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lunedì, Dicembre 16, 2024

T12LAB, LA RICOSTRUZIONE DEL PUZZLE

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Redazione EconomiaCircolare.com
[di Donatella Pavan]
T12LAB, la ricostruzione del puzzle: una storia di spazzatura, emarginazione e disabilità, trasformate in opportunità grazie ad un cambio di prospettiva, umana e professionale


Sinossi

“Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato diceva Einstein”. Bisogna capovolgere la prospettiva. E’ lavorando sul capovolgimento del punto di vista che l’associazione T12LAB è riuscita a combinare felicemente rifiuti e disabilità acustica, discarica e design, emarginazione e creatività. Tutto è iniziato nel 2014 quando ha iniziato a  guardare alla Milano Design Week come ad un’occasione nella quale reperire materiali di qualità e trasformarli in pezzi unici di design nel corso di workshop dall’energia pirotecnica.

Questa è la storia di T12LAB, associazione che trasforma materiali e persone dimenticati in risorse. Così come la malattia è un segnale che il corpo ci lancia per segnalare un problema e invitarci a risolverlo, l’economia circolare può essere concepita come un gioco, dove l’abilità sta nell’avere delle visioni e individuare la soluzione laddove sembra non ce ne siano affatto.

La bonifica di un sito inquinato può creare occupazione e dare lavoro a soggetti fragili e a migranti ambientali, una gestione circolare dei rifiuti può ridurre l’estrazione delle risorse e contribuire a eliminare le discariche anche grazie al lavoro di chi  si sente solo perché disabile o emarginato. Sono molte le fasi del gioco al quale si può partecipare, separatamente o contemporaneamente, c’è quella della prevenzione, quella del riuso e della preparazione al riutilizzo e quella ben più nota e  numericamente significativa del riciclo. O, ancora, quello dell’upcycling, che connota il processo creativo che trasforma prodotti/materiali di scarto in nuovi “prodotti/oggetti” di maggior valore. Concetto precisato per la prima volta nell’ottobre 1994 nella rivista di architettura ed antichità Salvo, da Reiner Pilzer, ingegnere meccanico, che nel corso di un’intervista precisa: “Recycling, I call it down-cycling. They smash bricks, they smash everything. What we need is up-cycling, where old products are given more value, not less , “, Il riciclo io lo chiamo down-cycling. Quello che ci serve è l’up-cycling, grazie al quale ai vecchi prodotti viene dato un valore maggiore, e non minore”. E’ in questo ambito che si colloca la storia di T12LAB, nata per “realizzare progetti inclusivi che coinvolgano differenti etnie, territori, culture, producendo nuove ecologie urbane”. Come recita il suo statuto. 

INCIPIT

Tutto parte all’inizio del 2014, Elisabetta Bianchessi, architetto e paesaggista, di fronte allo stagnamento del mercato del lavoro decide assieme a Luca Callegari e Dominique Signoroni Kuroyanagi di usare la Milan Design Week, momento di euforia della città, ma anche fonte di enormi sprechi, come banco di sperimentazione. Elisabetta Bianchessi coinvolge una decina di studenti – ricontattando Naba, la Nuova Accademia di Belle Arti dove ha insegnato sino al 2013 – per recuperare alcuni degli scarti di questa mastodontica kermesse e trasformarli in oggetti di design. “Tutto è nato dalla crisi economica che abbiamo avuto – dice Elisabetta – dalla volontà di dare una risposta partendo dagli scarti che gli altri buttavano e che noi abbiamo iniziato a considerare risorse, capovolgendo il punto di vista. Cosi come è stato poi con le persone, gli scarti sociali, i sordi e i migranti, che per definizione sono esclusi dal mercato del lavoro”.

LA LEZIONE AFRICANA

Il seme è stato gettato, poco dopo, sempre a Milano, nel cuore di via Padova, la zona più multietnica della città, Elisabetta, Luca  e Dominique, con l’aggiunta di Susanna Ravelli (project manager) fondano l’associazione T12LAB, acronimo di via dei Transiti 12.

L’obbiettivo? Coinvolgere differenti professionalità per realizzare progetti di rigenerazione urbana – spazio pubblico –, design sociale con le comunità locali, le amministrazioni; realizzare laboratori di formazione-lavoro per categorie svantaggiate e persone fragili nell’ambito del design sociale; sperimentare nuove metodologie progettuali, con aziende leader nel product design, che siano ecologicamente sostenibili.

L’oggetto dell’attività? Coinvolgere le categorie svantaggiate per trasformare gli scarti in pezzi unici, così come in Africa avviene ad ogni angolo di strada. Una lezione che Elisabetta ha imparato sul posto quando lavorava (e lavora) con la ong Liveinslums nelle megalopoli africane. “E’ una prassi quotidiana, la normalità” dice “ loro recuperano tutto quello che noi occidentali consideriamo scarti e li portiamo in Africa”.

CRISI ECONOMICA, MATERIALI SCARTO, DISABILITà UDITIVA

Visione e capovolgimento della prospettiva e i problemi si trasformano in opportunità. Se in Africa i materiali di scarto si trovano ovunque, in Italia, a Milano, bisogna organizzarsi, ci pensa Luca Callegari, fa l’architetto d’interni, lavora con diverse aziende di design e non ha difficoltà a farsi donare i materiali avanzati. Bisogna comporre il pezzo di puzzle che riguarda l’impiego di persone svantaggiate che voglia imparare un mestiere.

La rete degli studenti legata ad Elisabetta serve per un pezzo dell’attività, quella di formare dei designer capaci di progettare partendo dall’esistente, mancano le persone in cerca di formazione. La soluzione arriva da Martina Gerosa, architetto urbanista, affetta da un’ipoacusia grave e profonda, ma anche di una vitalità senza confini. E’ lei che introduce T12LAB nel Pio Istituto dei Sordi, istituzione che dal 1854 sostiene e avvia al lavoro ragazzi con disabilità uditive. Un incontro felice, il solido legame tra sordi e industria manifatturiera lombarda ha visto formarsi falegnami capaci, bravi tessitori, ottimi fabbri, rilegatori e molto altro. Forse in virtù della concentrazione che consente il silenzio.

LA RICOMPOSIZIONE DEL PUZZLE

I pezzi del puzzle ci sono tutti. Decidono di partecipare al Fuorisalone 2015 con un progetto pirotecnico, animato che dal designer maliano Sidiki Traoré. Con lui organizzano un happening dove presentare Puzzle Table, l’oggetto della ricostruzione, una linea di tavoli a incastro fatti con materiali di recupero, nata da un travolgente workshop dove ogni scarto trova il proprio senso. Tutti al lavoro, studenti sordi e non, avventori dell’ultimo minuto e tutti quelli che desiderano partecipare. ““Abbiamo realizzato con gli studenti una serie di tavoli di diverse forme e dimensioni, tutto dipendeva dai pezzi di scarto che avevamo ( legno e ferro ), come montarli si decideva insieme, in piccoli gruppi. Tutto nasceva dallo scarto mai da un’idea precostituita. Poi si prendevano i pezzi e si saldavano e si montavano con l’aiuto di Sidiki Traoré e di altri tutor. Un’esperienza vitale piena d’energia positiva”. Continua Elisabetta: “ Con lui è iniziata a svilupparsi questa metodologia di lavoro, assieme a un gruppo di studenti di design della Naba e alcuni studenti sordi. I materiali li abbiamo recuperati dalle aziende del mobile della Brianza, aziende che vendono i mobili per molti migliaia di euro durante la Design Week, sono materiali pregiati, c’è li hanno donati”.

L’associazione è partita, iniziano ad organizzare corsi di formazione gratuiti aperti a tutti e finalizzati a dei singoli progetti. Gli scarti vengono salvati e trasformati in oggetti di qualità dove nulla è lasciato al caso, le persone emarginate ritrovano un loro senso nella società e acquisiscono un mestiere.

LA RI-APERTURA DEL PIO ISTITUTO DEI SORDI

Il gioco è fatto, nel 2016 in occasione del Fuorisalone del Mobile dopo trent’anni viene riaperto il Parco del Pio Istituto dei Sordi di Via Jesi, dove T12LAB, usando esclusivamente “rastrelli, forbici, pale e cariole, senza alcun intervento meccanico, crea qua è la piccole stanze circolari tra gli alberi, stanze sospese, del pensiero, dove inserire degli oggetti di design relazionale, che permettono di ricreare nuove relazioni tra le persone e la natura. “ Dei veri e propri giochi inventati lavorando quel che c’era a disposizione, dagli specchi delle moto ai barili di carburante, che interagiscono con l’ambiente circostante. Finito il Salone del Mobile, questo giardino segreto viene chiuso e riaperto l’anno successivo, in modo ciclico, attraverso un appuntamento annuale che si rinnova. Quello che continua, tutti i giorni è il lavoro con i ragazzi sordi, che come è stato dimostrato in quasi due secoli di testimonianze scritte presenti al Pio Istituto dei sordi, sono degli abilissimi artigiani.

FORMAZIONE, FONTI DI SUSSITENZA E RECUPERO DEI MESTIERI

La domanda che sorge spontanea è: di cosa vivono? Vivono di bandi, di donazioni – in solido e di materiali – e di vendita dei pezzi che creano. In questo modo insegnano un mestiere a chi non ce l’ha sotto la guida di professionisti, con due vantaggi, da un lato rafforzano le fila degli artigiani, oggi sempre più rari, dall’altro formano delle persone in grado di lavorare quello che c’è a disposizione in modo professionale. Una competenza oggi sempre più rara proprio perché in contrasto con la società dei consumi usa e getta nella quale viviamo.

Eppure l’upcycling, come pure la manutenzione e la riparazione dell’esistente, può contribuire a ridurre il gap esistente tra quanto viene messo al consumo e quanto viene recuperato e quanto viene recuperato – secondo la Ellen McArthur Foundation il 60% dei materiali che entrano in cicli di produzione vengono poi mandati in discarica o inceneriti – e, al tempo stesso, dare a lavoro al sempre più folto numero di persone in cerca di un impiego, dalle categorie svantaggiate ai migranti.  L’upcycling, come la riparazione, offre nuove opportunità imprenditoriali e di creazione di posti di lavoro ed è proprio su questo terreno che si stanno muovendo molte imprese sociali o ne stanno nascendo di nuove che, proprio in ragione della leadership italiana sul tema design nel mondo ha la potenzialità per diventare un’asse di sviluppo importante dell’economia circolare nazionale. Soprattutto se verranno varate delle normative che defiscalizzino il lavoro di chi contribuisce a ridurre i rifiuti e che facilitino il recupero dei materiali di qualità, non pericolosi.

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