Più ricchi ci saranno da qui al 2050 meno sarà possibile abbattere le emissioni: è la proporzione che regge lo studio, pubblicato sulla rivista Science Direct dai ricercatori Stefan Gossling e Andreas Humpe, che sta facendo discutere a livello internazionale ma che in Italia è passato sotto traccia. Nel proprio studio Gossling e Humpe, che lavorano presso le università di Kalmar (Svezia) e Monaco (Germania), affermano che “le possibilità di modificare le traiettorie delle emissioni verso lo zero netto nei prossimi 30 anni sono molto limitate, se la crescita dei milionari e dei loro modelli di emissione continua”.
Senza voler suggerire approcci troppo ampi di politiche nazionali e globali – d’altra parte le stesse COP continuano a rivelarsi insoddisfacenti – Gossling e Humpe fanno notare che la loro ricerca “conferma che sarà fondamentale puntare sui grandi emettitori: rimanere entro i limiti di temperatura di 1,5◦ C o di 2,0◦ C è difficile senza affrontare le conseguenze della crescita della ricchezza”.
Certo, è innegabile che le persone più facoltose sembrano aver preso a cuore, almeno a parole, la crisi climatica. Per affrontarla, però, non intendono rinunciare ai propri privilegi ma tentano di convincere politica e opinione pubblica sulla bontà delle tecnologie che potrebbero ridurre le emissioni – dalla cattura e stoccaggio di carbonio ai biocarburanti fino all’eterno ritorno dell’energia nucleare.
Ipotesi che vengono pure vagliate dai due ricercatori nello studio pubblicato su Science Direct, e sulle quali torneremo alla fine.
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Le diseguaglianze nelle emissioni
È generalmente noto che i ricchi contribuiscono in modo sproporzionato alle emissioni di gas serra derivanti dalla combustione di combustibili fossili, poiché il reddito e la proprietà di beni sono strettamente correlati alle emissioni. Secondo le ultime stime, diffuse dal World Inequality Database, il 10% della popolazione più ricca emette da sola il 50% dell’anidride carbonica a livello globale. Una sproporzione che aumenta ulteriormente se si pensa che l’1% della popolazione, i cosiddetti milionari e ultramilionari, da sola emette il 17% della Co2 mondiale. “Tra i fattori chiave delle emissioni individuali vi sono i trasporti ad alta intensità energetica, in particolare aerei e yacht privati, e la proprietà di più immobili, spesso in continenti diversi” si ricorda nella ricerca. E se su EconomiaCircolare.com abbiamo affrontato il tema dei jet privati, Gossling e Humpe ci ricordano che “la più grande fonte di emissioni individuali è tuttavia rappresentata dagli yacht”.
Se è vero che, secondo le stime delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale dovrebbe arrivare a 10 miliardi di persone nel 2050, è innegabile che si tratterà di un aumento di persone di medio e basso reddito. Ciò a cui si deve invece guardare, invece, secondo i due ricercatori, è l’aumento della ricchezza e, dunque, il proporzionale aumento delle emissioni. “È ormai assodato che esiste una disuguaglianza globale nelle emissioni – scrivono i due ricercatori – ma le implicazioni della distribuzione e della crescita della ricchezza nei prossimi 30 anni non sono sufficientemente comprese. Le emissioni dovranno scendere a zero entro la metà del secolo per rimanere entro 1,5◦ C di riscaldamento, mentre il numero di milionari e il loro consumo di energia continueranno a crescere. L’obiettivo di questo documento si propone di stimare in che modo l’aumento del numero di milionari influirà sulla crescita delle emissioni globali e di determinare l’impatto sul restante bilancio del carbonio”.
Andiamo a vedere come.
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Uno stile di vita che è contro la vita sul pianeta
Difficile spiegare i calcoli che i due ricercatori Gossling e Humpe hanno elaborato per calcolare le proiezioni di emissioni dei milionari. Basti dire che si tratta di stime accurate che tengono conto anche dell’attuale inflazione, con l’aggiunta che “se il tasso di inflazione dovesse rimanere elevato, il numero di milionari aumenterebbe più rapidamente di quanto previsto”.
In più “i dati del settore confermano la continua crescita di queste forme di consumo legate alla ricchezza. Ad esempio, ci sono stati 5245 superyacht di lunghezza compresa tra 30 e 180 metri nel 2021, un aumento di cinque volte rispetto ai 1090 yacht del 1990 (vi sono inoltre prove che l’accumulo di ricchezza provoca il trasporto aereo privato a tassi di crescita superiori a quelli dell’aviazione commerciale)”. Bastano questi semplici numeri a far comprendere i motivi per i quali i ricchi del Pianeta sono coloro che più di tutti insistono sulla tecnologia come unico strumento per affrontare la crisi climatica, utilizzando la leva dell’innovazione come salvaguardia di uno stile di vita che va contro la vita del pianeta. A tal proposito sono fondamentali le conclusioni a cui giungono nel proprio studio Gossling e Humpe.
“Appare evidente – scrivono – che senza politiche che impongano un cambiamento, tra cui una riduzione dell’uso di energia e una transizione verso l’uso di energie rinnovabili da parte dei più abbienti, è difficile vedere come il riscaldamento globale possa rimanere entro soglie critiche. Sebbene le politiche che limitano i grandi emittenti siano inevitabili, come le tasse progressive sulle emissioni, esse sono ostacolate da tre barriere consecutive. La prima barriera è la consapevolezza stessa dei politici che i ricchi devono essere limitati nel loro uso di energia e guidati nelle loro decisioni di investimento. Nella maggior parte dei Paesi, l’accumulo di ricchezza continua a essere considerato auspicabile e benefico per la crescita economica complessiva. La seconda barriera è rappresentata da ambienti politici sempre più polarizzati, in cui le politiche di mitigazione non possono essere proposte, né tantomeno attuate”.
“In molti Paesi che in passato si sono presentati come campioni del cambiamento climatico, è in corso un’inversione di rotta rispetto alle politiche precedenti (ad esempio, la Svezia) e anche laddove la governance del clima ha fatto progressi, non è chiaro se questa legislazione sarà duratura (ad esempio, gli Stati Uniti). Infine, un terzo ostacolo è rappresentato da progetti di politiche che riducano in modo affidabile le emissioni ai vertici. Le discussioni sulle persone più ricche che contribuiscono a emissioni particolarmente elevate hanno avuto grande risalto nei media globali, ma ci sono meno prove che i politici abbiano affrontato la questione in modo sistematico e che siano andati oltre le misure basate sul mercato, come gli aumenti comparabilmente piccoli delle tasse sul carbonio. Affrontare il problema delle persone molto ricche sarà quindi un’impresa complessa”.
Ma che deve essere affrontata, aggiungiamo noi: ne va della salvaguardia del Pianeta e di chi lo vive, a prescindere dal reddito.
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