La chiamano SPI, acronimo che sta per Sustainable Product Initiative, e, da quanto trapela da Bruxelles, entrerà in vigore dal prossimo marzo per ampliare un quadro legislativo che, con la vecchia direttiva sulla progettazione ecocompatibile (The Ecodesign Directive, 2009), riguardava solamente requisiti minimi obbligatori per l’efficienza energetica di alcuni prodotti.
È chiaro che bisogna guardare oltre, non solo all’efficienza energetica: dalle regole sulla responsabilità estesa del produttore con requisiti minimi sulla sostenibilità del prodotto, fino alle norme sull’etichettatura e sulla misurazione dei processi di produzione dei materiali e prodotti. L’iniziativa metto sotto la lente di ingrandimento settori come l’elettronica e il tessile, ma soprattutto prodotti ad alto impatto ambientale come acciaio, cemento e prodotti chimici.
Come afferma William Neale, consigliere per l’economia circolare alla Commissione Europea, al webinar The EU’s Sustainable Product Initiative and producer ownership models, l’ecodesign è il concetto chiave che in qualche modo rivoluzionerà il nostro modo di fare business; efficiente sotto il profilo delle risorse e circolare. “Espanderemo la direttiva sull’ecodesign a tutti i prodotti in commercio che dovranno soddisfare requisiti minimi per essere venduti o prodotti in Europa. La proposta include requisiti fisici ma anche digitali, ecco perché il passaporto digitale per i prodotti diventerà fondamentale”.
Neale parla di tre fasi nelle quali un modello circolare può intervenire per migliorare il valore dei materiali. “La prima riguarda il flusso di materiali che entrano in circolo (efficienza di risorse, simbiosi tra le aziende, ecc..). Successivamente entra in gioca la fase di utilizzo che riguarda l’estensione del ciclo vita dei prodotti. L’ultima fase prende in considerazione l’uscita del materiale dal sistema e il tentativo di buttare via il minor materiale possibile (riutilizzo, riparazione e gestione rifiuti). Credo che l’ecodesign, concetto chiave sull’iniziativa per i prodotti sostenibili, abbia un grande influenza su tutti e tre i processi appena citati”.
Il reale successo di questo pacchetto circolare dipenderà molto dalla trasparenza nel riportare i dati, dall’efficacia del passaporto digitale per i prodotti e dalla market surveillance, attraverso cui le autorità nazionali verificheranno se i prodotti venduti nell’UE rispettano i requisiti stabiliti dalle normative sulla progettazione ecocompatibile e sull’etichettatura energetica. “Credo che al momento le principali barriere sono gli scarsi incentivi economici – spiega Neale – perchè se le aziende non vedono particolari benefici nel progettare meglio un prodotto non lo fanno. Insieme a ciò ci sono le difficoltà organizzative nella supply chain, dal momento che la maggior parte dei dati a monte sono persi”.
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Il regime di proprietà del produttore
Come soluzione per implementare i buoni propositi dell’iniziativa, durante il webinar si è parlato di regimi di proprietà del produttore, concetto che va oltre la responsabilità estesa del produttore. Questi regimi provvedono a incentivare e regolamentare l’operato di produttori affinchè diventino i proprietari dei loro prodotti anche dopo il loro utilizzo da parte del cliente. Questa proprietà si traduce sì in responsabilità, ma anche opportunità per il produttore di risparmiare sul continuo acquisto di nuovi materiali e ridurre il consumo di risorse. “Uno dei modi per promuovere questo regime di proprietà sarebbe inserirlo negli appalti pubblici per esempio – dice Marleena Ahonen, circular economy specialist di Sitra -, i modelli del “prodotto come servizio” aiuteranno i produttori a concentrarsi finalmente su una progettazione ragionata che porti a una estensione del ciclo vito del prodotto e a ridurre l’impatto ambientale totale”.
Secondo le stime del VTT Tecnhical Research center finlandese, le emissioni degli smartphone potrebbero essere ridotte del 30% semplicemente allungando la vita del device di un anno. Un risparmio che arriva al 44% allungandola a 21 mesi, fornendo al cliente gli strumenti necessari alla riparazione oppure offrendo servizi di ricondizionamento. Come l’elettronica, anche il settore tessile ha il potenziale per intraprendere un percorso di regime di proprietà, offrendo soluzione come il leasing su alcuni capi che si utilizzano solo in determinate stagioni.
Questi modelli product-as-service non solo riducono l’impatto ambientale, ma possono abbassare del 39% i costi totali del possesso di un bene. Questa transizione da un’economia di proprietà verso una di condivisione (sharing) e di sfruttamento di servizi è fondamentale per decarbonizzare l’economia e rappresenta uno dei nuclei principali dell’economia circolare.
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Le realtà virtuose in Finlandia
Sitra, l’organizzatrice dell’evento e promotrice di soluzione a regime di proprietà, è stata una delle prime realtà a lavorare sulle promettenti opportunità che l’economia circolare può offrire. Nel 2015 hanno progettato la prima road map nazionale sulla circular economy. Un loro studio del 2018 ha dimostrato come soluzioni circolari nei settori della plastica, dell’alluminio e del cemento possono ridurre del 56% le emissioni di anidride carbonica per la produzione di questi materiali.
In Finlandia da questo punto di vista si stanno sviluppando diverse realtà circolari. Lidnstrom per esempio progetta e produce tessuti secondo le necessità delle aziende al fine di renderli più durevoli possibili. Dal design al riutilizzo del tessile, questo permette di ridurre il sovraconsumo attuale delle risorse.
L’azienda finlandese di elettronica 3stepIt, invece, offre servizi di leasing per computer. “Come il nostro nome suggerisce, siamo coinvolti in tre fasi della vita del device – ha detto Mika Enberg, manager director di 3stepIt – Vogliamo aiutare i clienti a trovare il giusto apparecchio elettronico, monitorare il suo utilizzo e infine assicurarci che rientri in circolo. La produzione di cellullari, computer e tablet consuma troppe risorse e per la nostra azienda è fondamentale assicurarsi che il loro ciclo di vita sia il più lungo possibile. Questo riduce del 40% l’impronta carbonica del device.”
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