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domenica, Dicembre 1, 2024

“L’economia circolare ha bisogno di una visione utopica”. Colloquio con Cillian Lohan (Cese)

Dal Next Generation EU al Piano d’azione europeo per l’economia circolare, dai paradossi del concetto di circolarità alle idee di cambiamento: intervista a 360° con Cillian Lohan, membro di una delle più importanti istituzioni consultive comunitarie e promotore della Piattaforma europea degli attori dell’economia circolare

Alexander Damiano Ricci
Alexander Damiano Ricci
Autore freelance italiano, nato in Germania. Ha pubblicato reportage, interviste e articoli di analisi su testate nazionali e internazionali. Si occupa principalmente di politica europea. Dal 2018 collabora con l'agenzia di produzione podcast, Bulle Media, e con il progetto di giornalismo dei dati, European Data Journalism Network (EDJNet). Alexander è un web-editor di Cafébabel.com.

Cillian Lohan è il nuovo vice-presidente responsabile per la comunicazione del Comitato economico e sociale europeo (Cese). Nato e cresciuto in Irlanda, Lohan ha una lunga esperienza nell’economia verde, fronte società civile. Oltre al nuovo ruolo presso il Cese, è infatti anche amministratore delegato della Green Economy Foundation.  Il Cese è una delle istituzioni consultive dell’Unione europea. Il Comitato prepara opinioni e pareri all’attenzione – e su richiesta – della Commissione, del Parlamento e del Consiglio europeo, esponendo gli interessi e le prospettive delle tre categorie socioeconomiche che rappresenta: sindacati, organizzazioni datoriali e terzo settore. Una delle iniziative più recenti e importanti portate avanti dal CESE in collaborazione con la Commissione europea, e inerenti l’economia circolare, è stata la costituzione, nel 2017, della Piattaforma europea degli attori dell’economia circolare, la Circular Economy Stakeholder Platform. Cillian Lohan è stato uno dei promotori della piattaforma, che ha come obiettivo accelerare la transizione verso un’economia circolare attraverso lo scambio di idee e buone pratiche tra imprese, ong, istituti di ricerca e istituzioni.

Da sapere

Il nuovo Piano d’azione della Commissione europea è stato presentato l’11 marzo del 2020 e si iscrive nel più ampio progetto del Green Deal per l’Europa (scheda informativa da scaricare). Il nuovo Piano d’azione prevede l’approvazione, a livello europeo, di 35 misure entro il 2023 (vedi Annex). Il nuovo Piano d’azione rappresenta la continuazione del primo Piano d’azione, approvato nel 2015 e composto da 54 misure legislative.

Il Rapporto OECD sull’economia circolare nelle città e regioni è stato pubblicato il 28 ottobre 2020. L’analisi si basa sui dati raccolti in 51 città e regioni che hanno contribuito al Sondaggio dell’OECD sull’economia circolare nelle città e regioni, da un lato, e sui risultati dei Dialoghi sulle politiche pubbliche sull’economia circolare che si sono svolti a Groningen (Paesi Bassi), Umeå (Svezia), Valladolid e Granada (Spagna), Glasgow (Scozia, Regno Unito) e Irlanda. Lo studio propone un compendio di buone pratiche, ostacoli e opportunità inerenti l’economia circolare, analizzati attraverso la lente analitica delle “tre P”: cittadini (people), politiche pubbliche (policy) e luoghi (places). Il rapporto propone anche una checklist e raccomandazioni utili all’implementazione di misure di governance in città e regioni che non hanno fatto parte del progetto ma che desiderano operare una transizione verso l’economia circolare  (scheda informativa).

Mister Lohan, come possiamo assicurare che l’economia circolare sia posta con efficacia al centro del programma Next Generation EU, il pacchetto per la ripresa dal Covid-19?

Se si guarda alla scomposizione degli strumenti di finanziamento del Next Generation EU, si può notare come l’economia circolare giochi già un ruolo centrale. Per esempio, c’è il fondo per la giusta transizione – un volano per la transizione verso un’economia a basso consumo di carbone attraverso la produzione di energia rinnovabile – e il fondo per lo sviluppo rurale, il quale è legato alla circolarità dell’economia biologica.

Quindi tutto bene?

No. In gergo di Bruxelles, la grande sfida per l’economia circolare rimane quella di abbattere le barriere (“break the silos”, tda.) tra i diversi meccanismi di finanziamento pubblici e uffici della Commissione.

Ci sono segnali positivi? Ci stiamo muovendo in questa direzione?

La Commissione europea ha cominciato a far comunicare le differenti DG, il che è un passo importante. E anche i membri della Circular Economy Stakeholder Platform stanno cercando di abbattere queste barriere burocratiche in qualche modo.

Quindi il cambiamento è in atto?

Beh, credo che sia un cambiamento lento e graduale a livello burocratico. Ma ci sono molti ufficiali dentro la Commissione europea che stanno lavorando in maniera dinamica. Cercano di tagliare le linee di separazione, perché capiscono che tutto questo è fondamentale per l’idea di circolarità.

Basta l’azione della Commissione europea per trasformare l’Europa in un’economia circolare, secondo lei?

Dobbiamo essere chiari su questo punto. L’economia circolare implica un modo completamente diverso di organizzare i nostri sistemi economici e di produzione. Si tratta di un cambiamento imponente. Le istituzioni devono comprendere che ci sarà sempre più bisogno della collaborazione di attori meno tradizionali.

È innegabile che, in un certo senso, l’Europa abbia spinto sull’acceleratore: entro il 2023, ci sono 35 misure legislative da approvare nel quadro della Piano d’azione europeo per l’economia circolare. C’è qualche priorità che manca all’appello? E, soprattutto, tutto ciò è realistico?

Credo che sia realistico perché il precedente Piano di azione era pieno di target. Il 95% di quel monte-obiettivi è stato raggiunto. Più in generale, gli obiettivi europei vengono stabiliti per essere soddisfatti. Ma ciò non vuol dire che non ci sia stato qualche fallimento in passato.

Ovvero?

Il precedente Piano aveva un deficit di contenuti. In particolare, per quanto riguarda l’eco-design, un capitolo che è stato aggiunto nella nuova formulazione. Il design dei prodotti che produciamo – se sono in grado o meno di essere riparati e, quindi, utilizzati, per una seconda vita – è una parte fondamentale dell’economia circolare.

Tutto sommato, mi sembra di capire che siamo sulla buona strada. O no?

Sì, attenzione però. Possiamo barrare quante caselle desideriamo. Ma gli attori della Circular Economy Stakeholder Platform – aziende piccole e grandi, oltre alle ong – affermano che, nella vita di tutti i giorni, pochi sanno cosa voglia dire economia circolare.

Facciamo il punto della situazione. L’Europa accelera, ma nella società il messaggio non è ancora passato. Ci deve essere un problema nella catena di trasmissione. Stiamo parlando di un problema di leadership? Nel rapporto dell’OECD sull’economia circolare nelle città e nelle regioni se ne parla. 

Se guardiamo all’Unione europea nel suo complesso – Commissione, Parlamento, Consiglio, Comitato economico e sociale, ecc. – è innegabile che viene prodotta una grande quantità di legislazione. E credo che il Piano d’azione europeo per l’economia circolare abbia portato la riflessione a livello continentale.

Ho come la sensazione che stia arrivando un grande “ma” …

Se poi guardiamo al livello nazionale, regionale e locale, ci sono lacune. In particolare, c’è un problema al livello del consumatore: capire cosa voglia dire economia circolare. Abbiamo fatto alcune ricerche con il Comitato e analizzato i piani d’azione in giro per l’Europa.

E cosa avete scoperto?

Ogni qualvolta esista un piano di azione nazionale, anche a livello regionale e locale le azioni pubbliche sono più precise ed efficaci. Lo stesso si può dire per il fattore leadership.

Parlando di leadership a livello nazionale, combinato con quello europeo, siamo nel pieno della presidenza tedesca del Consiglio europeo. In realtà, quella tedesca è la prima presidenza di tre – Germania, Slovenia e Portogallo – che dovrebbero lavorare a un programma coerente nel corso di 18 mesi. Nel programma tedesco non è stato fatto troppo riferimento all’economia circolare, non crede? Cosa si aspetta dalle prossime due presidenze?

Ripongo molte speranze nei semestri dei due paesi più piccoli, Portogallo e Slovenia. L’ex-Commissario europeo all’ambiente, lo sloveno Janez Potocnik, è molto attivo in patria. Prima del 2015, era stato un motore dello sviluppo del primo Piano d’azione per l’economia circolare in Europa. Ecco, credo che si debbano puntare i fari sulla presidenza slovena.

E se dovesse fare un bilancio del semestre tedesco?

Non sono sorpreso che il semestre sia stato incentrato sulla gestione della crisi del Covid-19. Ma se si scava sotto la superficie, ci sono state diverse azioni sul fronte clima e sostenibilità. La Germania ha messo il focus sulla mobilità nel contesto del Green Deal. E quando parliamo di mobilità, parliamo di utilizzo di energia. In media, è un settore che utilizza il 20 per cento dell’energia che produciamo.

Invece, a livello internazionale, nel confronto con altre parti del mondo, com’è messa l’Europa secondo lei?

L’anno scorso sono stato a New York per un evento dell’Onu. Ho incontrato il governatore dello Stato e il sindaco. Mi hanno detto che utilizzano la Circular Economy Stakeholder Platform come punto di riferimento per disegnare le azioni a New York. Lo stesso mi è stato detto in Colombia. Quello che stiamo facendo in Europa rappresenta un termine di paragone altrove nel mondo. Inoltre, questi partner sono anche coscienti del fatto che tutto ciò avrà, in futuro, un impatto sulle condizioni annesse ai trattati commerciali globali.

Lei ha menzionato che l’economia circolare implica collaborazione. Allo stesso tempo, manca la leadership. Eppure, in tutto questo c’è un grande paradosso: il concetto di economia circolare appare come calato dall’alto, dal mondo delle élite. Non crede?

È un paradosso che esiste. Possiamo sviluppare tutti i concetti del mondo. Ma se vogliamo raggiungere il risultato finale, c’è bisogno di un cambiamento culturale, a livello di comportamento delle singole persone e delle aziende medio-piccole, nel modo in cui interagiamo con prodotti e servizi quotidianamente.

Come si risolve il paradosso?

Quando ero ragazzo, in Irlanda, negli anni ‘80, in macchina le cinture di sicurezza non si utilizzavano per i passeggeri posteriori. Mi ricordo che i miei genitori mi invitavano a sedermi al centro per avere una visuale migliore. Oggi verrebbe considerata una cosa da pazzi.

Fuor di metafora?

Il cambiamento di percezione deriva dalle legislazioni che sono state messe in campo per cambiare i comportamenti. Ma è stato fatto attraverso una modalità che non ha spostato il costo e peso sul consumatore finale.

Tutto questo mi fa pensare a un altro Paese europeo e ai gilet gialli …

Oggigiorno, il pericolo più grande è legato alla promozione dell’economia circolare come una scelta di vita della classe media. Una scelta costosa. La sfida è cambiare la legislazione e le regole – un’azione dall’altro verso il basso – per ottenere un cambiamento nei comportamenti di tutti.

Però, in fondo, quello che sta dicendo è che il paradosso può essere risolto soltanto con ancora più azioni verticistiche, o sbaglio? Non risolve veramente il paradosso.

Il cambiamento dal basso arriva soltanto se modifichiamo il consumo in quanto tale. Se i consumatori diventano utilizzatori di beni e servizi. E se il valore dei materiali che utilizziamo nella produzione viene preservato. In un certo senso, si tratta di tornare a uno stile di vita più antico in cui c’era meno scarto.

Mi concederà che il “si stava meglio quando si stava peggio” non è proprio un messaggio accattivante …  

Effettivamente, il livello di scarto di un tempo era legato a condizioni di povertà e scarsità. È diverso applicare tutto questo in un mondo fatto di abbondanza, ricchezza e prosperità. E credo che questo ci porti anche a parlare di un altro paradosso, quello della contraddizione apparente, nella mente delle persone, tra “risparmio” e “ricchezza”. Non sono concetti che vanno a braccetto di solito.

La circolarità sembra piena di vicoli ciechi …

Dobbiamo affrontare un tabù onnipresente: tutti hanno la sensazione che i prodotti che comprano siano stati disegnati per rompersi, prima o poi. Io penso che lo svisceramento di questo tabù sia connesso in qualche modo al pensiero, altrettanto condiviso, del: “Voglio comprare cose che durino nel tempo. Oggetti che, qualora danneggiati, possano essere aggiustati”.

In effetti, in maniera implicita, oggi diamo ancora un grande valore alla parola “nuovo”.

In effetti, invece di utilizzare parole e locuzioni come “riparato”, oppure “come nuovo”, dovremmo spostarci verso un linguaggio che implichi “meglio di nuovo” (“better than new”, nda).

Per terminare questa intervista, vorrei, per così dire, chiudere il cerchio. Le 35 misure previste dal Piano d’azione europeo per l’economia circolare si focalizzano su una marea di prodotti e filiere: batterie, veicoli, imballaggio, costruzione, alimentazione. Sappiamo già che tutto è connesso. Ma non c’è un settore che dovrebbe avere la precedenza?

La risposta breve è “no”. Tutto deve essere modificato in maniera coordinata. Altrimenti il concetto di circolarità non ha senso. Se prende come esempio il settore tessile, cambiare le regole di produzione ha un impatto sull’imballaggio e, di conseguenza, sul trasporto delle merci, per non parlare dell’energia necessaria alla produzione. Come vede, nel momento stesso in cui ci focalizziamo su un dettaglio, parliamo del tutto.

E la risposta più lunga? Voglio dire, “cambiare tutto” spesso equivale a dire “non cambiare nulla”. O meglio, in termini più costruttivi, cambiare ogni cosa stimola “paura”. 

Sono d’accordo che il cambiamento crei paura. Ma poi mi dico che esistono alcuni cambiamenti che vengono accolti con serenità. E quindi mi chiedo se non sia semplicemente l’incertezza a produrre paura, o resistenza.

Mi scusi, ma non vedo la differenza.

Se lei mi dicesse: “C’è una grande sfida all’orizzonte, un nuovo lavoro da svolgere. Cambierai attività, ma in realtà sai già fare quello di cui ci sarà bisogno. E sarai pagato di più”. Beh, ecco: non credo sarebbe problematico.

Come si può cambiare l’interpretazione del rischio da parte delle persone comuni?

Continuiamo a criticare i sistemi di produzione attuali. Ma non abbiamo ancora identificato la destinazione finale. Diciamo che ci siamo fermati al distopico, mentre ci sarebbe bisogno di una visione del futuro utopica e positiva.

© Riproduzione riservata

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