il MITE sta lavorando alla creazione di schemi di responsabilità estesa del produttore del tessile che però non tengono conto dell’attuale situazione della filiera del recupero. Nel 2019 Rete ONU ha denunciato, presso la commissione ecomafie, che nel settore vige un clima di intimidazione e che gli attentati contro gli operatori onesti sono all’ordine del giorno. Unica realtà settoriale a rappresentare l’intera filiera della raccolta, recupero e riutilizzo del tessile fino al consumatore finale, ed unica realtà ad aver avuto il coraggio di denunciare le infiltrazioni criminali del settore, Rete ONU è stata esclusa tout court dalle consultazioni ministeriali sull’argomento.

Un altro tema molto delicato viene trattato secondo Rete ONU in maniera non adeguata: quello dei beni di maggior valore nel settore del riuso, ovvero la “crema”, la qualità di maggior valore nel flusso dei beni riusabili. I beni di maggior interesse economico con queste indicazioni ministeriali rischiano di essere dispersi tra due gestori, i produttori e i Comuni. Ai primi infatti si propone di lavorare al recupero dei beni in buono stato direttamente nei negozi, ai secondi di scremare nei centri del riuso. La frazione economica maggiormente valorizzabile e che oggi garantisce la sostenibilità del nostro settore, divisa in questo modo, non ha massa sufficiente e gli stock non sono più commercializzabili. Per chi, come noi, distribuisce i beni usati, questo – conclude Giuliani – sarebbe un colpo mortale.

Risulta quindi evidente che sia necessaria e urgente una consultazione del settore dell’usato, che rischia di essere gravemente danneggiato da una strategia miope e non previamente condivisa.

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