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martedì, Dicembre 24, 2024

Le virtù circolari del sughero minacciate da coleotteri e carenze normative

Dietro al sughero c’è un mondo fatto di foreste, coleotteri e circolarità. Una filiera che sta vivendo una crisi, ma che ha le carte per rinascere. Ve la raccontiamo, con le sue potenzialità e i suoi problemi

Simone Fant
Simone Fant
Simone Fant è giornalista professionista. Ha lavorato per Sky Sport, Mediaset e AIPS (Association internationale de la presse sportive). Si occupa di economia circolare e ambiente collaborando con Economia Circolare.com, Materia Rinnovabile e Life Gate.

Una ricerca condotta dal professor Charles Spence di Oxford ha scoperto che il suono del tappo di sughero potrebbe influenzare positivamente il giudizio delle persone sulla qualità del vino. Oltre a migliorare presumibilmente l’esperienza degustativa, il sughero è un materiale interessante per via del suo potenziale in termini di circolarità. Estratto dalla corteccia di una quercia da sughero (sughereta) una volta ogni dieci anni, questo tessuto vegetale è leggero, elastico, con buone capacità di isolamento e potrebbe essere riciclato facilmente.

In Italia la produzione totale di sughero è principalmente destinata ai tappi per il settore vinicolo – circa 1 miliardo e mezzo di pezzi ogni anno – che rappresenta il 70% della produzione dell’intero comparto, mentre la rimanente produzione si suddivide tra bio-edilizia (16%), settore calzaturiero e artigianato.

Oltre alla conservazione della biodiversità – caratteristica comune a tutti i tipi di foreste – le sugherete sono in grado di regolare il ciclo idrologico, proteggere il suolo dall’erosione e immagazzinare grandi quantità di carbonio (circa 14 milioni di tonnellate di CO2 all’anno) mentre ogni tappo di sughero ne trattiene 112 grammi. Tuttavia ci sono alcune problematiche che riguardano la filiera: dalla biodegradabilità del sughero all’inesistenza della raccolta differenziata dei tappi; dai danni del coleottero Coraebus Undatus all’abbandono delle foreste per via dei pochi incentivi.

Il sughero nel mondo e in Italia

Per dare un contesto più preciso però partiamo dai numeri. La produzione media di sughero nel mondo è di circa 200.000 tonnellate annue e le esportazioni mondiali si aggirano intorno ai 1,8 milioni di euro. Concentrate nel bacino del mediterraneo occidentale, le sugherete coprono circa 4 milioni di ettari tra Portogallo (34%), Spagna, Marocco, Algeria, Italia (11%), Tunisia, e Francia. “Portogallo e Spagna sono molto più avanti dal punto di vista produttivo e gestionale – spiega l’esperto di gestione forestale Pino Angelo Ruiu di Agris Sardegna – fino a 15 anni fa noi eravamo importatori di sughero – si lavoravano 200 mila quintali di sughero – adesso si è invertita la rotta e molte aziende hanno chiuso”.

Da importatori siamo diventati quindi esportatori di sughero grezzo, soprattutto verso il Portogallo. “Anche l’arrivo dei tappi di plastica ha inciso sulla crisi – aggiunge Ruiu – da 100 aziende negli anni Novanta, oggi siamo arrivati ad una ventina. Il ministero ha convocato un tavolo per la filiera sughericola e si sta muovendo qualcosa”. Nonostante la crisi, che negli ultimi 20 anni ha ridotto il fatturato del settore del 70%, la sughericoltura rimane una risorsa economica e ambientale importante per l’Italia che vanta 225mila ettari di foreste da sughero, il 90% delle quali sono nel nord della Sardegna.  Attualmente sono 250 le aziende (tra industrie e aziende artigiane) associate ad Assoimballaggi, con circa 6.000 lavoratori.

In seguito alla crisi del sughero degli ultimi anni, tantissime sugherete sono state abbandonate. “Dal momento che il turno dell’estrazione viene fatto ogni 10 anni, i proprietari non hanno nessun incentivo a fare opere di manutenzione – sottolinea Ruiu – e questo comporta il deprezzamento del sughero. Se abbandoni le foreste il rischio incendi aumenta: la componente combustiva si alza sempre di più. Questo trend sta peggiorando”.

Antonio Brunori, segretario generale di Pefc (Certificazione di gestione forestale sostenibile), si augura che con la strategia nazionale forestale le Regioni diano un orientamento alla gestione di quelle sugherete che soffrono una situazione di difficoltà economica. “L’agroforestazione è la tecnica più diffusa per gestire in modo sostenibile una foresta. Il proprietario delle sugherete fa pascolare le pecore sotto la chioma e questo ha una duplice valenza – dice Brunori – le pecore riducono la massa di erba incendiabile e, seconda cosa, fertilizzano il terreno. Bisognerebbe avere un approccio multifunzionale delle foreste, il bosco deve essere valorizzato anche per gli aspetti turistico-creativi ed è in grado di offrire diversi servizi ecosistemici alla comunità”.

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Il coleottero che scava nelle cortecce 

 Il Coraebus Undatus è un coleottero che attacca le sugherete scavando dei cunicoli nella corteccia arrivando a deprezzare il sughero del 70%. Un problema che si sta provando a risolvere attraverso l’imposizione di trattamento termico mediante tecniche di bollitura in loco. L’obbligo, che però deve essere ancora stabilito nei dettagli da un decreto del Ministro politiche agricole, arriva dall’emendamento alla legge di bilancio nazionale promosso dal deputato Alberto Manca (M5S), membro della commissione agricoltura. La bollitura è una tecnica che garantisce l’effettiva pulizia e sterilizzazione del sughero.

Non tutti però sono d’accordo. Per il presidente di Confagricoltura Sardegna, Paolo Mele, si dovrebbe intervenire a monte. “Dalle disinfestazioni biologiche degli alberi alla cura di bosco e sottobosco; dalle trappole con esca all’uso di insetti predatori. L’idea del trattamento termico del prodotto per depopolare le larve è una soluzione a posteriori, a danno fatto. Non contribuisce a risolvere il problema o a tutelare la qualità del sughero”, ha dichiarato Mele.

Secondo Ruiu la questione deve essere ancora indagata e studiata. “L’emendamento ha previsto anche un finanziamento di 150mila euro che andrà in parte all’università di Sassari, per cercare rimedi contro questo coleottero che sta deprezzando il sughero. La bollitura serve per eliminare il coraebus undatus, ma potrebbe eliminare una parte delle larve del sughero solo per un periodo molto limitato”, ha detto Ruiu.

Secondo Andrea Lentini, docente di Entomologia forestale all’Università di Sassari, l’attacco del coleottero, nell’indebolire la pianta, favorisce anche lo sviluppo di funghi patogeni capaci di innescare fenomeni di deperimento delle sughere. “Scavare tali gallerie nel sughero significa deprezzarne enormemente la qualità. Non si presta più alla lavorazione in tappi, ma si riduce a un prodotto da macina pagato ben poco ai proprietari dei boschi”.

Biodegradabilità e certificazioni ambientali

Un altro punto controverso e dibattuto della filiera è la biodegradabilità dei tappi. Secondo la norma UNI EN 13432 del 2002, l’imballaggio per essere considerato biodegradabile deve decomporsi al 90% in sei mesi. Attualmente la norma è in fase di discussione al Comitato Europeo di Normazione (CEN), e per ora il sughero, nonostante sia compostabile (buttato nell’umido), non può essere considerato biodegradabile.

“Il sughero è un prodotto che ha tempi molto lunghi per biodegradarsi – commenta Franco Pampiro, chimico esperto in prodotti forestali – L’argomento non è mai stato nell’interesse dell’industria fino ad un recente decreto legislativo che prevede un credito di imposta per le aziende che producono imballaggi compostabili e biodegradabili. Non c’è ancora un periodo certo di biodegradazione, ma di sicuro è più lungo di 90 giorni”. Pampiro poi consiglia di lasciar perdere le leggende metropolitane che fanno del sughero un materiale immarcescibile e imputrescibile. “La degradazione è però molto lenta. Non è detto che sia un difetto perché questo permette un molteplice riciclo”, aggiunge il chimico.

La certificazione invece che tracci l’origine della materia prima è quella di gestione forestale sostenibile. “C’è un crescente interesse da parte delle aziende italiane per la tracciabilità – dice Antonio Brunori di PEFC – il primo motivo è perché lo Stato ha inserito nelle gare d’appalto dei criteri premianti per chi la garantisce. Il secondo deriva dal fatto che il mercato privato ha sempre più interesse ad avere garanzie dell’origine della materia prima”.

Con l’arrivo dei tappi a vite e di plastica come concorrenza, è importante per la filiera rendere riconoscibile il sughero anche al consumatore finale. Relativamente a questo è stata posticipato al 1° gennaio 2023 l’obbligo per tutti i produttori di imballaggi di indicare il codice identificativo del materiale. Per il tappo di sughero il codice sarà For 51, un’indicazione che permetterà di riconoscere se quello che abbiamo tra le mani è un tappo di sughero. “For 51 nasce da una direttiva europea che l’Italia ha recepito in modo stringente tanto da essere l’unico Paese a renderla obbligatoria – ci spiega Gennaro Buonauro di Federlegno –. Un traguardo importante che esprime la forte valenza ambientale e sostenibile propria di questo materiale e su cui tutta la filiera sta credendo con convinzione”.

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Circolarità del sughero?  Manca una raccolta differenziata

Il sughero è di fatto compostabile e deve essere buttato nell’umido. Ma quello che ci siamo chiesti è se i tappi di sughero possano essere riciclati/riutilizzati per la stessa (close the loop) o altre applicazioni. La pianta ha un ciclo vegetativo molto lungo: la prima estrazione si può fare quando la quercia ha dai 30 ai 50 anni. Inoltre in Italia il turno di estrazione per legge non può essere inferiore ai 10 anni. È un peccato quindi che il sughero venga riciclato principalmente come compost. “Riciclare sughero per trasformarlo ancora in tappo non è possibile per ragioni igienico-sanitarie e di qualità del materiale – spiega Franco Pampiro -, ma i test di laboratorio ci dicono che può essere rigenerato come isolante termoacustico nell’edilizia“.

Tuttavia sorgono due problemi: ”il tappo naturale si potrebbe riciclare quasi all’infinito- continua Pampiro – ma il sughero ha il difetto di essere molto voluminoso, leggero e le unità di prodotto sono piccole. Ci vorrebbe qualcuno che si occupasse di raccoglierli e portarli all’industria”.  Ci sono pochissimi Comuni che fanno raccolta differenziata perché il peso di questi rifiuti non giustifica la raccolta differenziata.

“Potrebbe essere un materiale per le industrie di trasformazione a costa zero – aggiunge Pampiro – sono dell’idea che si potrebbe partire dal basso. Per esempio da una raccolta nei ristoranti che ne stappano centinaia ogni settimana”.

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