Lo studio diffuso dall’ong statunitense The Pew Charitable Trust e dalla benefit corporation inglese SYSTEMIQ, intitolato Breaking the plastics wave, non lascia spazio a dubbi: nei prossimi anni la prospettiva è un raddoppio del volume di plastica nel mercato e il triplicarsi dei volumi annuali di plastica negli oceani entro il 2040. Agire ora diventa dunque imperativo. Per invertire la rotta il prima possibile, la Fondazione Ellen MacArthur insieme al programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) ha deciso di definire una visione comune da condividere con governi, aziende e organizzazioni per frenare le conseguenze dell’inquinamento e dei rifiuti in plastica entro il 2025. Dal 2018, chiunque abbia voglia di mettersi in gioco verso una transizione circolare ha la possibilità di unirsi al New Plastic Economy Global Commitment che in questi primi anni di vita ha come focus principale gli imballaggi. Dall’eliminazione delle confezioni in plastica non necessarie, all’innovazione per imballaggi riutilizzabili, riciclabili e compostabili, alla circolarità di tutto ciò che viene immesso nell’economia, l’accordo globale a cui partecipano ormai più di 500 organizzazioni vuole stabilire una visione comune per una economia circolare della plastica.
Secondo l’ultimo report sui progressi del progetto si viaggia su due carreggiate. Da una parte ci sono segnali positivi per quanto riguarda l’utilizzo di materiali riciclati negli imballaggi in plastica e l’allontanamento da categorie di imballaggi problematici (PVC, PS, buste plastica e cannucce monouso), mentre non ci sono significativi progressi nella riciclabilità degli imballaggi, nella riduzione dell’uso di plastica monouso e nell’eliminazione generale di imballaggi in plastica. Quello che la Fondazione vuole mettere in chiaro è che la strada è ancora lunga e gli sforzi fatti fino ad ora non sono sufficienti a raggiungere gli obiettivi prefissati entro il 2025. Le oltre 250 aziende, 200 istituzioni sostenitrici e 20 governi devono fare di più. La Fondazione ha inoltre pubblicato una guida alle soluzioni per la lotta all’inquinamento da plastica, quelle strategie che possono dare una spinta a un’economia circolare degli imballaggi e supporto agli stessi firmatari del Global Commitment. Ciò su cui la Fondazione Ellen MacArthur vuole accendere i riflettori sono le innovazioni upstream, ovvero quelle a monte dell’inquinamento, quindi prevenire la produzione di rifiuti per prima cosa. Gli addetti ai lavori sono chiamati a focalizzare le proprie forze sul “ripensare non solo all’imballaggio stesso, ma anche al prodotto e al modello di business, per identificare nuovi modi per fornire valore agli utilizzatori, mentre si elimina il rifiuto” commentano gli autori del Upstream Innovation: A guide to packaging solutions della Fondazione Ellen MacArthur.
Puntare sull’innovazione
Sono tre le strategie innovative introdotte dalla guida alla base del concetto di innovazioni upstream: l’eliminazione, il riuso e la circolazione dei materiali, tutte legate al mondo degli imballaggi. Con la strategia dell’eliminazione si fa riferimento alla rimozione dal sistema di imballaggi o componenti non necessari, o l’introduzione di imballaggi commestibili o solubili che non necessitano di trattamento a fine uso. In questo modo si vuole eliminare l’imballaggio, migliorando o mantenendo allo stesso livello l’esperienza del consumatore. Un primo approccio definito ‘diretto’ si ha nel caso di imballaggi che non svolgono una funzione essenziale, quindi quando eliminare l’imballaggio non crea nessuna perdita di valore nel prodotto poiché non è necessario. Esempi sono la rimozione da prodotti come succhi, bevande e legumi in scatola venduti in multipack di confezioni secondarie non necessarie, o l’eliminazione di pellicole superflue da profumi, abbigliamento o biglietti di auguri. In altri casi però l’imballaggio svolge una funzione essenziale e l’opzione è eliminarla con l’innovazione, quindi utilizzare delle soluzioni che ricoprano la stessa funzione ma con basse conseguenze per l’ambiente. Gli esempi più conosciuti sono gli imballaggi commestibili o solubili, o semplicemente i prodotti solidi a sostituzione di quelli liquidi. Tra le idee innovative esistenti quella di NOTPLA, start-up di imballaggi sostenibili, è sicuramente una delle più interessanti: immagina di correre una maratona e rifornirti di acqua tramite una capsula con involucro di alghe commestibile. Ma non solo, le capsule Ooho sono formulate anche per racchiudere condimenti per i tuoi pasti d’asporto e poi essere compostate, senza alcuna necessità di imballaggi in plastica.
Una seconda strategia per ripensare agli imballaggi, al prodotto e al modello di business è il riuso degli imballaggi. Riutilizzare significa andare oltre il singolo uso dell’imballaggio per la stessa funzione, non solo come soluzione all’inquinamento da plastica ma anche per creare benefici aziendali (fidelizzazione, riduzione costi, ottimizzazione operazioni ecc.) e valore sia per il produttore che per il consumatore. Con una pandemia ancora in corso sembra che il termine riutilizzo non sia in accordo con le norme di sicurezza e igiene in vigore, ma questo non è affatto vero. Che sia imballaggio monouso o riutilizzabile, la parola d’ordine è igiene. Per questo motivo professionisti nel campo della salute pubblica e la Commissione Europea hanno stabilito la totale sicurezza nell’uso di imballaggi riutilizzabili durante la pandemia, a seguito delle consuete regole di igiene. Sono quattro i modelli di riuso che possiamo tenere in considerazione, due legate a una politica di ricarica dei propri contenitori e due alle strategie di ritorno dell’imballaggio.
Infatti esistono nel mondo servizi di cui i clienti possono usufruire direttamente da casa per il rifornimento di prodotti tramite i propri contenitori riutilizzabili o per il ritiro di imballaggi vuoti. Il cosiddetto vuoto a rendere è possibile anche in negozi che aderiscono a questa politica e ovviamente è sempre possibile trovare nella propria città negozi che vendono prodotti sfusi. Parliamo di strategie dove il consumatore è protagonista e può detenere la proprietà dell’imballaggio ma avere anche la responsabilità di mantenerlo in buone condizioni per permettere il riutilizzo. I produttori devono mettere i consumatori nelle condizioni di poter usufruire della politica di riuso, e nel caso del vuoto a rendere saranno responsabile del mantenimento e della ridistribuzione dell’imballaggio. Oltre ai modelli business-to-consumer (B2C) ne esistono anche di business-to-business (B2B) dove a essere coinvolti nello scambio di imballaggi sono le imprese. In questo caso, ad esempio, il fornitore può riutilizzare l’imballaggio di trasporto della sua merce che viene restituito dai rivenditori che hanno ricevuto la merce. L’imballaggio non ha necessariamente un vita infinita, quindi nel caso in cui non riesce più a svolgere la sua funzione la soluzione è far si che il materiale di cui è composto continui a circolare nell’economia. Questo è alla base del concetto di circolazione del materiale, terza strategia della guida della Fondazione Ellen MacArthur.
Il migliore imballaggio è quello che non si produce
Ma in una concezione circolare l’innovazione a monte è basilare: la fase di progettazione e la scelta dei materiali è cruciale per permettere all’imballaggio in plastica di poter essere riciclato o compostato in maniera pratica e economica. A questo è necessario ovviamente affiancare una gestione e trattamento a fine vita dell’imballaggio che permetta al materiale di rimanere intatto e mantenere il proprio valore per la sua circolazione nel sistema. Oltre al riciclo e al compostaggio, c’è anche la possibilità di riflettere a monte sulla sostituzione degli imballaggi in plastica con altri imballaggi non in plastica che a fine vita possono essere facilmente reimmessi nell’economia. Secondo la guida “con l’innovazioni upstream, c’è l’opportunità di ripensare quale è il materiale da imballaggio più appropriato per una certa applicazione per così raggiungere un miglior risultato sistemico”. La scelta di sostituire la plastica con altri materiali non può essere però casuale, ma per essere una soluzione circolare deve considerare molti altri aspetti come la disponibilità del materiale sostituto, il suo trasporto e la presenza di sistemi di raccolta e gestione adatti nell’area geografica di interesse.
La guida della Fondazione suggerisce anche cinque ‘ingredienti’ chiave per portare avanti dei processi innovativi upstream di successo. Per prima cosa, una chiara comunicazione sulla visione e gli obiettivi dell’azienda in chiave circolare, e da esempio sono le aziende, organizzazioni e governi che hanno aderito al New Plastic Economy Global Commitment. Un secondo elemento da tenere in considerazione è la creazione di una vera e propria cultura aziendale che possa coinvolgere tutti i dipendenti. E’ importante inoltre portare all’interno dell’impresa tutte le competenze necessarie al processo di innovazione, istituendo delle partnership che colmino le mancanze in termini di conoscenze e abilità. Per mettere in piedi una macchina di successo di innovazioni upstream è inoltre necessario avere dei gruppi di lavoro interni efficienti e competenti, e un processo ben finanziato che possa resistere alle incertezze del sistema e alle lunghe tempistiche di una trasformazione così importante.
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