Riduzione dei consumi di plastica, incremento dei tassi di riciclo e riutilizzo e l’impiego di bioplastiche. Sono questi gli ingredienti che Ecco mette sul tavolo per decarbonizzare la filiera della plastica che, oltre a risolvere il grave problema dell’inquinamento, deve allinearsi agli obbiettivi di neutralità climatica. In collaborazione con il Cluster Spring, Greenpeace e con le Università di Padova e di Palermo, il paper pubblicato da Ecco propone una combinazione di più strategie, basate su approccio ‘composito’.
Riduzione dei consumi di plastica
Produrre plastiche è impattante. In Europa il 99% della plastica vergine viene prodotta utilizzando materie prime come petrolio e gas naturale, non dimenticando i combustibili fossili che vengono impiegati per la generazione di calore durante il processo produttivo. L’Italia produce meno, ma consuma: nel 2020 sono state consumate 5,9 milioni di tonnellate di polimeri fossili (secondo maggior consumatore in Europa), corrispondenti a quasi 100 kg a persona
Considerando la sola fase di produzione, per ogni kg di plastica l’immissione in atmosfera è di circa 1,2 kg di CO2 . Con le emissioni di CO2 relative all’estrazione e alla raffinazione dei combustibili fossili si raggiungono 1,7 kg di emissioni per ogni kg. Per capire come ridurre la produzione, bisogna guardare ai consumi. Il 42% della plastica consumata nel 2020 nel nostro Paese viene utilizzata nel settore degli imballaggi e dell’usa e getta, il 12% nell’edilizia e il 7% nel settore automotive.
“Tra gli strumenti più efficaci per ridurre la produzione di rifiuti da imballaggi, soprattutto nel settore alimentare, vanno annoverati senz’altro i sistemi di deposito cauzionale (Deposit Return System – DRS) – scrive Silvia Gross, docente dell’Università di Padova – Il sistema di deposito massimizza la raccolta selettiva degli imballaggi, incentivando il coinvolgimento dei consumatori attraverso il pagamento di una cauzione (in Europa solitamente tra i 10 e i 25 centesimi di euro), la quale viene restituita una volta che l’imballaggio viene reso” . Da un’analisi dei sistemi DRS in 46 paesi del mondo, si evidenzia che, nei Paesi dove il sistema DRS per il riciclo è obbligatorio per legge, si possono raggiungere tassi di raccolta dei contenitori per bevande anche del 94%.
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Incremento dei tassi di riciclo e di riutilizzo
In Italia poco più del 30% dei rifiuti plastici viene destinato al riciclo. Media ancora molto bassa che la strategia europea sulla plastica (la cosiddetta Plastics strategy) proverà ad aumentare. Adottata nel gennaio del 2018, la strategia prevede che entro il 2030 tutti gli imballaggi in plastica immessi sul mercato europeo dovranno essere riutilizzabili o riciclabili in modo efficace, anche sotto il profilo dei costi”
A giugno 2020 il Parlamento europeo ha adottato il Regolamento sulla tassonomia per la finanza sostenibile che ha stabilito che la produzione di plastica contribuisce alla mitigazione dei cambiamenti climatici se viene rispettato almeno uno dei seguenti criteri:
a) è prodotta interamente con materiale ottenuto mediante riciclo meccanico;
b) è prodotta interamente mediante riciclo chimico e se le emissioni di gas serra dell’intero ciclo di vita sono inferiori rispetto a quelle che si avrebbero utilizzando materie prime fossili.
Per incentivare il riciclo esiste anche la leva fiscale della plastic tax europea – in vigore dal gennaio 2021 -un’aliquota (0,8 €/kg) sui rifiuti d’imballaggio di plastica non riciclati prodotti in ciascuno Stato membro. Il costo per l’Italia si aggirerebbe intorno ai 900 milioni di euro l’anno, se non fosse che la plastic tax italiana sarebbe dovuta entrare in vigore nell’estate del 2020, e dopo una serie di rimandi si è deciso per gennaio 2023.
“Prendendo come modello la legislazione francese, anche in Italia si potrebbe introdurre il target del 5% di riutilizzo (entro il 2023) e del 10% (2027) per tutte le tipologie d’imballaggi commercializzati. Tale obiettivo può gradualmente essere incrementato negli anni successivi”, suggerisce il documento.
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Le inefficienze del riciclo meccanico
Tra le inefficienze da eliminare nel mondo del riciclo meccanico, quella della contaminazione da elementi che non possono essere riciclati e sono difficili da separare dai materiali riciclabili è una delle più complesse da risolvere. Un altro elemento di criticità per il riciclo meccanico attualmente è la disomogeneità dei materiali di partenza .“Per migliorare la qualità del riciclato e quindi diminuire l’esigenza di plastica vergine è possibile intervenire a monte – suggerisce Francesco Paolo La Mantia, docente dell’Università di Palermo – con un eco-design del prodotto che punti a limitare additivi e sui coloranti; e che semplifichi il disassemblaggio dei prodotti in componenti omogenee”. L’incremento del tasso di riciclo potrebbe arrivare anche da nuovi metodi come il riciclo chimico, che rientra nel regolamento sulla tassonomia sostenibile.
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Il ruolo delle bioplastiche nella decarbonizzazione
Per ridurre le estrazioni di combustibili fossili è possibile sostituire la plastica tradizionale con materie prime di origine vegetale a minori emissioni climalteranti. Secondo Ecco, le bioplastiche rappresentano una soluzione per la decarbonizzazione di quelle applicazioni in cui non è possibile un’eliminazione dell’imballaggio monouso.
Secondo la definizione europea, la bioplastica è quella plastica i cui prodotti provengono da materie prime vegetali (biobased) oppure i cui prodotti sono biodegradabili. La definizione italiana, adottata da Assobioplastiche, considera invece come bioplastiche soltanto le plastiche i cui prodotti sono biodegradabili, che siano essi di natura vegetale oppure fossile.
La biodegradabilità delle plastiche e l’origine biobased sono quindi due concetti molto differenti: è possibile che materiali al 100% a base vegetale non siano biodegradabili e che materiali provenienti da fonti fossili possano biodegradarsi (fossili e vegetali). Specialmente in Italia la filiera negli anni si è sviluppata molto rappresentando il 6% del mercato in termini di produzione, con un fatturato di 815 milioni di euro.
“Si ritiene che il modo migliore per affrontare il problema delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento da plastica sia una significativa riduzione dei consumi, tuttavia tale strategia non è applicabile fin da subito a tutti i tipi di packaging- scrive nel report Cluster SPRING, Cluster Nazionale della Bioeconomia circolare – . Si pensi ad esempio agli imballaggi utilizzati per la vendita di alcuni prodotti freschi alimentari, come carne o pesce. In questo caso le bioplastiche possono rappresentare una soluzione virtuosa, grazie alla loro peculiare caratteristica di compostabilità e alla loro natura rinnovabile”.
Inoltre la creazione di un mercato per le materie prime seconde e per le bioplastiche permetterebbe di favorire l’utilizzo di questi prodotti in sostituzione delle plastiche fossili vergini. In questo contesto può giocare un ruolo di primo piano il settore pubblico, stabilendo severi criteri di sostenibilità per gli appalti pubblici (green public procurement).
Le bioplastiche sono un materiale sempre più diffuso anche nell’industria automobilistica, dove le materie prime biologiche sono usate come rinforzo e riempitivo nei biocompositi (combinazione di queste fibre naturali con matrici polimeriche).
In conclusione, il paper di Ecco ipotizza alcuni scenari di decarbonizzazione della filiera. Nel migliore dei casi, con una percentuale di riciclo del 70% della plastica immessa al consumo e un 30% di plastica biobased, ad oggi si otterrebbe una riduzione delle emissioni di CO2 del 70%.
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