Tra gli effetti più nocivi della crisi sanitaria che stiamo vivendo c’è quel misto di incertezza e paura che ci accompagna in ogni gesto quotidiano. Non sappiamo come salutarci, come rispettare le distanza nei mezzi pubblici, quando e se è possibile togliere la mascherina. Anche quando andiamo a fare la spesa le scene si ripetono uguali, tra dubbi su chi deve passare per primo alla cassa e prodotti che forse è meglio non toccare. Spiace dirlo alla vigilia della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti, ma di questi tempi le buone pratiche necessarie a entrare in un’ottica di economia circolare sono state un po’ sacrificate sull’altare della sicurezza. È avvenuto ad esempio nel caso dei contenitori riutilizzabili. Pochi lo sanno, ma da quasi un anno si possono, per legge, utilizzare nei supermercati. La legge 141 del 13 dicembre 2019, più nota come Decreto Clima, stabilisce infatti il diritto del consumatore a portare da casa i propri contenitori con coperchio per alimenti. All’art.7 si stabilisce che “al fine di ridurre la produzione di rifiuti e contenere gli effetti climalteranti” negli esercizi commerciali “di media e grande struttura” i clienti “possono utilizzare contenitori propri purché riutilizzabili, puliti e idonei per uso alimentare”.
Davvero si può fare?
Avete letto bene: dalla fine dello scorso anno ciascuno di noi può recarsi presso il negozio di alimentari di fiducia o un supermercato della grande distribuzione organizzata e rifiutare gli imballaggi – soprattutto carta e plastica – coi quali ai banchi pescheria, gastronomia, macelleria o panetteria viene avvolto il cibo. Tutti incarti di cui si può fare a meno e che magari, al ritorno a casa, buttiamo nell’indifferenziato. Quindi da domani tutti al supermercato con contenitori e retine per l’ortofrutta? “In teoria sì, poi la pratica ha bisogno di passaggi intermedi, specie in questo momento storico” ci spiega Enzo Favoino, referente scientifico del progetto Spesa Sballata, tecnico e ricercatore presso la Scuola Agraria del Parco di Monza e profondo conoscitore di temi come prevenzione dei rifiuti, riuso e riutilizzo. “La pandemia esiste e spaventa tutti, ma già nel decreto Clima si è voluto risolvere la questione della sicurezza alimentare del consumatore. Ci si affida alla coscienza di ciascuno di noi, perché si sa che laveremo il contenitore proprio perché si tratta della nostra e dell’altrui salute. In più viene chiarito che l’addetto al banco ha il diritto di rifiutare la somministrazione laddove verifichi che il contenitore non sia perfettamente igienizzato, che sia sporco o rechi odori strani”. Il riferimento è al comma 1 bis del cosiddetto decreto Clima, che appunto recita: ‘l’esercente può rifiutare l’uso di contenitori che ritenga igienicamente non idonei”. Il percorso di verifica della sicurezza pare così in qualche modo codificato, ma quando il decreto è stato convertito in legge non si aveva la minima idea di essere alla vigilia della più grave pandemia degli ultimi 100 anni. Questo significa che di fronte all’emergenza sanitaria le buone pratiche di riduzione dei rifiuti e gli esempi virtuosi di economia circolare possono attendere?
Fare i conti con il Covid-19
“Il Covid incide non tanto sul rischio aggiuntivo per il consumatore, quanto piuttosto perché il contenitore potrebbe essere potenziale veicolo di contaminazione dall’esterno all’interno – osserva Favoino -, ma la soluzione c’è già. Così come per il nostro progetto Spesa Sballata, per l’interno del contenitore ci pensa il consumatore e per l’igienizzazione dell’esterno ci pensa l’addetto al banco prima di posare il contenitore sul piatto della bilancia o sul bancone. Si tratta di una soluzione transitoria, certamente, ma anche il problema del Covid è temporaneo”. Molti però non sanno neppure che esiste il decreto Clima, figurarsi l’art.7 e i due commi , ecco perché Enzo Favoino ha preparato un prontuario che ha diffuso online e che ha l’avallo, così come il progetto Spesa Sballata, del Comune e della Provincia di Varese, della cooperativa Totem, della Scuola Agraria del Parco di Monza e con il contributo della Fondazione Cariplo. La nota, che è ancora una bozza, reca il titolo già significativo “Acquisti in ambiti riutilizzabili: in Italia si può” e si rivolge agli esercenti, con la previsione che ciascun cliente possa esibirlo per richiedere la nuova modalità di erogazione del servizio “imballaggio free”.
“Ovviamente mi rendo conto che in tempi di Covid qualcuno potrebbe obiettare che preferisce aspettare il vaccino, e ci sta – osserva ancora il ricercatore della Scuola Agraria del Parco di Monza -. Io stesso vado coi piedi di piombo, ma se c’è consapevolezza e fiducia è un percorso in totale sicurezza, solo che bisognerebbe spiegare tutte queste cose. Alcuni ad esempio sostengono che dovrebbe esserci un decreto applicativo che standardizzi la procedura o magari la tipologia dei contenitori ammessi, ma basta leggere l’articolo 7 del decreto e si vede che è autoapplicativo. Non c’è scritto che entro tot mesi il ministero dell’Ambiente o della Salute emaneranno altri provvedimenti”.
I dubbi sui guanti al reparto ortofrutta
C’è di più. La nota informativa in via di ultimazione solleva anche il tema dei guanti ultraleggeri nei reparti ortofrutta. “Non vi è obbligo di far indossare guanti usa e getta per l’acquisto di frutta e verdura sfuse se metti a disposizione dei tuoi clienti un igienizzante per le mani nei pressi dell’area self – si legge -. Il ricorso al guanto monouso presso gli scaffali di acquisto di frutta e verdura sfuse infatti è divenuto col tempo prassi nella maggior parte dei punti vendita, ma senza alcun obbligo di utilizzo previsto per legge. L’uso dei guanti è divenuto un obbligo solo con l’entrata in vigore del DPCM 26/04/2020, vigente sino al 14/06/2020. Con il DPCM dell’11 giugno 2020, in vigore dal 15 giugno, l’obbligo di indossare guanti monouso cessa, ove siano messi a disposizione prodotti di sanificazione per le mani per acquirenti (allegato IX)”. Qualcuno ricorderà anche che qualche giorno prima l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva già indicato che i guanti monouso di per sé non proteggono dal Covid-19. Anzi, possono risultare persino controproducenti. “L’Oms non raccomanda l’uso di guanti da parte delle persone, in comunità. L’uso di guanti può infatti aumentare il rischio di infezione, dal momento che può portare alla auto-contaminazione o alla trasmissione ad altri quando si toccano le superfici contaminate e quindi il viso – si leggeva sul sito dell’Organizzazione -. Oltre al distanziamento fisico, l’Oms raccomanda l’installazione di distributori di gel igienizzante per le mani all’ingresso e all’uscita. Migliorando ampiamente le pratiche di igiene delle mani, i Paesi possono aiutare a prevenire la diffusione del nuovo coronavirus“.
Più della scienza potè la paura, verrebbe da dire. E così l’uso dei guanti è ancora prassi comune nei supermercati, alla faccia della riduzione dei rifiuti e della sicurezza sanitaria. “Vista l’attuale congiuntura e il reinnalzarsi della curva pandemica – spiega in conclusione Enzo Favoino – i responsabili marketing della Gdo hanno preferito mantenerli per non creare tensioni tra chi i guanti li usa e chi no. È insomma una questione più emotiva che scientifica, che comprendiamo bene ma che è bene mettere in evidenza. Anche perché quando questa pandemia finirà torneremo all’assalto per eliminare i guanti dal reparto ortofrutta”.
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