[di Giulia Diamanti]
Il marchio di scarpe sportive ottenute dal riciclo degli scarti della mela vuole che il consumatore diventi consapevole dell’impatto che le sue scelte hanno sull’ambiente
Sinossi
“Mamma diceva sempre che dalle scarpe di una persona si capiscono tante cose, dove va, cosa fa, dove è stata”. Chissà cosa avrebbe pensato la madre di Forrest Gump delle calzature ideate da Womsh, l’azienda veneta che dal 2014 ha inserito nella sua collezione una linea di scarpe vegane, realizzate al 50% dagli scarti della mela. Per portare avanti la sua iniziativa sostenibile, Gianni Dalla Mora, creatore di Womsh, acronimo di Word of Mouth Shoes, ossia “scarpe passaparola”, ha deciso di condividere la propria idea, perché solo grazie alla partecipazione è possibile lo scambio di sapere. Così dall’ingegnere Hannes Parth, il fondatore di Frumat, un laboratorio di analisi chimiche sugli scarti del settore alimentare, ha imparato che dai torsoli e dalla buccia di mela poteva ottenere una similpelle per ricoprire la tomaia delle sue scarpe con un bassissimo impatto ambientale; mentre per chiudere il cerchio, Gianni, ha chiesto aiuto a esosport Società Benefit, un’azienda che trasforma le scarpe sportive esauste in pavimentazione anti trauma nei parchi giochi per bambini.
“Se tu hai una mela e io ho una mela, e ce le scambiamo, tu e io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora ognuno di noi avrà due idee”. Ne era convinto lo scrittore e premio Nobel per la letteratura George Bernard Shaw. Potrebbe anche capitare che da una mela nasca un’idea straordinaria, frutto di una collaborazione tra realtà diverse che hanno deciso di condividere le proprie conoscenze favorendo lo scambio di sapere. Così all’immaginazione di Gianni Dalla Mora, da sempre appassionato di scarpe, è stato aggiunto un pizzico delle scoperte dell’ingegnere altoatesino Hannes Parth. Tutto è stato mescolato con l’idea solidale di Nicolas Meletiou ed è uscita fuori una ricetta perfettamente sostenibile: quella delle scarpe passaparola.
Chi Womsh mangia le mele
Womsh, il marchio di sneaker pensato nel 2014 da Gianni Dalla Mora a Vigonza, in provincia di Padova, è l’acronimo di Word of Mouth Shoes, scarpe consigliate da alcuni clienti ad altri consumatori attraverso il passaparola, per cercare di diffondere il più possibile la missione originaria: aumentare nell’acquirente la consapevolezza che ogni prodotto che si sceglie di comprare determina un certo impatto sull’ambiente. Perché «la scarpa sostenibile al 100% non esiste, l’unica ad esserlo è quella che non produci» spiega Gianni, indaffarato nella ricerca della suo prodotto innovativo. Un passato da agente delle calzature e medico mancato: «ho mollato quella strada perché la mia passione erano le scarpe», ha pensato bene che il suo giuramento di Ippocrate dovesse essere la creazione di un articolo esteticamente piacevole con il più basso impatto possibile. “Galeotta” fu un’infanzia passata tra pile di scatoloni più alte di lui, nel negozio dove i genitori vendevano calzature: «Mio papà mi ha insegnato che con la fatica possiamo arrivare dove vogliamo, ma non esistono scorciatoie». E siccome, come dice il proverbio, “la mela non cade poi così distante dall’albero”, Gianni, prendendo le orme del padre, ha cominciato a viaggiare per fiere del commercio equo e solidale alla ricerca di stimoli e idee originali: «La scarpa è un oggetto molto affascinante perché nasconde una grande tecnicità; eccola – ha trovato la scarpa vegana e la tiene tra le mani come fosse un oggetto prezioso – Anche se sembra di poco valore perché va nei piedi, ci sono almeno sessanta passaggi diversi per costruirla, senza tener conto della fase di ideazione e la scelta dei materiali». Quando Gianni ha conosciuto a Bolzano Hannes Parth, il fondatore di Frumat, un laboratorio di analisi chimiche sugli scarti del settore alimentare, è arrivata l’illuminazione: «Abbiamo pensato a una scarpa vegetale sostenibile, fatta senza petrolio, e per metà in pellemela, una similpelle ottenuta dagli scarti di lavorazione delle mele». Dopo anni di studio e tentativi scoraggianti «l’ingegnere si è accorto che facendo essiccare buccia e torsoli di mela e sbriciolandoli si formava una farina che aveva una consistenza simile alla cellulosa – racconta Gianni – mescolandola al poliuretano, un materiale sintetico, si è ottenuto il primo prototipo di scarpa in apple skin (pelle di mela) spalmata su cotone riciclato». L’inventore di Womsh ha voluto poi aggiungere agli scarti alimentari anche quelli della plastica: «dalle bottigliette usate si ottiene un filato che diventa poliestere e con il quale si fanno i lacci e si riveste la tomaia insieme agli scarti della mela».
Quando 1 mela al giorno toglie la discarica di torno
Se i materiali utilizzati sono selezionati da Gianni con attenzione, anche il luogo di fabbricazione non è lasciato al caso, perché per lavorare in modo sostenibile è necessario farlo in Italia. Nel nostro Paese, secondo i dati di Assomela e Centro servizi ortofrutticoli, solo l’anno scorso la produzione di mele si è assestata intorno ai 2,2 milioni di tonnellate. Un potenziale enorme di scarto, dunque di risorsa.
Womsh per la produzione delle scarpe si avvale di una fabbrica della Puglia (regione che insieme alle Marche è specializzata negli articoli sportivi), un ex calzaturificio che aveva una propria collezione e che poi si è riconvertito cominciando a fabbricare scarpe di altri marchi: «Sono più di 100 i lavoratori e ho massima fiducia in loro – dice Gianni – conosco personalmente i responsabili di produzione, della modelleria, dello sviluppo prodotto; voglio sapere quanto guadagnano e come lavorano. Se l’azienda non rispettasse gli operai, i diritti di genere e le giuste condizioni di lavoro non permetterei che le scarpe venissero prodotte lì». Womsh dà poi lavoro, oltre ai vari agenti sparsi per l’Italia, ad altre 7 persone che tra amministrazione, marketing e vendita mandano avanti lo showroom sulla Riviera del Brenta. Visto che l’industria della moda non riesce a liberarsi dall’accusa di grande inquinatrice, continuare a dare altri numeri non può che accrescere la virtuosità delle “scarpe passaparola”: grazie a un lavoro oculato e rispettoso dell’ambiente Womsh in cinque anni ha creato e preservato 12 mila metri quadri di foresta equatoriale grazie all’adesione a un progetto in collaborazione con Lifegate e all’iniziativa di piantare un albero di cacao in Camerun ogni volta che vengono acquistate le scarpe vegane. A ciò dobbiamo aggiungere la compensazione di più di 74 tonnellate di emissioni di anidride carbonica, che corrispondono a circa 10 milioni di fogli di carta e 1500 paia di scarpe sportive riciclate solo nel 2018. Se sono ancora poche le imprese che investono sull’autoriciclaggio dei propri scarti – secondo i sondaggi di Eurobarometro l’Italia è al 37% contro la media europea al 42% – o sull’appoggio ad altre aziende per lo smaltimento – 15% contro il 21% a livello europeo – Womsh appare ancora una volta una voce fuori dal coro perché il suo principio ecosostenibile non si ferma alla produzione, ma si è mosso verso lo smaltimento per permettere al cerchio di chiudersi.
Mela Gioco
Per far sì che le scarpe continuassero a essere utili una volta esaurito il loro compito, anziché finire in discarica dove sarebbero diventate diossina, Gianni ha infatti chiesto aiuto a esosport Società Benefit, un’azienda che trasforma le scarpe sportive esauste in pavimentazione antitrauma nei parchi giochi per bambini. «Per un metro quadro di pavimentazione ci vogliono moltissime scarpe perché da un chilogrammo si ricava il 40% del granulato – spiega Teodoro Meletiou, figlio di Nicolas, presidente dell’associazione – Raccogliamo le scarpe, trituriamo la suola e da lì realizziamo il pavimento antisdrucciolo in cui possono giocare i più piccoli». Il Giardino di Betty – così è chiamata l’iniziativa in ricordo della moglie del presidente di esosport Società Benefit, Elisabetta Salvioni – diventa un luogo in cui socialità e rispetto per l’ambiente trovano un connubio perfetto. Basta lasciare le scarpe Womsh usurate nei contenitori dei negozi autorizzati, anziché buttarle via andando ad alimentare lo smaltimento poco salutare della discarica o dell’inceneritore. Secondo le ultime previsioni del rapporto della Ellen MacArthur Foundation entro il 2050 l’industria della moda consumerà un quarto del bilancio globale di combustibili fossili: «Il settore della moda deve cambiare i propri paradigmi se vuole continuare a esistere in modo armonico con la natura – sottolinea Gianni Dalla Mora – Ricordo una campagna pubblicitaria in occasione degli sconti del black friday di Yvon Chouinard, fondatore di Patagonia, che recitava “Se non ti serve non comprarlo”. Credo che sia importante che i consumatori acquistino consapevolezza che è meglio meno, ma di qualità. Perché il consumismo sfrenato porta a un surplus di articoli che si trasformano in stock di invenduto che viene bruciato, dopo che per realizzarlo è stata sprecata acqua, energia e sono state sfruttate persone costrette a lavorare in condizioni disumane. Che senso ha tutto questo?».
Nel film Bianca Nanni Moretti dice: “ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo”. Ma solo quando le persone riacquisteranno la capacità di autoregolarsi e anteporranno la qualità alla quantità, solo allora ci sarà un passo nella giusta direzione.