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venerdì, Novembre 15, 2024

Tradizione e futuro, ecco cos’è l’economia circolare per l’Italia

“Il nostro Paese non deve perdere il vantaggio competitivo accumulato grazie alla sua capacità di recuperare e riciclare materiali”: così il manager Luca Dal Fabbro ha discusso dei vantaggi degli investimenti nell’economia circolare con Alberto Improda, autore di “Il virus dell’innovazione”

Antonio Carnevale
Antonio Carnevale
Nato a Roma, giornalista pubblicista dal 2012, autore radiofonico ed esperto di comunicazione e new media. Appassionato di sport, in particolare tennis e calcio, ama la musica, il cinema e le nuove tecnologie. Da qui nasce il suo impegno su StartupItalia! e Wired Italia, dove negli anni - spaziando tra startup, web, social network, piattaforme di intrattenimento digitale, robotica, nuove forme di mobilità, fintech ed economia circolare - si è occupato di analizzare i cambiamenti che le nuove tecnologie stanno portando nella nostra società e nella vita di tutti i giorni.

“L’economia circolare è per l’Italia, più che per molti altri Paesi, un’occasione irripetibile”. Ne è certoil vicepresidente del Circular economy network Luca Dal Fabbro, founder e managing partner di Circular Value Fund, primo fondo di private equity italiano sull’economia circolare, durante l’incontro in streaming intitolato “Perché l’economia circolare ci salverà”, trasmesso lo scorso 3 novembre dalla digital tv di ProfessioneFinanza, network italiano di formazione in ambito finanziario. Ne ha discusso con Dal Fabbro Alberto Improda, avvocato e autore della raccolta di scritti “Il virus dell’innovazione” (Edizioni Entroterra), nel quale si individua nell’innovazione aperta e condivisa la chiave per conferire all’Italia un ruolo di leadership nella transizione.

Tradizione circolare

“Noi” spiega Dal Fabbro, che è stato presidente di Snam, amministratore delegato di Enel Energia ed E.on Italia, “siamo uno dei Paesi con più aziende circolari d’Europa, perché siamo sempre stati poveri di materie prime e abbiamo sempre dovuto ricorre al riciclo e al riutilizzo più di altri”. Questo ci pone in una situazione di vantaggio rispetto agli altri Paesi.  Possiamo beneficiare del risparmio delle materie prime e della capacità italiana di ridurre i rifiuti, sfruttando la riparazione e l’estensione della vita del prodotto per migliorare l’economia rispetto all’acquisto di un nuovo bene.

Inoltre, abbiamo un territorio con delle peculiarità uniche, ambienti incontaminati e borghi da rilanciare. Un ulteriore vantaggio, se pensiamo alla possibilità di sfruttare e potenziare le economie dei territori e puntare alla rigenerazione urbana. Tra le lezioni che ci sono arrivate in questi mesi per via della pandemia infatti, ce n’è una fondamentale: il Covid ci ha dimostrato che catene di fornitura troppo lunghe possono subire dei tracolli inaspettati.

Durante la fase di emergenza infatti, diverse fabbriche italiane hanno chiuso non in seguito alle restrizioni, ma perché non arrivava materia prima o materia prima seconda da Paesi che avevano subito danni dalla pandemia, come la Cina, e avevano dovuto chiudere i loro siti produttivi. Una ragione in più per insistere nel ricorso a materiale reperito in situ, riciclandolo, riparandolo, trasformandolo: questo rende e imprese più competitive e non più dipendenti da fornitori esteri. Per Dal Fabbro l’Italia può giocare un ruolo importante sullo scenario globale nell’agribusinees innovativo, oltre che “sul versante dell’idrogeno, dove abbiamo tre aziende – Snam, Eni ed Enel – con competenze tra le migliori al mondo”.

Il ruolo della politica

L’attitudine e l’abitudine delle aziende di casa nostra ad atteggiamenti orientati alla circolarità è condizione necessaria ma non sufficiente per renderle “sistema”. C’è bisogno di un piano strategico e al tempo stesso operativo di cui il nostro governo dovrà dotarsi al più presto.

“Dove e come vogliamo crescere e con quali risorse?”. Sono queste le domande che la nostra classe dirigente dovrà porsi, e alla svelta secondo Luca Dal Fabbro. I fondi europei infatti, come noto, saranno vincolati a piani sostenibili. “Ci vuole un masterplan nazionale – spiega il fondatore di Circular Value Fund – che preveda il rilancio dei borghi per aumentare la resilienza nazionale e migliorare l’ambiente, l’ottimizzazione delle filiere agricole, un lavoro serio sull’idrogeno, la decarbonizzazione dei nostri processi produttivi”. Il mercato e il sistema produttivo di casa nostra sono pronti a spingere il pesale dell’acceleratore in questa direzione. “Basti pensare a un settore riconducibile all’industria tradizionale, come quello ferroviario – spiega l’avvocato Alberto Improda – dove, una su tutte, Hitachi sta realizzando 43 treni ibridi per Trenitalia. O anche Alstom, che sta portando avanti la produzione di treni a idrogeno”.

La politica deve scongiurare che l’Italia possa perdere il vantaggio competitivo accumulato negli ultimi decenni e pianificare la crescita guardando a un orizzonte temporale medio-lungo. Altrimenti, tra qualche anno saremo qui a parlare di una nuova occasione mancata. Per Improda, la chiave per gestire al meglio queste risorse a livello nazionale potrebbe essere quella di “prendere, sviluppare e valorizzare tutte le misure messe in campo in questi anni” anche dagli altri Paesi per incrementare la circolarità e “sagomarle sulle specificità del nostro Paese e delle nostre imprese”. Sapremo farlo?

Un investimento remunerativo

Quello tra innovazione ed economia circolare è secondo Improda un “legame osmotico”. Come molto forte sta diventando quello tra finanza e circolarità. Alle nostre imprese infatti, non basta più produrre utili. È importante che questi utili siano stati prodotti nel rispetto dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori e delle regole di governo dell’impresa.

Investire in economia circolare è un trend abbastanza consolidato, spiegano gli esperti. Occhio però a guardare solo agli investimenti oggi considerati sicuri. Sarà sempre più importante ragionare su obiettivi di lungo periodo. “L’economia circolare è sicura – afferma Dal Fabbro – perché sostenibile per natura e dunque sostenibile anche per gli investitori”. Dunque può rappresentare una leva di crescita ambientale, etica, culturale, ma anche economica e finanziaria. “Per investire sull’economia circolare non bisogna essere visionari – conclude Improda – è una strada obbligata ed estremamente concreta”. Per un semplice motivo: conviene a chi investe e non soltanto all’ambiente o a chi opera nel settore. E se l’investimento è remunerativo non vi sono ostacoli affinché gli obiettivi di sostenibilità diventino parte integrante del piano industriale. “Non ci sono alternative, è il futuro dell’impresa”.

© Riproduzione riservata

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