Mentre, coi bandi del Pnrr, il MiTe e il governo spingono l’infrastrutturazione dell’economia circolare italiana con impianti per gestione e riciclo dei rifiuti, il 12 dicembre è arrivata in Gazzetta una misura (il decreto 6 ottobre 2021 del Ministero della Transizione ecologica, di concerto con quelli dello Sviluppo economico e dell’Economia e Finanze) che prevede riborsi fiscali per gli acquisti (effettuati nel 2020) di materia e prodotti riciclati: 10 milioni di euro totali. Una cifra che potrà alleggerire le spese di alcune imprese, ma che ha assai poco a che fare con la necessaria operazione strutturale di sostengo al mercato della materia prima da riciclo richiesta a gran voce degli operatori della filiera.
Il decreto
Pubblicato in Gazzetta ufficiale il 12 dicembre, il decreto – “che ha finalmente reso operativa una misura prevista nel 2019 dalla ‘Legge Crescita’”, come ricorda in una nota FISE Unicircular (l’associazione delle imprese dell’economia circolare) – è rivolto “alle imprese e ai soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo” che nel 2020 hanno acquistato materia prima secondaria. Cioè, spiega il decreto, “materiali e prodotti che derivano, per almeno il 75% della loro composizione, dal riciclo di rifiuti o di rottami”, oppure “compost di qualità derivante dal trattamento della frazione organica differenziata dei rifiuti”.
A queste imprese è offerta la possibilità di “presentare istanza per le spese sostenute nel 2020” per accedere ad un rimborso fiscale sotto forma di credito d’imposta pari al 25% della spesa sostenuta per l’acquisto, “fino a un importo massimo di 10 mila euro per ciascun beneficiario”. Il decreto chiarisce anche i requisiti tecnici per l’accesso ai fondi e le certificazioni idonee ad attestare le tipologie di materie impiegate. E stabilisce che l’assegnazione dei fondi agli aventi diritto procederà “secondo l’ordine di presentazione delle domande ammissibili, nel limite complessivo di 10 milioni di euro” (qui tutti i dettagli e i moduli per aderire).
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Il paradosso del collo di bottiglia
Sostenendo col Pnrr nuovi impianti o l’ammodernamento di quelli esistenti, il MiTe e il governo alimentano il riciclo e la produzione di materiali riciclati, seguendo il Green Deal e gli obiettivi fissati in Europa. Contestualmente, però, non danno risposte credibili alle richieste di iniziative per sostenere il mercato di questi materiali. Che a volte, già ai tassi di riciclo odierni, faticano a trovare un mercato, beffati dalla concorrenza sleale (perché al netto dei costi ambientali) delle materie prime vergini.
Paolo Barbieri, presidente Anpar, l’associazione di categoria dei riciclatori dei rifiuti inerti, ad esempio ha raccontato a questo Magazine che “ogni anno l’Italia produce circa 68 milioni di tonnellate di rifiuti inerti. Circa 55 milioni (l’80%) vengono recuperati e trasformati in prodotti conformi alle normative di mercato. Ma il 30% di questi prodotti ogni anno resta invenduto dentro i magazzini degli impianti”. Il motivo? “Non perché il mercato non abbia bisogno di aggregati – spiega ancora barbieri – ma per la diffidenza, purtroppo storica e strutturale, verso l’uso dell’aggregato ottenuto dal riciclo dei rifiuti”.
Le richieste degli operatori
Il tema del sostengo al mercato del riciclato è stato sollevato, all’inizio di queto mese, anche da Roberto Sancinelli, presidente e amministratore delegato di Montello SpA, impresa di gestione dei rifiuti, durante la presentazione del report Waste management e convergenze industriali di Althesys: “Manca un provvedimento di legge che imponga l’utilizzo del riciclato. I soldi del Pnrr secondo me andavano indirizzati a far sì che si utilizzi il riciclato”. Il rischio imbuto, dunque, con impianti che producono a pieno regime ma che non hanno sbocchi sul mercato, è dietro l’angolo: “Possiamo riciclare finché vogliamo il rifiuto – ha aggiunto Sarcinelli – ma se poi non spingiamo il riciclato non abbiamo il collocamento finale dei prodotti”.
Il tema, molto sentito dalle imprese, è dunque quello del collo di bottiglia che questi materiali subiscono entrando nel mercato. Anche a causa della scarsa applicazione dei Criteri ambientali minimi: solo 1 Comune capoluogo su 3, dicono Legambiente e Fondazione Ecosistemi, dichiara di avere un grado di adozione dei parametri del Green Public Procurement tra l’80 e il 100%.
Qualche giorno fa, durante la presentato dell’edizione 2021 de “L’Italia del Riciclo” di FISE UNICIRCULAR e Fondazione Sviluppo Sostenibile, sono state spese parole in linea con quanto scritto sin qui. Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile: “Per cogliere le nuove sfide il riciclo deve avere maggiori sbocchi per i materiali che produce in modo che le materie prime seconde siano preferite alle materie prime vergini e maggiormente richieste e impiegate”.
“In più occasioni abbiamo sottolineato come occorra creare un sistema e una cultura che premino chi acquista ed usa materiali e prodotti da riciclo”, ha dichiarato in una nota Paolo Barberi, questa volta nelle vesti di presidente di FISE Unicircular: “Questo decreto va nella giusta direzione”. FISE Unicircular, infatti, nelle audizioni in Parlamento sul Pnrr chiedeva proprio contributi sotto forma di credito d’imposta. Barberi aggiunge però: “Ora occorre rendere strutturali questi incentivi, allargandone il campo di azione e finanziandoli adeguatamente, per scoraggiare il ricorso all’utilizzo delle materie prime vergini, e per riconoscere e valorizzare i benefici economici ed ambientali derivanti da un uso intelligente delle risorse”.
L’opzione rimossa: il fisco
Se, come spiega il MiTe, questi 10 milioni di euro di agevolazioni hanno “come obiettivo il sostegno e la diffusione dell’economia circolare, attraverso pratiche sostenibili come l’acquisto di materiali riciclati”, perché, ad esempio, non lavorare sulla fiscalità e sull’Iva?
Lo chiedono gli operatori di FISE Unicircular, che, ancora riferendo sul Pnrr in Commissione Ambiente della Camera, come primo degli “strumenti agevolativi che incentivino il mercato, le imprese e i prodotti ‘circolari’ riducendo il differenziale di costi e di prezzi rispetto alle produzioni ‘lineari’” hanno indicato proprio l’applicazione di una aliquota IVA ridotta. Cosa che chiedono da anni anche gli operatori dell’usato di Rete Onu per i beni second hand. Una direzione, questa della leva fiscale, incoraggiata anche dall’accordo raggiunto all’inizio di dicembre dai ministri delle finanze dell’UE per aggiornare le norme sull’IVA: “Gli Stati membri – così il commissario per l’Economia Paolo Gentiloni ha commentato l’accodo – avranno una maggiore flessibilità per far sì che i loro sistemi IVA riflettano le scelte politiche nazionali, garantendo nel contempo la coerenza con le priorità europee comuni: le transizioni verdi e digitali e, naturalmente, la tutela della salute pubblica”.
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