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martedì, Dicembre 24, 2024

Dalla cultura del possesso a quella dell’uso: come cambiano i modi di fruizione dei servizi

Davvero nel futuro non possederemo più nulla? Sempre più spesso l'economia della proprietà sta lasciando il passo alla subscription economy, in cui si paga per usufruire di un servizio. Ecco le modalità più diffuse

Letizia Palmisano
Letizia Palmisanohttps://www.letiziapalmisano.it/
Giornalista ambientale 2.0, spazia dal giornalismo alla consulenza nella comunicazione social. Vincitrice nel 2018 ai Macchianera Internet Awards del Premio Speciale ENEL per l'impegno nella divulgazione dei temi legati all’economia circolare. Co-ideatrice, con Pressplay e Triboo-GreenStyle del premio Top Green Influencer. Co-fondatrice della FIMA, è nel comitato del Green Drop Award, premio collaterale della Mostra del cinema di Venezia. Moderatrice e speaker in molteplici eventi, svolge, inoltre, attività di formazione sulle materie legate al web 2.0 e sulla comunicazione ambientale.

Sapete cosa è la subscription economy? Probabilmente, anche se non avete mai sentito questa espressione, siete tra i fruitori – e addirittura tra i sostenitori – di questa nuova forma di somministrazione dei servizi che può oggi divenire un supporto strategico anche dell’economia circolare.

Il concetto di product-as-service (PaaS), ovvero di servitization, più nota in Italia con la parola servitazzazione, sta entrando sempre più nel nostro linguaggio. Ma ancor prima, nei nostri comportamenti quotidiani e viene a costituire la base di ciò che oggi si identifica come subscription economy. Sono termini a voi ancora oscuri? Facciamo un passo indietro nella nostra storia recente per capire di cosa stiamo parlando.

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Product as a service: dal possesso del bene alla fruizione del servizio

Una volta esisteva solo l’economia del possesso che si basava sulla proprietà di ciò che ci serviva: dall’automobile ai film in vhs o dvd, godevamo di un bene solo se era nostro.

Oggi è ancora così? Quanti cd musicali acquistate? Quanti dvd? Se abitate in una grande città guardate fuori dalla finestra: vedete sfrecciare bici e monopattini? Quanti sono di proprietà di coloro che li guidano?

L’economia della sottoscrizione – detta anche servitizzazione – indica un modello di business, sempre più in ascesa grazie agli strumenti digitali, basato sulla sottoscrizione di abbonamenti che consentono la fruizione e il consumo di beni e servizi.

La servitizzazione ha cambiato radicalmente il modo di vivere e di fruire i beni che, da prodotti di proprietà esclusiva, vengono utilizzati sotto forma di servizi: un conto è possedere un’auto, un altro è utilizzare un sistema che mi consente di pagare il veicolo solo in relazione agli effettivi minuti di utilizzo.

La possibilità di provare un servizio, magari con un periodo iniziale in omaggio o anche solo pagando un canone per un tempo limitato, ha finito per cambiare le abitudini delle persone che, al possesso, preferiscono il godimento di beni e servizi secondo termini, costi e tempistiche spesso personalizzati sulla base delle proprie esigenze.

La on-demand economy

Il più grande esempio di subscription economy può essere quello dei servizi che danno la possibilità di godere di un bene on-demand, solo per il tempo dell’abbonamento. Anni fa per poter scegliere liberamente cosa vedere, era necessario acquistare un grande numero di videocassette o dvd o andarli a noleggiare. Inoltre, salvo investimenti ingenti (o salvo effettuare download illegali), il numero di film o di serie tv disponibili era comunque limitato. Oggi, invece, poter scegliere fra i titoli presenti all’interno di un catalogo quasi infinito, pagando, per di più, un abbonamento mensile di pochi euro ha cambiato completamente il mondo dei media. Lo stesso discorso vale anche per il settore della musica e dell’editoria nel quale una serie di sistemi a pagamento consentono la lettura di diversi giornali e magazine.

Andando ad analizzare l’impatto ambientale, la servitizzazione ha consentito di ridurre la produzione di numerosi supporti fisici necessari per realizzare audiocassette, dvd e vhs peraltro non smaltibili, a fine vita, all’interno dei sistemi di raccolta differenziata. È però d’obbligo sottolineare che anche lo streaming ha un impatto ambientale, sebbene non immediatamente visibile, legato alla produzione dell’energia elettrica necessaria a supportare il sistema.

È quindi importante ridurre il “peso” derivante dall’uso che facciamo di  internet. Come ricordano anche gli organizzatori della Settimana Europea per la Riduzione dei rifiuti, la miglior pratica è quella del download momentaneo del video o delle canzoni. Questa funzione –  solitamente prevista dagli stessi software e che consente di fruire dei video o della musica quando non si ha connessione – può essere un’ottima alleata anche dell’ambiente.

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La sharing economy e MaaS ovvero mobility as a service

In merito alla fruizione dei mezzi di trasporto, da anni, oramai, l’espressione “sharing” è diventata di uso comune e indica la condivisione di automobili, monopatini, biciclette o motorini per i tempi strettamente necessari all’utilizzo. Come avviene nel caso del noleggio, è possibile, di volta in volta, scegliere il veicolo più adatto alle proprie esigenze, riducendo la necessità di un mezzo ad uso esclusivo e rendendo più sostenibile l’impatto del trasporto privato.

Un altro esempio è quello della condivisione dei mezzi attraverso il carpooling, pratica che consente di dividere le spese legate a lunghi viaggi e che si è diffusa anche a livello locale all’interno delle università o nelle aziende. Come raccontano gli esperti di Jojob – ideatori dell’app Real Time Carpooling – oggi la condivisione delle auto attraverso l’applicazione è possibile anche tra dipendenti di aziende collocate in zone tra loro limitrofe. Un servizio pensato non solo per far risparmiare i passeggeri che abitualmente percorrono tratte comuni, ma anche per ridurre l’impatto ambientale del trasporto casa-lavoro: è lo stesso software a calcolare la CO2 risparmiata.

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MaaS – machinery as a service

Sebbene l’acronimo sia uguale a quello della mobilità, in questo caso si indica qualcosa di diverso. Quella dei “macchinari come servizio” può essere considerata una sottocategoria del PaaS e riguarda tutti quei sistemi nei quali un servizio può sostituire l’acquisto di un bene. Un classico esempio è quello delle lavanderie a gettoni: mentre in Italia la lavatrice è considerata un elemento necessario in ogni casa, ciò non accade in diverse altre parti del mondo ove, anche a livello condominiale, si organizzano delle lavanderie collettive.

Altri esempi, invece, entrano direttamente nelle case. L’azienda Culligan, ad esempio, ha recentemente annunciato di aver portato la subscription economy nel mondo dell’acqua: in alternativa all’acquisto di sistemi di affinaggio dell’acqua, si offre la possibilità di noleggiare le medesime apparecchiature che consentono una riduzione della plastica in ambito domestico.

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La subscription economy nel mondo aziendale

Il cambio epocale non ha interessato solamente i consumatori ma anche le aziende. Forse i primi storici esempi in questo ambito sono stati i servizi di noleggio e di leasing delle auto aziendali. A seguire abbiamo assistito al noleggio a lungo termine di smartphone e computer che garantiscono non solo di fruire del bene, ma di avere una continua assistenza tecnica. C’è un guasto? Arriva il tecnico. Non funziona più? Si sostituisce.

Alla scadenza del noleggio spesso i prodotti vengono sostituiti con gli ultimi modelli. E quelli restituiti? Possono rientrare in circolo nei mercati dei beni di “seconda mano”. Basti pensare al settore della rigenerazione di computer e stampanti.

Gli apparecchi rigenerati vengono testati, resettati e rimessi in circolo allungando la loro vita. Se, ad esempio, all’interno di una azienda la vita media di un computer è di 3/4 anni, grazie alla rigenerazione si riesce mediamente a raddoppiarne la durata dimezzandone l’impronta ambientale prima che – si spera – venga avviato a riciclo per il recupero delle materie prime seconde.

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L’ultima versione di software, il SaaS – software as a service

Un altro caso che interessa sia i privati che (soprattutto) le aziende è quello ricollegabile alla necessità di testare un nuovo software o di averne a disposizione sempre l’ultima versione. Acquistando questo prodotto presso un negozio fisico o online, si ha solitamente la possibilità di utilizzarlo senza scadenze ma non di avere a disposizione anche le versioni aggiornate.

Pensiamo a un antivirus, al software che garantisce l’apertura e l’elaborazione dei documenti, a quelli necessari utilizzati  per elaborare le immagini o ai sistemi di emissioni delle fatture: meglio l’uovo oggi o la gallina domani? Per risolvere questo dilemma sempre più persone e imprese preferiscono sottoscrivere abbonamenti che evitano un oneroso esborso economico “una tantum” e, nel contempo, consentono in ogni momento di cambiare software o di avere l’ultima versione del programma.

Quando l’abbigliamento diviene in abbonamento

Immaginate di avere un armadio con capi che cambiano in continuazione…. pur non possedendone neanche uno. Non parliamo solamente della possibilità di noleggiare abiti o accessori ma di servizi che, di continuo, sostituiscono i capi e gli accessori presenti nei vostri cassetti.

Tra le buone pratiche circolari legate alla subscription economy, sul portale della Ellen Macarthur Foundation, è attivo il progetto Circle che riguarda specificamente i bambini. Come raccontato nella pagina dedicata a questo servizio, secondo le stime un bambino, nei primi due anni di vita, indossa – spesso solo per brevi periodi – in media circa 280 capi che spesso vengono dismessi ancora in ottime condizioni.

Di qui nasce l’idea di inviare a casa della futura mamma o del bambino una serie di capi che vengono ritirati e rimessi in circolo a fine stagione, allungando la vita e così abbattendo l’impatto ambientale dei vestiti. Un sistema simile è quello di Green Chic (ex Armadio verde) che consente di rimettere in circolo capi anche per donna ed uomo oltre che quelli dei più piccoli consentendo di dare davvero valore agli abiti senza “possederne” nemmeno uno oltre il tempo necessario.

E voi ancora non siete passati dalla cultura del possesso a quella dell’utilizzo?

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